di Fabrizio Casari

Succede in Italia. Succede che il 17 Febbraio del 2003, a Milano, nel corso di una delle puntate del serial “War of terror”, ventisei agenti della CIA sequestrano un Imam della moschea di Viale Jenner, Abu Omar. Lo sequestrano per poterlo espatriare a forza in Egitto, dove potranno liberamente torturarlo. Lo fanno con la complicità di un settore dei servizi segreti italiani, che in una stravagante interpretazione della teoria della "doppia obbedienza", invece di operare per la salvaguardia della legalità italiana, preferiscono adeguare l’Italia alla legalità degli Usa. Succede poi che, dopo averlo imprigionato e torturato, Abu Omar, dopo quattro anni di carcere e di torture, torni libero, prima in Egitto, poi in Italia. Succede anche che dei giudici milanesi, evidentemente ancora pervicacemente allineati alla giurisprudenza italiana, aprono una inchiesta, come ordinato dal Codice, che prevede l’obbligatorietà dell’azione penale. Le indagini giungono alla richiesta d’incriminazione di uomini del Sisde e degli agenti CIA che hanno partecipato al sequestro, alla cattura e alla deportazione di Abu Omar. A questo punto, però, le cose cominciano a prendere una piega particolare.. Perché gli Stati Uniti, certo nell’ambito di quel rapporto d’intensa collaborazione e di alleanza cementato da oltre cinquant’anni, recentemente riconfermato dalla vicenda del Cermis e dell'assassinio di Nicola Calipari, decidono che no, non avremo giustizia. Che i suoi agenti, colpevoli o no, non li consegna. Quindi, qualora il Guardasigilli Mastella dovesse inoltrare la richiesta d’estradizione per poter processare i ventisei spioni sequestratori, essa verrà seccamente respinta. Per carità, si tratta ancora di una ipotesi, dal momento che anche l'aspetto italiano dell'l’affaire è ancora oggetto di braccio di ferro tra Procura di Milano e Governo italiano, che ha per oggetto l'opportunità o meno della testimonianza del generale Pollari in tribunale. Ma, per quanto attiene agli statunitensi, ove la richiesta dei magistrati fosse seguita dall’apertura formale di una richiesta di estradizione, questa, agli effetti pratici, risulterebbe una pura perdita di tempo.

Anzi, una simile protervia da parte dei giudici italiani non può che scatenare la reazione dell’alleato. Che minaccia di aprire un procedimento a carico dei due magistrati italiani per osare svolgere il loro lavoro. E anche per quanto riguarda le inchieste tedesche e spagnole, esse "possono danneggiare la collaborazione tra intelligence". Ce n'é anche per le conclusioni dell'inchiesta del Parlamento Europeo ("sbilanciata, inaccurata e non equa") sui voli illegali della Cia in Europa: fanno sapere che la risoluzione approvata a Strasburgo "non contribuisce alla necessaria cooperazione tra Stati Uniti e Europa". Perché quando mai si è visto che una colonia processa l’impero? Dove mai si è ipotizzato che i trattati bilaterali possono essere applicati in entrambe le direzioni? Come si può credere che un qualunque magistrato italiano può processare (e magari assolvere o condannare) un eroe americano?

Va bene che esiste un accordo bilaterale che prevede l’obbligo di assistenza e collaborazione, ma non si deve per forza prendere tutto alla lettera. E siccome, a parte Vicenza, risulta evidente che per gli Usa gli accordi internazionali non sono applicabili, bensì interpretabili, a questa che deve risultare una pretesa "ideologica e antiamericana", si risponde con atti ufficiali. Questo, almeno, è l’auspicio di David Rivkin e Lee Casey, due legali molto vicini alla Casa Bianca, che dalle colonne del Washington post, hanno proposto al Congresso una legge ad hoc, che permetta d’incriminare i magistrati europei che perseguono i funzionari statunitensi. L’indagine della Procura milanese, sostengono i due azzeccagarbugli dell’impero, “vìola il diritto internazionale sull’immunità diplomatica”. In campo è sceso anche il Wall street journal, che ha accusato i magistrati italiani di “essere in malafede”, anzi di essere dei “mascalzoni”.
Dev'essere però un vizio non solo italiano, visto che la americanissima Human Right Watch, ha proprio due giorni fa denunciato la scomparsa di 39 detenuti "fantasma" catturati nel 2001 e trasferiti in qualcuno dei lager segreti della Cia.

Bush non risponde e non risponderà nemmeno la Cia, ma resta l'affronto insopportabile che l'Italia arreca all'impero. Perché la nostra giustizia, italiana o europea che sia, non può, né ieri né oggi, permettersi di giudicare un cittadino statunitense. Che in cambio può, quindi, se opportunamente coperto dalla Convenzione di Vienna, operare in Italia e in Europa, violarne le leggi e le norme, commettere ogni tipo di reato, senza per questo dover essere giudicato. Le violazioni delle leggi e delle norme, che negli stessi Stati Uniti possono costare il carcere per gli agenti spionistici, statunitensi e non solo, in Italia non valgono. Dunque, la stravagante tesi: se il governo Prodi deciderà per la richiesta d'estradizione, si renderà "complice" e, ovvio, "danneggerà le relazioni tra Italia e Usa".

Antonio Di Pietro, Ministro delle Infrastrutture ed ex componente del pool “Mani pulite”, non certo un “antiamericanista” doc, non ha esitato nel definire le posizioni di Washington il frutto di una “impudenza senza confini”, aggiungendo che “gli Usa devono finirla con la pretesa di farsi giustizia da soli, dai nostri alleati ci aspettiamo collaborazione, non incriminazioni”. Se é questo che, legittimamente, ci si aspetta, sarà bene nutrirsi di pazienza. Ci sarà da aspettare a lungo. E inutilmente.




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