di Valentina Laviola

La “bocciatura” dell’Europarlamento riguardo ai Centri di permanenza temporanea italiani richiama l’attenzione sul tema immigrazione e s’inserisce nella campagna elettorale in corso. A pioggia arrivano dichiarazioni e promesse, spesso seguite da battibecchi interni alle coalizioni, perché gestire la questione immigrati è notoriamente una patata bollente per tutti. È così che Silvio Berlusconi, leader del Pdl, si ritrova a prendere l’impegno davanti al movimento “I nuovi italiani”, partito di immigrati, di assicurare col suo - eventuale - nuovo governo il voto amministrativo ai cittadini stranieri. Le reazioni dure degli alleati della Lega giungono immediate ad escludere, de facto, qualsiasi chance di reale attuazione, dal momento che il progetto, per altro ridicolo ai loro occhi di far votare dei “non italiani”, non è contemplato dal programma di governo da loro sottoscritto. Incongruenza questa che certo non può stupire gli italiani ormai avvezzi alle uscite sensazionalistiche del Cavaliere, ma cosa ne penseranno i milioni di stranieri che nel nostro paese risiedono stabilmente e lavorano contribuendo alla crescita economica? Continueranno a vivere, i più fortunati, nella gabbia metaforica di una mancanza di diritti accompagnata d’altra parte da una serie di doveri; gli altri, quelli senza lavoro, senza possibilità, in quella concreta dei Cpt. Sul nostro territorio ve ne sono circa 12 (i maggiori) da Gorizia a Lampedusa, nei quali sono state evidenziate condizioni igieniche preoccupanti dovute alle strutture fatiscenti, carenze nell’assistenza sanitaria e legale, spazi insufficienti a causa del sovraffollamento insostenibile rispetto alla capienza teorica.

In particolare il rapporto dell’Europarlamento pone l’accento sulla continua e inquietante presenza di sbarre presenti non solo sul perimetro del campo, ma addirittura sui soffitti delle stanze: la vita di queste persone si svolge letteralmente chiusa in una scatola metallica, che diviene particolarmente inclemente quando è esposta alle temperature estive. Critiche alle condizioni dei Cpt italiani erano già arrivate, in precedenza, da autorevoli organizzazioni quali Amnesty International, Medici senza frontiere e il Comitato europeo per la prevenzione della tortura; non rimane che sperare che il parere dell’Europarlamento possa essere più influente per migliorare la situazione.

Certo è che la politica - anzi, diremmo più propriamente, lo Stato - dovrebbe assumersi più seriamente la responsabilità di queste vite migranti, non solo per doveri umanitari e di solidarietà, ma anche perché questa è l’unica via concreta per assicurare la propria sicurezza e favorire la trasformazione di ogni migrante in un nuovo cittadino piuttosto che in un delinquente per necessità.

E se la posizione dei partiti della Sinistra appare semplice e netta - ”riconoscere il diritto di voto alle comunali a chi risiede in Italia da 5 anni è un elemento di buon senso” afferma Fausto Bertinotti – la destra pone invece delle condizioni che sembrano capestri. Franco Frattini (visto come papabile ministro degli Esteri di un eventuale prossimo governo Berlusconi), si dichiara favorevole all’ingresso di quegli immigrati che vanno a fornire forza lavoro alle nostre imprese, ma che allo stesso tempo puntualizza che “le impronte digitali agli stranieri si prendono già in tutta Europa, l’Italia è l’unico albergo in cui non si fanno check-in e check-out”.

Si potrebbe discutere sull’opportunità o meno di definire l’Italia un albergo, visto che la stragrande maggioranza degli stranieri che cercano di stabilirsi da noi non sono rappresentati da turisti ricchi e annoiati in cerca di villeggiature artistiche, bensì da persone costrette a fuggire da guerre, dittature o povertà estrema. Tuttavia ci limiteremo ad invocare da parte del nuovo governo dei provvedimenti seri ed egualitari. Basterebbe seguire l’esempio, una volta tanto, di altri paesi europei come la Svezia, la Danimarca, la Norvegia, l’Olanda, l’Irlanda o la Spagna, culturalmente più vicina a noi che, stipulando accordi reciproci con determinati stati da cui parte una massiccia emigrazione, hanno scelto di sostituire al criterio della cittadinanza, quello della residenza per concedere il riconoscimento dei diritti politici.

La stessa Spagna ha inoltre riconosciuto in un recente rapporto che il 38% del PIL (calcolato dal 2000 ad oggi) è ascrivibile al contributo lavorativo degli stranieri; chissà se anche da noi si arriverà mai a comprendere il grande apporto non solo economico, ma anche civile e culturale che deriverebbe da una vera integrazione.


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