È noto che Mussolini fu eletto deputato il 15 maggio 1921 nella lista del Blocco Nazionale, un cartello elettorale di destra ideato da Giolitti e formato da liberali e nazionalisti e nel quale erano stati reclutati pure i fascisti. Una volta eletto Mussolini si collocò alla destra estrema dell’emiciclo e da quella posizione assicurò, sia pure in forme diverse e fasi alterne, l’appoggio esterno del gruppo parlamentare fascista ai governi che si susseguirono fino alla vigilia della Marcia su Roma. Il 23 luglio 1921, pur annunciando il voto contrario al Ministero Bonomi, non escluse un appoggio condizionato.

 

Il voto favorevole lo dettero però i nazionalisti, che dei fascisti erano sodali tanto che nel 1923 confluiranno nel Partito di Mussolini. Furono proprio i nazionalisti che il 17 febbraio 1922 determinarono, con i liberali e i fascisti, la caduta di Bonomi. In questa circostanza, tra i deputati che votarono l’atto parlamentare che mise in crisi il Governo, compaiono nel resoconto stenografico della seduta i nomi di Mussolini e Giolitti. Una situazione paragonabile a quella accaduta nella precedente seduta del 26 giugno 1921, quando Mussolini aveva votato con Antonio Salandra e Francesco Saverio Nitti contro il Governo Giolitti decretandone la fine.

Al Governo Bonomi subentrò il Ministero presieduto dal giolittiano Luigi Facta e del quale facevano parte il Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo e Alcide De Gasperi, il Partito Socialista Riformista Italiano di Bonomi, il gruppo liberale conservatore di Salandra, il gruppo liberale di Giolitti, il Partito Radicale Italiano di Nitti, il gruppo Democratico sociale di Giovanni Colonna duca di Cesarò e il Partito Agrario del principe Pietro Lanza di Scalea. Pur senza ministri né sottosegretari, il gruppo parlamentare fascista entrò a pieno titolo nella maggioranza di Governo e nella seduta del 18 marzo 1922 votò per la fiducia insieme ai nazionalisti.

Nel verbale della seduta si possono leggere i nomi dei deputati che all’appello nominale votarono a favore del Governo Facta: accanto ai famigerati nomi di fascisti e squadristi del calibro di Giuseppe Bottai, Costanzo Ciano, Cesare Maria De Vecchi, Dino Grandi, Giuseppe Caradonna, Cesare Rossi, si leggono i nomi di parlamentari prestigiosi che la storia ha elevato nel pantheon politico degli statisti italiani: da Giolitti a Salandra; da De Gasperi a Giovanni Gronchi, anch’egli destinato a essere eletto nel 1955 Presidente della Repubblica; da Nitti a Vittorio Emanuele Orlando. Mussolini, al momento del voto, era assente ma è inquietante notare che le massime personalità della classe dirigente politica del Paese si ritrovino consapevolmente alleate in una maggioranza di governo con i bastonatori in camicia nera.

Mussolini uscì dalla maggioranza nella seduta del 19 luglio 1922, quando la Camera approvò un ordine del giorno di critica al governo presentato dal Partito Popolare Italiano. Con Mussolini votarono, oltre a De Gasperi e Gronchi, anche Bonomi e Nitti.

Successivamente Mussolini, il 10 agosto 1922, negherà la fiducia al secondo ministero Facta, votato invece da popolari, radicali, liberali, socialriformisti, dai gruppi della Democrazia Sociale e degli Agrari e ancora una volta dai nazionalisti. Dal resoconto stenografico della seduta si apprende che alla votazione non parteciparono Bonomi, Salandra, Nitti, Orlando e Giolitti perché assenti; eloquentemente assenti, si potrebbe dire. Proprio in quei giorni, infatti, l’industriale Ettore Conti, presidente dell’Associazione fra le Società Italiane per Azioni e membro del Comitato Centrale Industriale, vero organo direttivo della politica economica e finanziaria dei gruppi industriali italiani, riferendosi a Mussolini annotava nel suo diario di augurarsi che Mussolini e i fascisti si decidessero a partecipare a un governo di ben maggiore autorità di quanto ne aveva dimostrato il mite Luigi Facta. L’augurio sarà esaudito. Giolitti, Salandra, Nitti, Orlando, Bonomi, i popolari, i nazionalisti e anche il mite Facta, si ritroveranno ancora una volta tutti assieme nella maggioranza governativa costituita attorno a Mussolini dopo che il Re Vittorio Emanuele III, nella piovosa mattinata del 30 ottobre 1922, gli avrà conferito l’incarico di formare un nuovo Governo.

Sono, quelle appena narrate, tutte vicende elettorali e parlamentari che evidenziano convergenze e complicità politiche non occasionali tra fascisti, nazionalisti, democratici, conservatori, liberali, cattolici e socialriformisti; e che dimostrano come Mussolini e il fascismo non fossero per nulla costituzionalmente isolati e fossero invece perfettamente intrecciati nel tessuto istituzionale della realtà politica italiana.

Ciò che emerge da questi avvenimenti è un intreccio politico di personalità e gruppi che attraversa la storia della marcia su Roma. Giolitti, Salandra, Bonomi, De Gasperi, Nitti, Orlando, Mussolini, i liberali, i fascisti, i popolari, i socialriformisti, i democratici, i nazionalisti, tra il 1921 e il 1922 fanno, disfano e rifanno i governi; ossia dominano la situazione politica italiana generando così le dinamiche che incideranno sul corso degli eventi di un secolo fa e che faranno del giovane ex socialista rivoluzionario il più giovane Primo Ministro del Regno d’Italia.

La lettura del verbale del primo Consiglio dei Ministri convocato da Mussolini il primo novembre 1922, consente di scoprire gli interessi materiali che si nascondono tra le maglie dell’intreccio politico intessuto dai partiti del centrodestra nell’Aula di Montecitorio tra il 1921 e il 1922. Egli affermò che il governo era unanimemente d’accordo su quattro specifici punti: «1) sistema rigida economia. 2) Ritorno industria privata dei pubblici servizi. 3) Politica di emigrazione legata ma non impastoiata alle formalità di legge. L’emigrazione temporanea deve essere regolata e così pure altre correnti emigratorie. 4) Riesame problema burocrazia, con la richiesta dei pieni poteri al Parlamento».

Poche righe dopo è messo a verbale quello che potrebbe definirsi il quinto punto, ossia che «Il Consiglio dei Ministri si è dichiarato unanimemente contrario ad imporre la nominatività dei titoli pubblici al portatore anche in forma diretta»; si è cioè dichiarato contrario ad applicare le imposte ai possessori dei titoli, garantendo quella che tecnicamente può definirsi elusione fiscale per i ricchi. Gli industriali che il pomeriggio del 28 ottobre avevano incontrato Mussolini a Milano, nella sede del foglio fascista «Il Popolo d’Italia», potevano ritenersi soddisfatti. Olivetti, Conti, Crespi, Benni, Pirelli potevano prendere atto che il governo stava andando nella giusta direzione.

Ventuno anni più tardi, nell’estate del 1943, i centri di potere che avevano fiancheggiato il regime negli anni del consenso, porranno fine al compromesso politico e defenestreranno Mussolini. Giolitti e Salandra torneranno agli onori della storia; De Gasperi, Bonomi, Gronchi, De Nicola sulla scena della politica. I loro voti e comportamenti a Montecitorio saranno oscurati dal gigantesco mito della marcia fascista su Roma elaborato dal regime; una marcia che a quanto pare non fu solo fascista.

                                                                                                                                                                                                                   

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