di Rosa Ana De Santis

Domenica 7 giugno Mario Balotelli passeggiava a Roma, zona Ponte Milvio, quando è stato insultato da un gruppo di tifosi giallorossi. Lancio di banane e cori denigratori per il colore della pelle. Il giovane attaccante dell’Inter non sporgerà denuncia e ha minimizzato l’accaduto ricevendo pubblicamente i complimenti del Presidente Moratti per la reazione composta e matura avuta di fronte a un episodio tanto grave quanto volgare. Stesso apprezzamento da parte del CT Under 21, Gigi Casiraghi. Marcello Lippi, CT della nazionale, gli ha consigliato di”non occuparsi di imbecilli”. Richiesta accettabile, non fosse che sono razzisti imbecilli, non imbecilli e basta. Mario Barwuah Balotelli è un talento da fuoriclasse in un corpo maestoso. Ha origini ghanesi, è nato a Palermo ed è stato cresciuto a Brescia da una famiglia italiana. Lo tradisce uno slang in ottimo stile padano. Un precoce esordio nel mondo del calcio a 15 anni, maglietta nero blu nella squadra dei grandi dopo soli 4 mesi nella Primavera. Mario è un cittadino italiano. Chi ha seguito quest’anno il campionato di calcio ha sentito e visto in più occasioni il vivace carattere del giovane campione procurare qualche crepa nelle tifoserie, spesso anche nella propria squadra e, senza troppi convenevoli, quasi ammutinamenti contro la disciplina del saggio mister. Il giovane campione è noto per il carattere vivace, a tratti indisciplinato. Un elemento che si è rivelato utile sulla bocca dei tanti cronisti che in quest’anno di calcio hanno fatto a gara per evidenziare le intemperanze del giovane, le sue maleducate linguacce, la sua evidente spavalderia usando invece toni timidi sui numerosi cori che spesso hanno investito in pieno campo il giovane Mario. Cori razzisti ovviamente. La quintessenza di certo tifo e di certe orde di estrema destra che popolano gli spalti.

Basta ricordare, ultima in ordine di tempo, la decisione del giudice sportivo Gianpaolo Tosel, che sanzionò la Juve obbligandola a disputare la partita contro il Lecce del 3 maggio a porte chiuse. Fu Ranieri, prima di tutti, a non fare un passo indietro di fronte all’accaduto, a riconoscerne l’insopportabilità. La tentazione di non riconoscere il problema del razzismo che serpeggia negli stadi è un modo per non attestare il problema del razzismo tout court. Succede così, del resto, in molti altri ambiti. E’ più comodo ricondurre certi preoccupanti episodi al bullismo, al degrado giovanile o al tifo esasperato. Se il problema non viene riconosciuto e chiamato per nome, semplicemente non esiste.

Una manovra di rimozione e banalizzazione che non porta molto lontano. E’ caduto in questa tentazione il CT della Nazionale, Lippi, che ha sempre preferito parlare di “caso Balotelli” pur di non chiamare razzisti gli ululati che facevano da sfondo a ogni partita. Sostiene di non averli mai sentiti contro Muntari e Vieira. Come a dire che se Balotelli non avesse i comportamenti aggressivi e fallosi che spesso ha, non riceverebbe alcun coro razzista. Dello stesso avviso Gigi Simoni, ex allenatore dell’Inter. Peccato che l’equazione di argomenti semplicemente non funziona.

E’ la pelle negra a diventare bersaglio della furia verbale degli spalti. Altro che sguardi e gesti di sfida sopra le righe. Quelli che insieme a Balotelli ci hanno regalato tanti altri suoi colleghi del resto. Ai Carabinieri giunti sul posto Balotelli ha riferito di un episodio da niente. Se avesse reagito siamo certi che i giornali avrebbero messo nei titoli il suo solito caratteraccio e le sue note intemperanze. Il resto è banalmente tifo.

Così asromalive. com preferisce parlare di cretini e facinorosi. Gli stessi forse che aprono pagine su Facebook contro il giocatore irrispettoso e antipatico e che popolano di maldestri tentativi di spiegazione e rivendicazione i blog giallorossi. Lippi ancora una volta ha parlato d’imbecilli. Proprio non ce la fa a chiamarli razzisti. E non vorremmo che la solidarietà per l’accaduto fosse tanto forte quanto più è nerazzurra.

Sarebbe auspicabile che proprio perché il razzismo nulla dovrebbe aver a che fare con la passione del calcio e del tifo, la risposta e la denuncia fosse trasversale, dimenticando i rigori e i match, il campo e le maglie. Nemmeno un ex campione come Roberto Pruzzo è riuscito a prendere posizioni rigorose contro i fatti di Ponte Milvio. Tutt’altro. Anche lui preferisce parlare del caso Balotelli e delle ruggini calcistiche. Ma in questo caso siamo al pensiero cavernicolo.

Eppure le cronache raccontano di cori e striscioni banditi per violenza e razzismo. Esistono campagne europee come italiane contro questo fenomeno in crescita. Il presidente del Uefa Michel Platini, nella riunione di Bucarest dell'Esecutivo lo scorso 13 maggio, ha proposto di dare all'arbitro il potere di sospendere le gare in casi di cori di stampo razzista contro calciatori. Il nostro Presidente della Repubblica, in occasione della finale di Coppa Italia, ha dichiarato indispensabile la sospensione della partita di fronte a episodi tanto indecenti.

Maroni, intervenuto a La politica nel pallone' su Gr Parlamento, qualche giorno fa, ha ribadito la necessità di vietare gli striscioni che esprimessero messaggi discriminatori e razzisti con una postilla "Il razzismo? … ma quando i tifosi ce l'hanno con un giocatore, e magari ce l'hanno per altri motivi, e' una cosa per la quale é competente la giustizia sportiva". Quale improvvisa timidezza di giudizio e d’intervento pur di non invadere diversi ambiti e competenze. Ma anche Maroni, si sa, è tra coloro che il razzismo proprio non lo vedono. E, se lo vedessero, sorriderebbero compiaciuti.

Eppure accade. Quando non basta gridarlo, magari accade a calci e pugni. E’ successo nella civilissima Parma qualche mese fa contro un ragazzo innocente con l’unica irregolarità di avere la pelle sbagliata in mezzo a un manipolo di razzisti. E anche allora si è trattato di altro. Accade ogni volta quando la curva, tesserata e indottrinata a dovere, passa dal coretto irriverente alla violenza di un insulto preistorico. Grottesco chi non lo vede, chi non vede come gli stadi, tranne negli spazi riservati ai vip, siano ormai interdetti alle persone per bene. E’ grave non sentire l’urgenza di prendere la giusta distanza. E il gestaccio antipatico del giovane Super Mario quello si, proprio ci sembra possa essere minimizzato e punito con un’ammenda disciplinare. Quello si che possiamo lasciarlo al mister, agli arbitri e allo sport giocato. Quello è solo calcio.

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