Matteo Salvini ci ha abituato a mille sproloqui insopportabili, ma quando parla di Russia non dice assurdità. Anzi, a volte sembra il bambino della favola di Andersen che urla “il Re è nudo”, manifestando l’evidenza che gli adulti fingono di non vedere. “Le sanzioni stanno alimentando la guerra – ha detto la settimana scorsa il leader leghista – molti imprenditori mi stanno chiedendo di rivederle. Ci stanno rimettendo gli italiani e guadagnando i russi, quindi a Bruxelles c’è qualcuno che ha sbagliato i conti”. E ancora: le sanzioni “non stanno funzionando, ripensare la strategia è fondamentale per salvare posti di lavoro e imprese in Italia”.

 

Salvini ha poi definito “una follia” l’ipotesi di un blocco dei visti d’ingresso per i cittadini russi, sentenziando che “si sta perdendo il senno”. Infine, sul versante energetico, l’ex ministro dell’Interno ha scritto su Twitter un “prima gli italiani” per una volta sensato. Il cinguettio si riferiva alla minaccia della Russia di chiudere le forniture di gas ai Paesi europei che seguiranno le indicazioni dell’Europa sul tetto al prezzo. Il senso, quindi, sarebbe più o meno questo: quando la Lega sarà al governo impedirà che lo scontro fra Washinton, Bruxelles e Mosca lasci gli italiani senza energia in pieno inverno.

Di per sé queste posizioni sono condivisibili o contestabili, ma di sicuro non si tratta delle solite follie leghiste. Il problema è che a monte non solo non c’è alcuna visione o strategia di politica internazionale, ma nemmeno un reale interesse per il Paese. L’obiettivo è sempre lo stesso: il tornaconto politico di cortile. Per faciloneria o semplice ignoranza storica, anni fa Salvini ha sbagliato clamorosamente i calcoli: si è compromesso con i russi pensando di poter puntare poi a Palazzo Chigi, senza sapere che in Italia non c’è mai stato un solo presidente del Consiglio sgradito agli Stati Uniti.

Ora è troppo tardi per tornare indietro - la strada che porta alla guida del governo è sbarrata per sempre - ma la Lega può ancora usare il suo legame con Mosca per ostacolare l’ascesa di Giorgia Meloni. Dell’alleata con la fiamma tricolore, infatti, Salvini non si fida per nulla: sospetta che voglia giocare da battitore libero e che, se potesse, abbandonerebbe volentieri il Carroccio al suo destino.

Come fare per metterla in difficoltà? Ad aiutare Salvini arriverà probabilmente una coincidenza di date fra l’agenda internazionale e quella italiana. Tra il 6 e il 21 ottobre il Consiglio europeo si riunirà due volte: la prima a Praga per decidere sul tetto al prezzo del gas; la seconda a Bruxelles, quindici giorni dopo.

La ritorsione di Mosca si potrebbe concretizzare proprio in quei giorni, che - guarda caso - sono gli stessi in cui dovrebbe vedere la luce il nuovo governo di centrodestra. Proprio mentre si consuma il passaggio di consegne con Mario Draghi, quindi, Meloni si troverebbe a gestire il tentativo di Salvini di spostare l’Italia su un asse meno filoatlantico e antirusso. Un bel guaio per l’aspirante premier, soprattutto se, alla fine, dalle elezioni Fratelli d’Italia uscirà meno trionfante e la Lega meno acciaccata del previsto.

In uno scenario simile, è chiaro che Salvini avrebbe in mano un’arma notevole per fare pressione su Meloni e condizionare in proprio favore non solo le nomine (prima nel governo, poi nelle partecipate), ma anche l’azione dell’Esecutivo. Allo stesso tempo, con un alleato così inaffidabile dal punto di vista euro-atlantico, è prevedibile che Meloni fallirà la sua missione principale: accreditarsi come punto di riferimento stabile e credibile a Bruxelles e a Washington. Senza questi lasciapassare, la sua carriera ai vertici delle istituzioni rischia di avere vita breve. Ed è proprio quello che Salvini spera.

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