Si può davvero considerare di sinistra, o anche solo di centrosinistra, un partito in cui le porte girevoli fra politica e finanza sono sempre aperte? Dopo Pier Carlo Padoan, un altro parlamentare ed ex ministro del Pd abbandona gli uffici pubblici per traslocare in un gruppo privato. Si tratta di Marco Minniti, che lascia la Camera dei Deputati per diventare presidente di Med-or, fondazione creata giovedì scorso da Leonardo per essere un “mediatore economico, industriale e culturale” fra l’Italia e i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente.

 

In molti, c’è da scommettere, obietteranno che il salto di Minniti non risulta poi così indecente, perché la multinazionale erede di Finmeccanica è pur sempre un’azienda partecipata dello Stato. Ma la giustificazione non regge. È vero, il primo azionista di Leonardo è il ministero dell’Economia, ma la quota controllata dal Tesoro è di maggioranza relativa (il 30%). Parliamo quindi di un gruppo senz’altro strategico per le dimensioni e il settore in cui opera - la difesa e l’aerospazio - ma anche di una società per azioni privata con una fetta di capitale quotata a Piazza Affari.

L’aspetto più grave è però un altro. Minniti non era un deputato qualsiasi: dopo aver gestito la delega ai Servizi segreti nei governi Letta e Renzi, dal dicembre 2016 al giugno 2018 è stato ministro dell’Interno nell’esecutivo guidato da Paolo Gentiloni. E proprio quando era al Viminale ha concesso appalti a Leonardo per controllare i migranti sulle frontiere libiche. Niente male, vero? Un curriculum che non teme concorrenza e che ora gli permette di togliersi il costume da parlamentare per indossare quello da supermanager. Con una differenza di stipendio che si presume notevole.

La stessa che deve aver convinto Pier Carlo Padoan, lo scorso ottobre, a salutare Montecitorio per diventare presidente di Unicredit. Cioè la banca a cui il Tesoro sta cercando da anni di vendere il Monte dei Pachi di Siena, l’istituto nazionalizzato nel 2017 per evitarne la bancarotta. E chi era il ministro dell’Economia italiano nel 2017? Esatto, il buon Padoan.  

Qualche pierino col dito alzato dirà che, tecnicamente, un conflitto d’interessi si configura quando la stessa persona ricopre contemporaneamente due cariche in contrasto, ragion per cui le piroette di Minniti e Padoan sono legittime. Il che è vero, tecnicamente. Il problema è che in politica, oltre alla rilevanza penale degli atti, dovrebbe contare qualcosa anche il senso di decenza con cui si servono le istituzioni. Ed è evidente che persone come Minniti e Padoan gettano un’ombra sulle cariche pubbliche che hanno ricoperto. Visti gli sviluppi delle loro carriere private - e le evidenti correlazioni con quelle pubbliche - i cittadini italiani sono legittimati a chiedersi se, quando erano ministri, i due ex deputati del Pd hanno esercitato il potere nel nome del popolo o del proprio arrivismo.  

Certo, una legge di minimo buonsenso potrebbe cancellare sospetti di questo tipo, impedendo a chi ricopre una carica pubblica di andare a lavorare in aziende private con interessi affini a quelli dell’ufficio statale appena abbandonato. Non per sempre, ma almeno per qualche anno. Una specie di clausola di non concorrenza, come quelle che riempiono i contratti dei manager da sempre, senza che alcun liberista abbia mai gridato allo scandalo.

Ma ovviamente non c’è da sperarci, considerato che fin qui non siamo riusciti a varare nemmeno una legge sui conflitti d’interessi più gravi. In fondo, perché mai un parlamentare dovrebbe negarsi da solo un’opportunità di carriera?

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