di Daniele John Angrisani

E' così finalmente il presidente Napolitano ha sciolto la riserva ed inviato di nuovo il governo Prodi alle Camere per la fiducia e la verifica dell'esistenza della maggioranza di centrosinistra, soprattutto al Senato. Dopo l'approvazione dei 12 punti programmatici da parte dell'intera Unione e dopo le dichiarazioni di Follini, che si è detto pronto a votare per il governo Prodi, Napolitano non aveva altra scelta che rinviare questo governo alle Camere. Che fosse questo alla fine il risultato della crisi di governo, lo si poteva comunque desumere sin dall'inizio, quando il presidente della Repubblica ha deciso di mantenere la riserva sulle dimissioni di Prodi, invece di accettarle tout court come ci si sarebbe potuto attendere in casi del genere. Ma, sebbene la crisi sia stata formalmente risolta con questa decisione, i nodi rimangono sempre aperti ed è molto difficile essere ottimisti sulla durata futura di questo governo, in special modo ragionando su un'ottica di medio-lungo periodo. Vediamo ora perchè. Innanzitutto la politica estera che è stata la causa diretta della sconfitta al Senato di mercoledì scorso e delle seguenti dimissioni del governo. E' vero che al primo punto delle dodici dichiarazioni programmatiche sottoscritte da tutti i leader del centrosinistra per risolvere questa crisi vi è l'impegno di tutta la coalizione a rispettare gli impegni internazionali, in special modo l'Afghanistan; ma questo non toglie che subito dopo la firma vi è stata una serie continua di distinguo e di "si, ma..." che lasciano sperare ben poco sul mantenimento dell'impegno sottoscritto. Mi riferisco in particolar modo alle dichiarazioni del senatore Rossi, uno dei due dissidenti che mercoledì ha contribuito alla sconfitta del governo, e della senatrice Rame, che ha detto di essere pronta a dimettersi una volta votato il rifinanziamento della missione italiana in Afghanistan. Per non parlare del fatto che il documento programmatico non fa alcun cenno alla questione dell'ampliamento della base di Vicenza che, assieme all'Afghanistan, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso della politica estera lo scorso mercoledì scorso al Senato.

Ma sono anche altri i punti di potenziale scontro che si intravedono dinanzi al cammino di questo governo risuscitato: iniziando dalla Tav (dove Rifondazione faticherà non poco a spiegare ai propri elettori una marcia indietro di questa magnitudine), per passare ai Dico (divenuti semplice materia parlamentare, ma non per questo meno scottante) e finendo al problema dei problemi, ovvero la mancanza di una posizione comune per tutta la maggioranza. Nonostante nell'ultimo dei 12 punti programmatici Prodi si sia arrogato il diritto di esprimere una posizione unica dell'intera maggioranza, da subito vi è stata la corsa dei vari leader della maggioranza per spiegare che "si, è vero, ma non si può pretendere che tutti dimentichino le proprie differenze" e che "la discussione costruttiva fa parte dell'Unione", che "non si è passati dalla differenza di posizione alla caserma in cui tutti hanno una posizione unica" e via dicendo. La sostanza di tutti questi distinguo è una sola: addio a qualsiasi sogno o desiderio di una posizione unitaria della maggioranza, tutti faranno per se, come è successo sino ad ora.

Ma allora, questa crisi di governo a cosa è servita? Secondo i dettami della criminologia, quando avviene un delitto, le indagini vengono svolte per individuare prima di tutto le motivazioni e, quindi, il mandante per cui è stato effettuato il delitto. Se seguiamo questa linea di pensiero, non possiamo che arrivare ad una conclusione univoca. Dalla dichiarazione programmatica in 12 punti grazie alla quale il governo è risorto come la Fenice dalle proprie ceneri, sono scomparsi non solo i Dico, ma anche qualsiasi richiesta di modifica o cancellazione della Legge Biagi, entrambi capisaldi politici della sinistra cosiddetta "estrema" parte della coalizione di governo. Per di più si riafferma, come detto precedentemente, il rispetto di tutti gli impegni internazionali legati alla nostra partecipazione all'Unione Europea ed all'Alleanza Atlantica. Chi ne ha tratto giovamento da questa che non si può definire altro che una svolta a destra della coalizione di governo? Se si pensa che determinante per la caduta del governo mercoledì scorso al Senato è stata l'astensione di Andreotti e Pininfarina, la risposta viene da se: Vaticano, Confindustria e Amministrazione americana, ovvero i cosiddetti poteri forti che da tempo bramavano per un cambio di politica in Italia e che alla fine sembrano aver ottenuto il proprio scopo.

Con questo, badate bene, non si vuole in alcun modo giustificare le scelte dei senatori "dissidenti" Turigliatto e Rossi che hanno contribuito in maniera decisiva alla sconfitta del governo al Senato con la propria posizione politica. Né, men che meno, sminuire la responsabilità politica di alcune forze della maggioranza, Rifondazione Comunista e Comunisti Italiani in primis, che hanno deciso di marciare a Vicenza contro il loro stesso governo, fornendo il contesto politico, ed allo stesso tempo il pretesto, per la bocciatura della politica estera del governo al Senato ed alle seguenti dimissioni, tradendo così il mandato che gli era stato dato dai propri elettori. A prescindere, comunque dalle responsabilità politica, rimane il fatto indiscutibile che la sera delle dimissioni di Prodi i bicchieri hanno brindato più Oltretevere ed Oltreoceano che nelle sedi dei partiti dell'opposizione, dove nessuno, neppure Berlusconi, credeva realmente alla possibilità di andare alle elezioni in tempi brevi ed al conseguente harakiri della maggioranza di centrosinistra.

E' su questo che la coalizione di governo appena risuscitata dovrebbe riflettere seriamente: fin quando non sarà trovata una verità unità politica sugli obiettivi da raggiungere ed i mezzi per farlo, il governo e la sua maggioranza traballante rischieranno di rimanere ogni volta ostaggio della volontà dei poteri forti e dei movimenti politici minoritari, con la conseguenza che il governo del nostro Paese rimarrà sempre un governo a sovranità limitata. Il suo destino, predeterminato, sarebbe quello della semplice sopravvivenza per un periodo più o meno lungo di tempo e, contemporaneamente, dell'incapacità di intraprendere la via di quelle riforme di cui il nostro Paese ha assoluto bisogno per il proprio futuro. L'Italia in questo momento ha bisogno di tutto fuorchè di questo: ha bisogno innanzitutto di un governo forte e stabile e i nostri politici hanno il dovere di garantirglielo dinanzi ai nostri elettori.

E' su questo che ora si gioca ciò che rimane della credibilità della nostra sinistra come forza di governo. La maturità e l'affidabilità delle forze politiche si vede anche dalle scelte prese nei momenti di difficoltà. Non tutto è perduto, anzi il vento potrebbe cambiare completamente se nei prossimi mesi, se la maggioranza facesse ciò per cui è stata eletta e dimostrasse agli elettori italiani di essere capace di governare e riformare il nostro Paese. E' questo il mandato del 9-10 aprile 2006, ed è questo che bisogna dimostrare di essere capaci di fare, se si vuole andare davvero avanti.

Un vecchio proverbio americano afferma: "Fregami una volta e sei tu l’imbroglione, fregami due volte ed il fesso sono io". Prodi è stato avvisato. La prossima volta non vi sarà alcuna seconda occasione.


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