Nessuno vuole le elezioni, ma tutti sembrano lavorare per ottenerle. Il comportamento di Pd, M5S e Iv ricorda quello di Zeno Cosini, protagonista del capolavoro di Italo Svevo, quando - una ad una - corteggia tutte e tre le sorelle Malfenti. Le prime due rifiutano di sposarlo, la terza accetta. Secondo i critici, però, nei primi due casi è Zeno a sabotarsi, perché il suo inconscio lo spinge fin dall’inizio verso l’ultima ragazza, Augusta. Che è anche la meno attraente.    

 

Ecco, le elezioni somigliano alla terza sorella Malfenti. Renzi ha aperto la crisi nella convinzione che dem e grillini - pur di evitare le urne - sarebbero tornati da lui supplicando. Il ragionamento, per quanto cinico, aveva una logica: se andassimo al voto, buona parte dei parlamentari in carica dovrebbe trovarsi un nuovo lavoro. Per due ragioni: primo, perché i seggi sono stati dimezzati; secondo, perché a vincere sarebbe il centrodestra, che quindi poi avrebbe l’agio di spendere i soldi del Recovery fund, spartirsi le nomine pubbliche ed eleggere il prossimo presidente della Repubblica. Un incubo.

Il piano di Renzi, quindi, poteva funzionare. Il problema è che poi Renzi ha fatto Renzi. Si è comportato talmente male - con la solita spocchia, le solite mancanze di rispetto, la solita arroganza - che alla fine si è sabotato. Come Zeno, inconsapevolmente ha agito per fallire. È riuscito a fare arrabbiare perfino il monaco zen Nicola Zingaretti, che fino all’ultimo ha creduto nella possibilità di evitare la crisi e dopo la rottura ha sbottato, definendo Italia Viva “inaffidabile”. Che per gli standard di Zinagaretti è già un parolone.

E così il motto originario “tutto, ma non le elezioni” si è trasformato in “chiunque, ma non Renzi”. Con il più grottesco dei contrappassi: la legislatura aperta con il “governo del Cambiamento” - che avrebbe dovuto condurci nella “Terza Repubblica” - in un colpo ci riporta indietro di qualche decina d’anni. Senza sapere come, i leader della maggioranza si affidano ai magheggi di Mastella e sperano nella disinvoltura di Cesa. Altro incubo.

Il problema è che nemmeno questa strada offre sbocchi. L’Udc, dopo una tirata di briglie da parte di Berlusconi, si è rimangiata la disponibilità al dialogo, preferendo rimanere nel centrodestra, mentre Mastella ha lasciato perdere. Risultato: addio al nuovo gruppo di “responsabili” che Conte pensava di costruire al Senato. I “costruttori” invocati da Mattarella ripongono la cazzuola e lasciano il Presidente del Consiglio in mezzo al nulla.

E quindi ora che succede? Per il momento, probabilmente, non molto. Il Governo dovrebbe ottenere lunedì la maggioranza assoluta alla Camera e martedì quella relativa al Senato, dove Renzi - per evitare la diaspora dei suoi, colti da horror vacui - ha annunciato l’astensione di Italia Viva.

Per tenere in piedi il governo è sufficiente. Per governare no. Anzi, in realtà anche se l’operazione responsabili fosse riuscita, si sarebbe posto un problema di governabilità, perché l’esecutivo avrebbe comunque rischiato di trovarsi in minoranza nelle commissioni. Figuriamoci adesso.

Al momento, la soluzione scelta da Conte consiste nel non proporre alcuna soluzione. Come da abitudine, quando si trova davanti a un problema apparentemente irrisolvibile il Presidente del Consiglio prende tempo, nella speranza che - col passare dei giorni e delle settimane - i tasselli vadano a posto da soli. Dopo il passaggio parlamentare, quindi, si andrà avanti confidando nell’istinto di sopravvivenza dei senatori renziani, molti dei quali potrebbero tornare nell’ovile del Pd pur di non veder svanire la propria carriera politica. Non è detto però che alla fine vinca la razionalità. Augusta Malfetti ci aspetta dietro l’angolo.

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