di Cinzia Frassi

Il colosso del web che nella sua mission aziendale ha "fare del bene" e come motto “don’t be evil”, non sempre ha brillato per trasparenza rispetto alla privacy degli utenti. Anzi, è lungo l’elenco di vicende legate proprio alle violazioni della privacy, da ultima la vicenda legata ai dati personali di Gmail all’arrivo di Google Buzz. Questa volta sarebbe colpa delle Google Car, le auto dell'azienda di Mountain View sguinzagliate in ogni dove per raccogliere immagini destinate al servizio Street View. Per chi non lo conoscesse, si tratta di un servizio di mappe in 3D realizzato con scatti reali dei luoghi come strade, piazze, vicoli ecc.

Il fatto è che nella stessa occasione, le auto erano attrezzate con un software che, captando le reti wi-fi in cui s’imbatteva, immagazzinavano dati privati e sensibili. L'operazione, dicono, era finalizzata al miglioramento dei servizi di localizzazione: peccato che, così facendo, Big G abbia raccolto circa 600 Gbyte di dati riservati. Siccome a pensar male si fa peccato ma difficilmente si commette un errore, il fulcro centrale del successo di Google ruota proprio attorno ai dati dei profili personali e della conseguente pubblicità modellata su di essi. Se consideriamo questo e il fatto che i dati inghiottiti dalle Car erano in più georeferenziati, non si può proprio fare a meno - appunto - di pensare male.

Ha pensato e pensa ancora male la Commission Nationale de l'Informatique et des Liberté (CNIL), il Garante per la protezione dei dati personali francese, che ha chiesto a Google copia dei dati e che sta esaminando tutti i particolari della vicenda e dei danni alla privacy dei cittadini. A questo proposito il direttore dell'agenzia Alex Turk, fa sapere che si tratta di "informazioni che comprendono codici bancari e dati medici, password e stralci di messaggi e-mail". Insieme alla Francia, altri stati europei hanno aperto un'istruttoria e chiesto copia dei dati compresa l'Italia, Spagna e Germania. Non solo: negli Stati Uniti la questione è già arrivata al Congresso e sono già state intraprese azioni legali da vari paesi. Il procuratore generale del Connecticut, Richard Blumenthal, ha annunciato che saranno molti gli stati raccolti contro Mountain View e che la sua iniziativa porterà a "un significativo numeri di Stati".

Dal canto suo Big G non si scompone più di tanto e reagisce dichiarando che la raccolta di dati preziosi per il suo business è stata del tutto casuale. Il Ceo dell’azienda, Eric Schmidt, dichiara senza mezzi termini: “Abbiamo sbagliato e su questo dobbiamo essere molto chiari. Essere onesti circa i propri errori  è il modo migliore di prevenire il ripetersi di tutto ciò". Addirittura sembra che il responsabile del software sia sottoposto ad un’indagine interna per aver violato le regole aziendali.

Il fatto è che il lupo perde il pelo ma non il vizio, come si dice. Il nuovo vicepresidente di Google e responsabile per l’Europa centrale meridionale e orientale, Carlo D'Asario Biondo, rispondendo sul Corriere della Sera, lascia capire bene come viene percepita la privacy stessa. A proposito delle violazioni della privacy, infatti, risponde: "Ma guardiamo anche di cosa stiamo parlando: la privacy. Va certamente protetta, ma cos’è? E’ un concetto in piena evoluzione. Per me che ho 44 anni è una cosa importante, per mio padre ancora di più; mia figlia, che di anni ne ha 20, se ne cura molto meno. Ci sono le sensibilità individuali e dei gruppi e ci sono i paletti. Un concetto in piena evoluzione”.

Quello di D’Asario è un concetto di privacy che, guarda caso, ritroviamo nelle recenti dichiarazioni di Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook che in una recente intervista a proposito della privacy, come prevedibile, si dimostra piuttosto disinvolto: “Bisogna capire che le cose sono molto cambiate negli ultimi sei anni. E che il concetto di privacy che ho io non è lo stesso che ha mio padre ed è diverso anche da quello di una ragazzo di quattordici anni. Sei anni fa nessuno voleva che le proprie informazioni personali fossero sul web, oggi il numero delle persone che rende disponibile il proprio cellulare su Facebook è impressionante. Per i miei genitori la privacy era un valore, per i miei coetanei condividere è un valore". E’ evidente come sovrapponga la volontà di condividere con il rispetto della privacy e questo è un aspetto davvero raccapricciante. Sono concetti piuttosto discutibili insomma, ma non ci si può di certo aspettare qualcosa di diverso.

Google, come Facebook, ha un interesse diretto e oggettivo per i dati personali degli utenti, di tutti noi. Non solo dei dati di coloro che utilizzano servizi di Big G, quali Gmail o altri, ma quelli di tutti noi che, navigando con il nostro pc, facciamo ricerche on line, clicchiamo e, sito dopo sito, pagina dopo pagina, non facciamo altro che dare informazioni. Su queste Google crea il nostro profilo: questa è la base del suo business perché è da questo che riesce a piazzare pubblicità ben finalizzata, targettizzata.

Il colosso del web però è inafferrabile. I suoi interessi dettano le regole del web e soprattutto segnano da un lato il passo dell’innovazione della rete mondiale, ma anche indirettamente, e alle volte molto di più, regolano in sostanza il business dei concorrenti come degli utenti, siano essi privati che aziende. Un colosso che si allarga a macchia d’olio: dai servizi voice alle news con il nuovo paywall, passando dai servizi mail al social network, dai video a qualsiasi altro contenuto, servizio, transazione e scambio.

Dalle utlime stime di mercato elaborate da Experian Hitwise, Google ad aprile avrebbe superato ancora quota 72 per cento di utilizzo dei motori di ricerca. Stiamo Vedremo come finiranno le numerose inchieste condotte dai diversi stati coinvolti. In sostanza vedremo che valore ha oggi la privacy di tutti noi.

 

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