Ogni giorno che la Lega passa al governo Matteo Salvini perde un po’ di terreno. L’ultima prova del teorema è arrivata dal decreto sul green pass per tutti i lavoratori, che ha restituito l’immagine di un Carroccio spaccato. Esiste una Lega governativa, guidata da Giancarlo Giorgetti e dai presidenti delle Regioni del Nord, e una Lega di lotta, di animo salviniano. Fra le due, però, la prima ha posizioni coerenti, mentre la seconda passa il tempo a protestare contro l’esecutivo di cui fa parte.

Una schizofrenia che si sta rivelando mortifera sul piano elettorale, perché allontana sia i voti moderati sia quelli dei sovranisti più radicali, che si spostano verso chi è davvero all’opposizione, cioè Fratelli d’Italia.

 

Fin qui, in Consiglio dei ministri, ha prevalso sempre la Lega di governo. Anche sull’estensione del certificato verde urbi et orbi Salvini ha ceduto a Giorgetti e a Draghi, che lo hanno messo a tacere con un semplice espediente. È bastato agitare lo spauracchio dell’obbligo vaccinale per fare al segretario leghista un doppio regalo, dandogli un bersaglio contro cui sfogarsi e un trofeo da rivendicare. Come da copione, oggi Salvini s’intesta il merito di aver impedito le punture coatte, ma la verità è che il governo lo ha ignorato tirandogli uno zuccherino: il solo scopo dell’esecutivo è sempre stato l’ampliamento del green pass.

La storia rischia di essere diversa in Parlamento, dove il decreto approderà a breve per la conversione in legge. Fra Camera e Senato, le truppe leghiste potrebbero allearsi con quelle di Giorgia Meloni e indebolire la maggioranza. Ma si tratterebbe di un atto di forza velleitario: Salvini nega ogni giorno che esistano “venti di crisi” e Draghi sa benissimo che il segretario del Carroccio non ha la forza di staccarsi dal governo.

La partita in corso non riguarda quindi gli assetti parlamentari, ma gli equilibri interni alla Lega, dove in molti auspicano un chiarimento dopo le amministrative di inizio ottobre. Elezioni che, per Salvini, rischiano di essere l’ennesimo campo minato.

Il primo pericolo riguarda Milano, dove i contrasti nella coalizione hanno dilatato oltre ogni ragionevolezza i tempi per la candidatura, poi ricaduta su un nome debole, il pediatra Luca Bernardo. A questo punto, il centrodestra è sfavorito e le colpe di un’eventuale sconfitta ricadrebbero tutte sul milanese Salvini.

Una batosta da cui il segretario leghista non può sperare di riprendersi vincendo a Roma, perché il successo in Campidoglio (possibile, ma tutt’altro che certo) pagherebbe dividendi solo a Meloni, che si rafforzerebbe ulteriormente come nuova guida della destra italiana.

Quanto a Napoli e a Bologna, i sondaggi danno in netto vantaggio i candidati sostenuti dalla coalizione Pd-M5S, Gaetano Manfredi e Matteo Lepore. Più incerto l’esito a Torino, che però da sola non basterebbe a rendere meno pesante il conto per il centrodestra.

Nel peggiore dei casi, quindi, la Lega rischia di arrancare nel suo primo bacino elettorale, il Nord, e di perdere colpi al Centro-Sud, dove Fratelli d’Italia continua a crescere. Sarebbe il punto più basso di sempre per la segreteria di Salvini. E, a quel punto, la resa dei conti nel Carroccio si farebbe davvero interessante.

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