di Elena Ferrara

Ora è d’obbligo l’allarme nomadi. Le sequenze delle storie narrate da Emir Kusturica nel “Tempo dei Gitani” sono solo un lontano ricordo e le musiche di Goran Bregovic accompagnano la triste strada dei nuovi dannati della terra. Eppure si parla di prove di dialogo su questo tema dei rom e si fa riferimento ad un “asse Milano-Roma” con l’obiettivo di “azzerare i campi”. Sono in arrivo commissari-sceriffi mentre i sindaci di 16 città del Nord (Parma, Modena, Piacenza, Verona, Padova, Treviso, Belluno, La Spezia, Asti, Alessandria, Novara, Cremona, Como, Mantova, Pavia, Lodi), governate da giunte di centrodestra e di centrosinistra, accolgono con favore la decisione di Maroni si inserire nel pacchetto sicurezza i principi della Carta da loro sottoscritta il mese scorso a Parma. Intanto - mente si discute sul processo di integrazione che dovrebbe ostacolare l’emarginazione - bruciano i campi rom del quartiere napoletano di Ponticelli. E siamo ad un drammatico crescere della tensione. Maroni incontra la Moratti e concede superpoteri sull’area della metropoli. E Alemanno ipotizza un “coordinamento nazionale per i flussi”. Così si scatena di tutto. C’è spazio per affermazioni e minacce di ogni tipo e l’atmosfera si fa sempre più pesante. Sembra che tutto avvenga ad arte con un tambureggiamento mediatico che va in una direzione ben precisa.

Si approfitta anche del fatto che la “presenza” degli zingari è esasperata al massimo per cercare di provocare le dure reazioni dei cittadini, alimentando di conseguenza paure e insofferenze crescenti. E tutto questo contribuisce a far montare un’ondata reazionaria che porta a considerare il nomade come “il diverso per eccellenza, un asociale mendicante, con comportamenti criminali”.

Ed è questo il rapido - ma incisivo - identikit che torna d’attualità. Ed è come se tornassimo a leggere i periodici degli inizi del ’900. Ce lo ricorda ora lo storico Andrea Riccardi nell’introduzione di un coraggioso libro che va controcorrente affrontando «Il caso zingari» con al centro gitani, rom o sinti che siano, ritenuti un popolo 'abusivo', come ha fatto notare più volte il giudice costituzionale Giovanni Maria Flick.

La storia viene da lontano: si perde nella notte dei tempi. Perché questi nomadi - senza territorio, appunto - sono stati sempre considerati come un grave problema di sicurezza. Ecco perché dobbiamo prendere conoscenza anche di alcuni dati concreti. Ad esempio ricordando sempre che sul piano numerico, gli zingari sono nel nostro Paese un’esigua minoranza: poco più di 150.000. La metà circa è costituita da italiani, quasi tutti discendenti di famiglie stabilitesi da noi tra il 1300 e il 1400 (e questo aspetto viene spesso trascurato nelle polemiche quasi quotidiane).

Tra i nomadi di origine jugoslava (circa 30-40 mila) in grandissima parte si è di fronte ad una popolazione rom insediatasi in Italia da decenni nella quale è crescente il peso degli immigrati di terza generazione. Infine ci sono i romeni (30-40 mila anch’essi) che sono però cittadini comunitari con i diritti e i doveri (molto spesso non osservati) dell’Unione europea. Il caso zingari sembra avere quindi una dimensione quantitativa ridotta. Invece, come nota Riccardi, “l’antigitanismo si nutre di stereotipi, si esplica in una politica del disprezzo di un intero gruppo”.

Ma su tutto, in particolare sul genocidio nazista dei rom è calato il silenzio. E così lo zingaro è considerato come un’immagine, piuttosto che un uomo concreto. Ecco quindi che bisognerà sempre più favorire il passaggio dal nomadismo alla stanzialità con un processo, anche se non facile, che è ormai in atto da anni in molte realtà locali. E non è un caso se sarà necessario ricordare a tutti che trentasette anni fa ci fu a Londra quel congresso mondiale dei Rom che adottò la bandiera di quel popolo, nella quale quasi tutti i Rom avevano imparato a riconoscersi: la ruota rossa di un carro, con i sedici raggi che alludevano alla molteplicità delle genti nomadi, tra i colori del cielo e della terra.

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