In Italia la novità politica più rilevante degli ultimi giorni è l'emersione dei fan di Beppe Grillo, che hanno fatto il pieno attorno a proposte di legge manifestamente ostili alla classe politica. Si tratta di una mozione di sfiducia popolare, più che di un serio tentativo di pervenire a soluzioni utili a riportare la politica entro binari accettabili, ma una mozione che ha l'indiscutibile peso di una bella massa di persone che ha fatto file assurde per firmare quanto proposto da Grillo. Ostilità e sfiducia nei politici che Grillo intercetta egregiamente, nonostante le sue iniziative soffrano i suoi stessi limiti, spesso molto evidenti. Non è il caso però di radiografare il credo politico di Grillo e nemmeno di analizzare quanto i molti gruppi locali intitolati alle sua iniziative, possano essere fedeli alla linea del vulcanico animatore. I fan di Grillo sono però molti e sono capaci di mobilitarsi e i loro circoli dei fan sono infinitamente più numerosi e più frequentati di quelli della gentile signora Brambilla, anche se non ne parla nessuno. Che la predicazione di Grillo inclini spesso al populismo, che qualche volta finisca vistosamente fuori bersaglio, può darsi per scontato; Grillo a volte esagera con l'imbonimento, la sua azione – politica - segue evidentemente un'agenda umorale, per quanto pianificata e condotta con discreta professionalità; ma Grillo non sembra una minaccia per la società italiana.
Grillo e suoi non sembrano nemmeno in grado di scalfire il robusto controllo esercitato dalla partitocrazia sulla società italiana, considerazione ben supportata dal mix di reazioni che è seguito alla manifestazione di Bologna e alla massiccia adesione alla raccolta di firme promosse dal comico genovese. Banale e scontata l’accusa di aver insultato Marco Biagi, che ormai scatta contro chiunque si opponga alle leggi costitutive del precariato selvaggio nel nostro paese. E’ un tipico esempio dello sciacallaggio che le destre hanno da tempo imbastito attorno alla figura del giuslavorista, fin dall’espediente di chiamare con il suo nome una legge che contiene solo una parte dei ragionamenti che Biagi aveva svolto sul tema, omettendo completamente le tutele e le garanzie per i lavoratori che pure Biagi aveva proposto e che, nella legge che ingiustamente porta il suo nome, sono del tutto assenti. Scontata è anche l’accusa di populismo (non infondata), che però pronunciata da chi ne ha fatto un robusto uso, al più strappa sorrisi di compatimento.
Decisamente lisergico il commento di Umberto Bossi, secondo il quale con Grillo avanza l’antipolitica. In realtà la retorica di Grillo è la stessa a suo tempo cavalcata da Bossi e i motivi del successo della mobilitazione di sabato scorso sono facilmente rintracciabili nel diffuso malessere che già ebbe modo di manifestarsi ai tempi dell’esplosione dei girotondi. Non sono mancati i lamenti dei soliti che giudicano le manifestazioni dalla quantità di pattume che rimane per terra una volta svuotata la piazza. Quindi tutto normale, tutto già sentito, nessuna novità; il compitino ormai lo conosciamo a memoria.
Non è antipolitica quella incarnata da quanti si sono mobilitati a seguito dell’appello di Grillo, ma una reazione intimamente politica da parte di quei cittadini italiani che si sentono emarginati e inascoltati dalla politica ufficiale. Non può essere antipolitica quella che si muove su percorsi istituzionali avanzando proposte di legge. Sono i politici i primi responsabili, il motore immobile dell’emersione di movimenti come quello di Grillo; è nel deserto di democrazia che loro hanno costruito che spuntano cespugli come il suo. Se lo chiede lo stesso comico genovese il perché nel nostro paese ci sia tanto spazio per un comico in politica, ma la risposta è sotto gli occhi di tutti. Un paese che ha eletto a presidente del consiglio un Pinocchio miliardario e che ha decretato il trionfo della Lega, non può essere insensibile ad iniziative come quelle di Grillo.
L’antipolitica ha da tempo preso il controllo del Parlamento, l’antipolitica è impersonata dagli esponenti di partito che praticano un massiccio presidio dei media e delle istituzioni ad impedire che qualsiasi voce difforme possa essere udita. L’antipolitica resiste a tutto, ha resistito ai girotondi, ai movimenti no-war e anche alla protesta sociale incarnata dai movimenti. Anni e anni di calunnie, di diffamazioni e oltre 15.000 denunce hanno contenuto chi ha provato a sostenere che un altro mondo sia possibile. Terroristi, teppisti, complici dei terroristi, maleducati; queste le risposte dell’antipolitica parlamentare alle manifestazioni popolari di dissenso. Un dissenso che quando si limita alla protesta è bollato come poco costruttivo, mentre quando avanza proposte viene semplicemente ignorato.
Un massiccia opera di diffamazione e di disinformazione portata da gente che ormai è priva di ogni credibilità e può sostenersi al potere solo in virtù della completa blindatura dei processi democratici e dei media. Ecco allora che accanto a Grillo c’è spazio anche per chi dice no alla democrazia rappresentativa e propone, come fa Massimo Fini, le piccole patrie. Ecco allora che molti si convincono che esista la soluzione miracolosa (la proposta di legge, il referendum o altro…) in grado di scardinare un sistema che invece potrà essere bonificato solo dopo che si sarà prodotta una vera e propria rivoluzione etica e morale più generale, che vada ben oltre i confini della politica.
