di Giovanni Gnazzi

Si discute di ruoli, ambiti, doveri e opportunità, di legami scindibili o meno tra i comportamenti privati e i ruoli pubblici, ma lo si fa per dare dignità apparente al ciarpame; queste quisquilie non possono distrarci dal gossip, la nostra ultima religione civile. Il Presidente Berlusconi, per gli amici Silvio, per le amiche Papi, si trova invischiato in una storia di collier, compleanni, minorenni, vescovi, bugie e giornali, della quale avrebbe fatto volentieri a meno. Dal canto suo la Noemi di Casoria ha definitivamente conquistato la ribalta mediatica. Non è chiaro quanto ne sia infastidita o soddisfatta. Giornalisti che la inseguono, fidanzati su commissione ed ex fidanzati, padri silenti e madri adoranti, tutti insieme, appassionatamente, celebrano l’avvenuta sovrapposizione del reality da due soldi sulla politica italiana. Dal gettito costante di bugie e contraddizioni, poche cose sappiamo: che il settantatreenne sultano tutto finto - dai capelli ai tacchi - impazzisce per ogni tipo di femmina gradevole nei tratti estetici. Che gira con il bagagliaio carico di collier di diamanti (mica come noi che facciamo fatica pure a trovare cric e triangolo). Che ne corteggia almeno una per ogni tappa dei suoi tour e che solo la selezione successiva indicherà le aventi diritto alle escursioni in villa in Sardegna, dove renderanno il clima gioviale ed allegro a beneficio degli invitati a corte. Nessuna foto, però, men che conveniente: ove ce ne fossero saranno acquistate o conculcate e i fotografi comprati o minacciati. Lì saranno autorizzate solo foto a beneficio esclusivo dei magazine di famiglia, destinati a spacciare l’immagine del sultano alle nostre misere invidie da stipendiati (quando lo siamo). Alcune delle prescelte verranno candidate al Parlamento europeo, altre faranno carriera in Rai; altre - le preferite, si presume - diverranno prima o poi Ministri della Repubblica. Sappiamo poi che alcune fanciulle, in alcuni casi, addirittura le sceglie dai book fotografici, come le nostre mamme sceglievano le stoviglie su Postal Market.

E' certamente questo lo scenario cui faceva riferimento Veronica Lario nel suo deciso quanto tardivo e privo d'innocenza commiato ufficiale dal marito. Faceva riferimento esplicito al "divertimento dell'imperatore", alla "frequentazione di minorenni", alle "vergini che si offrono al drago" in "un paese che permette tutto al suo capo". Si difende, il sultano: lui, con le minorenni, non ha “rapporti piccanti”. Lo giura sulla testa dei suoi figli; non è la prima volta e ormai quelli, poveracci, si saranno consumati negli scongiuri di rito.

E’ fortunato il sultano, perché ha di fronte uno come Franceschini, che nell’ansia di lasciare una traccia del suo passaggio al Pd, regala assist impossibili da non sfruttare per chi deve salvarsi non più dai giudici, ma da un’immagine patetica. Il sultano racconta barzellette che non fanno ridere, commette gaffes che fanno piangere e racconta balle che fanno indignare. Ha reso quello del suo portavoce il mestiere più difficile e peggio pagato del mondo, appena coadiuvato dalla cassa di risonanza amica presente in ormai il 90% delle redazioni italiane.

Se non fosse il Presidente del Consiglio, se non fosse l’uomo più ricco e più potente d’Italia, se non fosse il padrone di tutto ciò che si legge, si vede e si sente, sarebbe un anziano nei guai fino al collo. Invece, ahinoi, nei guai ci sta il Paese. Che é innamorato dei soldi e dei furbi, sedotto dall’assenza di valori che non siano quelli del portafoglio, affascinato dalla volgarità e dal razzismo sociale, immune al virus della credibilità e indifferente al senso del ridicolo. L’Italia del cavaliere è un set a cielo aperto, una sfilata ininterrotta, un casting permanente al quale madri e padri lanciano figlie. Un trenino penoso.

Fosse stato un idraulico o un edile la famiglia di Noemi avrebbe chiamato i carabinieri dopo la prima telefonata; fosse stato un settantatreenne come tanti, l’ex fidanzato lo avrebbe allontanato con le buone o con le cattive. Fosse uno qualunque dei nostri nonni, sarebbe già in un corridoio a passeggiare con uno scolapasta in testa e una badante energica al fianco. Il soggetto è ormai non solo un caso politico, nelle sue pulsioni senili appare anche come un possibile caso clinico.

I nemici del sultano sono pochi: comunisti, magistratura, giornali delle altrui proprietà. Poca roba e pressoché imbelle. Più fastidioso il fuoco amico delle donne della scuderia Pdl che non lo difendono abbastanza. Per ridurre all’impotenza i magistrati ha usato il Lodo Alfano; per far tacere La Repubblica userà i fondi di Palazzo Chigi destinati alle aziende editoriali in stato di crisi; per la scuderia troppo silente provvederà con le prossime candidature. Nel frattempo, si guarda bene dal rispondere alle dieci domande che il quotidiano di De Benedetti gli pone. Abbiamo il fondato sospetto che deciderà di rispondere solo alla domanda che La Repubblica non gli ha posto: com’è possibile che gli italiani lo votino?

Nel passato antico e recente del nostro Paese ci sono stati altri erotomani divenuti imperatori o presunti tali; più o meno simpatici, erano soprattutto dei dittatori che poggiavano il loro regno sul consenso di massa e sulla riduzione al silenzio degli oppositori. Dicevano di conoscere bene l’Italia e gli italiani, ma evidentemente non valutavano quanto siano le contingenze e le vittorie a rendere adorabili i sovrani e quanto invece restino soli nei momenti del rovescio. Non conoscevano l’italica capacità di ribaltare in uno schioccar di dita convincimenti, simpatie e consenso, quella particolarità tutta nostrana di passare dall’amore all’odio in un batter di ciglia. Le piazze piene di pubblico adorante, si trasformarono repentinamente in piazze urlanti di giustizieri senza memoria. La storia, si dice, si presenta la prima volta come una tragedia, la seconda come una farsa. La prima l’abbiamo già vissuta. S’intravedono già i sintomi della seconda.

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