Nella rifondazione del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte deve risolvere diversi problemi: le correnti, il rapporto con Rousseau, l’alleanza con il Pd, il collocamento in Europa. Prima di tutto, però, servono i soldi. Costruire un partito vero, con ramificazioni territoriali, non costa poco. Per questo si fa strada l’idea di abbattere l’ennesimo totem. Fin qui, il Movimento non ha accettato contributi pubblici, ma l’ex Premier sta valutando di cambiare questa politica, aprendo i forzieri al 2 per mille. Un contributo che potrebbe valere parecchio, se davvero la nuova formazione contiana vale quanto dicono alcuni sondaggi (il 20% o poco più).

I denari sono centrali anche nel conflitto con Casaleggio Jr, che dal Movimento pretende circa 440mila euro per i mancati versamenti dagli eletti grillini. Deputati, senatori, consiglieri regionali ed europarlamentari dovrebbero girare 300 euro al mese alla piattaforma, ma molti hanno smesso di farlo. L’impegno finanziario, infatti, non è regolato da un contratto, ma solo dal regolamento dei 5 Stelle. I pagamenti sono inquadrati come “erogazioni liberali” e l’unica punizione possibile per chi sgarra è l’espulsione, su cui però Casaleggio non ha voce in capitolo.

Per uscire da questo vicolo cieco, la soluzione più logica sarebbe un contratto di servizio che regoli i rapporti fra piattaforma e Movimento. Se ne parla da anni, ma trovare i termini giusti è un’impresa, perché quella finanziaria è solo una faccia del problema. L’altra ha a che vedere con la politica. Lo statuto M5S prevede che tutte le principali decisioni passino al vaglio di Rousseau: è per questo che, di fatto, Gianroberto prima e Davide poi hanno cogestito il Movimento insieme ai vertici. Una questione su cui Conte ha lanciato una frecciata velenosa durante l’assemblea in streaming di giovedì scorso: “La tecnologia – ha detto – non è mai neutrale. I processi devono essere trasparenti”.

Il rebus del contratto con Casaleggio non è però l’unico da risolvere. Conte ha parlato anche di costruire “forum, piazze delle idee aperte a tutti, non solo agli iscritti”. E, soprattutto, ha annunciato la stesura di un nuovo statuto con norme contro le correnti, che “non servono: sono solo sfere di influenze e di potere”.

Poi c’è l’alleanza stabile da costruire con il Pd. Enrico Letta è se possibile ancora più convinto del suo predecessore, Nicola Zingaretti, dell’importanza di saldare l’asse dem-5 Stelle.

Il problema è capire quali saranno i rapporti di forza: chi guiderà e chi si farà trascinare. Il banco di prova più importante su questo terreno saranno le amministrative che la pandemia ha fatto slittare all’autunno. Non conta solo il risultato: bisogna anche capire come ci si arriverà. In teoria, l’obiettivo è presentare candidati comuni nelle città più importanti. In partica, la missione è difficile a Torino e quasi impossibile a Roma, dove Virginia Raggi - assolta in primo grado e in appello per lo scandalo Marra - è in-scaricabile per i grillini e in-votabile per il Pd.

A sbrogliare la matassa, paradossalmente, potrebbe essere il centrodestra: se il candidato di Lega, Fi e Fdi (ancora da scegliere) riuscirà a superare il primo turno, Movimento e dem potranno convergere sullo stesso candidato al ballottaggio.

Se tutto andrà liscio, entro fine anno il Pd favorirà l’ingresso dei 5 Stelle nel Partito Socialista europeo. Un passo fondamentale per i grillini, che al momento non aderiscono ad alcun gruppo e per questo sono fuori da tutte le commissioni del Parlamento Ue. Come dire che non contano nulla.

Se invece il progetto di alleanza alle amministrative fallirà, anche l’affratellamento europeo sarà probabilmente destinato al naufragio. E, a quel punto, la strada verso le politiche del 2023 diventerà un incubo.

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