Una rivoluzione culturale della quale non si vede traccia, visto che negli ultimi tempi a tenere banco sono ancora i deliri di Confindustria & co. Delirante è Montezemolo, che invoca “la crescita” nel bel mezzo di uno scenario economico stravolto dall’esaurimento delle materie prime e che chiede meno tasse per gli imprenditori che negli ultimi anni si sono arricchiti a spese della collettività. Posizioni e concetti primitivi, come quello della crescita infinita, veicolati acriticamente da media tanto compiacenti da apparire arruolati.
Spicca tra tanti il Corriere della Sera, con Ichino & Giavazzi impegnati a diffamare i lavoratori, con il buon Gian Antonio Stella che blatera di casta protetto dalle sinecure che la casta dei giornalisti privilegiati difende con i denti a detrimento dei giornalisti precari. E deliranti sono altre firme che gli siedono accanto, i professionisti della narrazione fantastica come Allam e Battista, impegnati a mantenere nell’opinione pubblica la paura della “minaccia islamica”. Ugualmente deliranti sono quei membri del governo che vedono nel denaro destinato allo stato sociale una spesa; uno spreco di risorse destinabili agli investimenti dei quali potrebbero beneficiare pochi fortunati. Tutti si ritrovano alla sera a pontificare sul futuro del paese nei salotti televisivi in una conventio ad escludendum che quando chiama in causa voci diverse lo fa per accusarle di tutti i mali del mondo.
Per capire il momento bisogna realizzare che nel paese cantano solo due voci; quella dei partiti interessati a perpetuare il proprio potere e quella del capitale interessato a demolire i partiti per avere ancora più spazio di manovra e meno impedimenti a realizzare guadagni discutibili. Altre voci non sono ammesse e devono mettere in conto di essere aggredite o criminalizzate non appena provino a levarsi. Gli interessi dei cittadini non sono in agenda.
In un quadro del genere ha quindi poco senso indagare Grillo o cercare risposte che sono sotto gli occhi di tutti. L’esempio della legge elettorale e di quella che interessa l’assetto dei media nel nostro paese spiegano meglio di mille parole l’esistenza di un sistema irriformabile, tenuto insieme da interessi e complicità che non potranno certo essere messi in discussione da Grillo e dai suoi. Se nemmeno la sinistra al governo ha interesse a rompere il quasi-monopolio informativo o ad eliminare la legge elettorale che priva il cittadino di qualsiasi possibilità di scelta del personale politico, non c’è da stupirsi che l’insoddisfazione dei cittadini emerga al seguito di Grillo o di chiunque si faccia interprete di istanze democratiche peraltro sacrosante.
Il movimento di Grillo non è la soluzione, ma allo stesso tempo non è un problema. Il problema è altrove, nella desolante occupazione della vita pubblica da parte di gente che segue agende completamente staccate dalla realtà e avulse dai bisogni dei cittadini. Il problema è in una politica che ha sempre meno rispetto dei cittadini, che sposa la concezione del politico come “principe” che decide (Cofferati dixit) senza perdere tempo ad ascoltare e a mediare le esigenze dei suoi amministrati, in un delirio di autosufficienza istituzionale; autosufficienza che non si ritrova da nessuna parte nella nostra Costituzione. Concezione diametralmente opposta a quella di Grillo che vede nei politici i “dipendenti” dei cittadini; due concezioni che per quanto antitetiche sono entrambe insussistenti (non esistono nelle nostre leggi) e sbagliate nella stessa misura.
Il vero problema del nostro paese è rintracciabile proprio in un pesante, quanto evidente, deficit culturale; manca la cultura democratica, manca un qualsiasi standard etico condiviso, manca il rispetto dovuto alla verità; quasi sempre piegata e distorta a seconda delle convenienza contingenti di questo o di quello. Nel nostro paese si fa il tifo invece di ragionare, nel nostro paese si santifica l’ignoranza, si umiliano gli insegnanti e la funzione della scuola, gli scienziati e la scienza. Disperato il paese che ha bisogno di Grillo, ma non meno disperato il paese che si trova con le televisioni occupate per giorni da una banalissima visita del Papa oltre frontiera, pretesto per offrire all’anziano prelato l’occasione per martellare i cittadini contro l’aborto e su quanto siano incivili e privi di morale tutti quelli che non sono d’accordo con lui e con la sua Chiesa. Disperato è un paese che è capace di produrre solo risposte stereotipate ed escludenti agli stimoli che giungono “dal basso”.
La politica italiana è ancora quella che era ai tempi dell’esplosione di Mani Pulite; se possibile, da allora è pure peggiorata grazie alla robusta iniezione di qualunquismo e becera ignoranza portata da Bossi e Berlusconi e grazie al collasso della sinistra istituzionale, che ha abdicato da tempo ad ogni funzione didattica verso le masse optando decisamente per una politica-spettacolo fatta di slogan vuoti ed inconcludenti ripetuti allo sfinimento. La gestazione del Partito Democratico è l’ennesimo esempio di tale degenerazione, le finte primarie a certificare leader calati dall’alto e l’uso del manuale Cencelli per traslocare all’interno del “nuovo” soggetto politico segretari e funzionari dei vecchi partiti senza che perdano la poltrona. Sono indizi più che evidenti dell’esistenza di un trasformismo che di nuovo ha ben poco.
In un quadro del genere non è ovviamente Grillo il problema, semmai Grillo può essere considerato un sintomo benigno di una malattia con la quale il sistema politico italiano ha dimostrato di saper convivere benissimo; almeno fino a che la malattia non dia segno di evolvere e minacciare i preziosi seggi parlamentari. Il sistema è malato e nessuno tra quanti potrebbero ha l’intenzione di curarlo, ecco allora che improvvisati guaritori possono salire alla ribalta e diventare eroi per un giorno. Passata la festa tutto tornerà come prima, almeno fino alla prossima esplosione d’insofferenza.
IL GRILLO PARLANTE IN UN PAESE MUTO
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