di Mario Braconi

Non vi sono dubbi: la “digitalizzazione” della nostra vita è un fenomeno positivo, in quanto estende in modo esponenziale le nostre potenzialità di produrre e di divertirci. Computer, palmari, telefonini evoluti, lettori MP3 e i vari ibridi tra queste cose: saranno anche pezzi di ferro rame plastica e silicio, ma vi restano impigliate istantanee della nostra vita non solo professionale. Le fotografie dei nostri cari, i documenti che scriviamo (l’articolo buttato giù per divertimento, la lettera d’amore, l’avviso da appendere in ascensore, eventuali conati poetici o narrativi destinati a non vedere mai la luce), la lista dei siti internet con cui ci colleghiamo, la musica che sentiamo… Cose nostre, che siamo liberi di voler condividere o meno (copyright permettendo). Si tratta di un tema simile ma non identico a quello dei network sociali, su cui si sono ormai riempite milioni di pagine di giornali e su cui si pronunciano quotidianamente sociologi opinionisti prelati: fermo restando che queste piattaforme sono spesso gestite in spregio delle leggi sulla privacy, va riconosciuto che siamo noi a scegliere liberamente cosa mettere o non mettere sul nostro “profilo” in Facebook, sempre ricordando che qualsiasi cosa finisca su internet (anche per pochi secondi) esisterà per sempre anche da qualche altra parte.

Quando dismettiamo una delle nostre macchine delle meraviglie, tendiamo a dimenticare che tutto quello che è passato per le sue memorie potrebbe, volendo, essere recuperato; anche le aziende, o le istituzioni pubbliche sono spesso altrettanto (se non più) superficiali: lo dimostra un recente studio internazionale, finanziato da British Telecom e da SIMS Lifecycle Services (gestore del più grande impianto di riciclaggio di materiale elettronico in Europa) in collaborazione con tre laboratori d’informatica di altrettante università (in Galles, in Australia e negli Stati Uniti). Malgrado i progressi registrati negli anni, i dispositivi elettronici vengono smaltiti in modo tale che i dati in essi contenuti possono essere ancora essere utilizzati. A seconda del tipo di dati e delle intenzioni di chi ne entri in possesso, almeno in teoria vi possono essere conseguenze gravi per la privacy, per la tutela della proprietà intellettuale e perfino per la sicurezza nazionale.

Scopo della ricerca era analizzare i circa 300 dischi fissi di seconda mano acquistati dagli studiosi, sotto mentite spoglie, su siti di commercio elettronico o presso fiere del computer in Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti e Australia. Risultato? Oltre un terzo dei prodotti acquistati contenevano ancora dati sensibili. Recuperarli non è stato complicato, dato che spesso i drive non erano stati nemmeno cancellati prima di essere venduti mentre, mentre negli altri casi, per estrarli si sono usate tecniche alla portata di tutti.

Il bottino raccolto dagli informatici delle tre università è stato sorprendente: uno dei dischi comprati sul sito di aste on-line Ebay conteneva i dettagli delle procedure di lancio di test di un sistema missilistico terra-aria, conosciuto con l’acronimo di THAAD (Terminal High Altitude Area Defence), progettato per distruggere, ad un’altezza di oltre 100 chilometri da terra, missili intercontinentali a lungo raggio eventualmente lanciati da terroristi o dai cosiddetti “Stati canaglia”.

La sua efficacia era stata verificata di recente, quando lo scorso marzo la Corea del Nord annunciò di aver dato corso a quei test balistici che hanno fatto innervosire diverse Cancellerie. Sullo stesso supporto, a quanto pare ceduto dai soliti pasticcioni dell’FBI, sono state trovate informazioni sul produttore della tecnologia, la Lockheed Martin, le mappe degli impianti produttivi e perfino i dati personali dei lavoratori impegnati nel progetto, codici fiscali inclusi.

Come rileva Peter Zimmerman, professore di Scienza e Sicurezza presso il Dipartimento di Studi di Guerra al London King's College, “dal punto di vista dello spionaggio, è utilissimo sapere chi sta lavorando su un certo progetto: non è difficile immaginare che cosa potrebbe accadere se queste informazioni finissero nelle mani sbagliate (sempre che, quando si maneggia questo tipo di giocattoli si possa mai parlare di mani “giuste”). Il portavoce della Lockheed Martin ha rifiutato di commentare l’accaduto con i giornalisti di due testate inglesi che l’hanno interpellato.

Ce n’é per tutti i gusti: su un altro disco dismesso da una banca americana sono state rinvenute le tracce elettroniche di una transazione del valore di 50 miliardi di dollari da veicolare attraverso la Spagna, così come di altre dirette in Venezuela, Tunisia e Nigeria: tutte operazioni sospette, al punto che sia la Banca Centrale Europea che la Federal Reserve le avevano messe sotto scrutinio. In altri drive sono state trovate copie di dati medici di pazienti di ospedali britannici (copie digitalizzate di cartelle mediche e referti), in un altro ancora il business plan completo di un noto designer di moda inglese.

Dovrebbe essere chiaro che i dati conservati all’interno dei nostri giocattoli tecnologici costituiscono il loro vero valore: a quanto riferisce l’autorevole sito d’informatica The Register, in Nigeria, dove esiste un fiorente mercato di BlackBerry usati, i dispositivi più ricercati non sono i più nuovi o i più accessoriati, ma quelli che contengono più dati del precedente proprietario. Un BlackBerry utilizzato al massimo delle sue potenzialità può infatti rivelarsi una miniera di informazioni: e-mail inviate e ricevute da diversi account (fino a sei, tra aziendali e personali), la “storia” di tutti i siti internet visitati, le password per accedere al conti correnti, foto, oltre, ovviamente, alla rubrica telefonica e agli SMS: non a caso, questo tipo di smartphone è molto ricercato dai criminali nigeriani.

Sarebbe un errore pensare che quello della Nigeria sia un caso isolato: quando gli aeroporti britannici mettono all’asta le memorie USB (le cosiddette “chiavette”) smarrite dai viaggiatori, vi sono persone pronte a sborsare 25 sterline per un prodotto che, nuovo, potrebbe essere acquistato a 20: quel “premio” di cinque sterline può essere considerato la stima finanziaria della speranza di poter mettere le mani su qualche segreto redditizio o piccante. Non sono pochi dunque gli adepti di questa strana specie di gratta e vinci della spia dilettante. Pensiamoci, quando vogliamo cambiare il nostro computer.

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