di Rosa Ana De Santis

La sentenza d’Appello arriva il 1 dicembre alle 17.30 e ribalta quella di primo grado, del 14 luglio 2009. Spaccarotella è colpevole di omicidio volontario. Cade la teoria dell’incidentalità e dell’omicidio colposo. Cade la valorizzazione decisiva nella prima sentenza del proiettile deviato dalla rete metallica. Il tribunale non rende giustizia al dolore di una famiglia e alla prematura scomparsa di Gabriele, ma punisce un omicida in divisa.

E’ stata accolta solo in parte, però, la richiesta del pm, che aveva chiesto 14 anni di reclusione. Spaccarotella pagherà con 9 anni e 4 mesi di reclusione, se la sentenza sarà confermata dalla Cassazione, verso la quale i legali dell’omicida hanno già annunciato presenteranno ricorso. Ma la condanna per omicidio volontario rappresenta un caso importante nella storia di questa Repubblica. Un caso di scuola, come lo definisce il fratello di Gabriele.

Le foto ritraggono Giorgio Sandri fuori dalle porte del Tribunale di Firenze, con gli occhi al cielo, abbracciato agli amici di “Gabbo”. Accanto a lui l’altro figlio, Cristiano, e la mamma Daniela. Affranti, ma sollevati da una sentenza che riporta ordine e verità nei fatti camuffati e raccontati a metà, in un tradizionale stile omertoso che da sempre ha coperto responsabilità e misfatti delle forze dell’ordine in Italia a danno dei cittadini comuni e di quelle persone perbene in divisa, che il loro lavoro lo fanno con serietà e per pochi spiccioli.

Come si diceva, il difensore di Spaccarotella, Federico Bagattini, annuncia già il ricorso in Cassazione, dopo aver letto le motivazioni riportate nella sentenza. Non rimane che sperare che non sopraggiunga l’ennesimo ribaltone giudiziario e che i 9 anni di reclusione rimangano tutti a condannare l’operato di un poliziotto pericoloso che - va ricordato - in piena autostrada, punta un’ arma da fuoco ad altezza uomo e spara. Se non si ha il coraggio di ribadire la condanna su una condotta così fuori controllo e altamente pericolosa, se la mela marcia non paga, per i cittadini italiani non ci sarà scampo.

Manifestazioni, cortei, proteste e chissà quante altre occasioni rimarranno mattatoi senza verità. Il G8 di Genova lo insegna. Cucchi e Giuseppe Vita lo insegnano. Mentre sugli spalti degli stadi i delinquenti continuano ad entrare armati di tutto e a mettere a ferro e fuoco le città. E di questi nessuno si ferisce mai, nessuno muore. Chissà perché.

Il caso di Sandri è ancor più sconvolgente perché assomiglia alla sadica roulette che colpisce un ragazzo in libertà che andava a vedere una partita di calcio. Lo ammazza in macchina, nemmeno in uno scontro, dove dorme, seduto sul sedile posteriore in mezzo ai suoi amici. Hanno provato a farlo passare per tifoso violento, a mettergli i sassi nelle tasche. Come se questo, peraltro, diminuisse la gravità dell’omicidio.

I sassi di Davide e la pistola di Golia. Tentativi, degni di un regime, che tolgono ogni dignità delle Istituzioni. E invece il papà di Gabriele ora torna ad essere “orgoglioso di essere italiano”. E se la magistratura che va tanto di moda sui giornali, porterà fino alla fine questo impegno di rigore e di giustizia lasciando l’imputato colpevole anche se è un poliziotto, potremo restituirle una credibilità che finora ha cercato di conquistarsi concentrandosi molto e solo, con condivisibile fermezza,  sulle vicende del presidente Berlusconi.

Nascerà una fondazione intitolata a Gabriele Sandri. Per ricordare e per raccontare. La testimonianza di una famiglia immersa in un “dolore terribile” e tenace nella battaglia, come la descrivono il deputato Walter Verini e Luca Di Bartolomei, del Comitato Promotore della Fondazione. Una ricerca della verità che diventa ancora più difficile da portare avanti quando si vuole continuare a credere nello Stato e nella giustizia. Forse per Gabriele si riuscirà a fare. Ma l’attenzione della stampa, le parole, i riflettori, non dovranno spegnersi. La denuncia permanente dell’accaduto è l’unica parola di Gabbo che non c’è più.

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