di Fabrizio Casari

Sarà Beppe Grillo, oggi, a chiudere la riunione fiume del Direttorio del M5S sul “caso Roma”. Ma quale che siano le deliberazioni che verranno adottate, una cosa è chiara: la guerra dei palazzinari e del partito trasversale delle olimpiadi, della gestione dei rifiuti e della manutenzione delle opere pubbliche, è ormai dichiarata. La dichiarazione di guerra del partito degli affari contro il Movimento 5 Stelle è stata affidata a giornali, radio e televisioni di proprietà o di complemento.

Il PD, che avrebbe milioni di motivi per tacere su Roma, urla e i giornali di riferimento del Premier ne diffondono la voce. La Sindaca, dal canto suo, pare prigioniera di errori suoi e dei suoi consiglieri. Insomma, Roma è stretta tra alcuni errori di gestione del governo della neo sindaca e l’aggressione mediatica della stampa di regime.

Ma il rumore di nemici non assolve gli errori grillini, frutto di mancanza di qualità politica e, ancor più, di comunicazione (anche se davvero il rapporto con i medi militarizzati non è questione da risolvere con qualche mago degli Uffici Stampa). L’impressione, fino ad oggi, è che il M5S e la stessa Raggi non avessero calcolato prima il peso di quello che sarebbe stata la reazione dei poteri forti alla vittoria di un governo contrario ai suoi interessi.

Governare Roma è certamente compito improbo. La mole dei problemi, che in una qualunque metropoli sono pari al suo volume, nel caso di Roma subiscono una ulteriore difficoltà per l’intreccio spaventoso di corruzione e incapacità delle amministrazioni precedenti. Il tutto poggiato su un letto di spine rappresentato da un debito mostruoso che oscilla tra i 13 e i 14 miliardi i Euro.

Dunque la neonata giunta Raggi ha di fronte a sé una difficoltà di gestione davvero impossibile da non riconoscere, su cui s’innesta una oggettiva scarsa esperienza. La  competenza davvero non può essere rivendicata vista la sostanziale iniziazione del M5S e della sua Sindaca alla politica e all’amministrazione pubblica. Fatte salve infatti le legittime aspirazioni a governare da parte di chiunque, va ricordato - soprattutto ai Cinque Stelle - che il governo di un sistema complesso ha bisogno di competenze, professionalità, esperienze e abilità politiche.

Sì, politiche, perché diversamente da quanto sembra ormai essersi inculcatosi nel main stream in 20 anni di berlusconismo, governare non è questione tecnica, non è affare di gestione amministrativa. E’, invece, questione tutta politica, alla quale coerentemente si deve adeguare il modello di amministrazione e gestione che da quell’impostazione politica deriva. Certo, l’onestà e la trasparenza, cavalli di battaglia dei pentastellati, non possono mancare; ma queste sono una precondizione, non un programma di governo.

Ovviamente, nel contesto di una realtà criminogena ed incapace come quella dimostrata dalle amministrazioni che l’hanno preceduta, l’onestà del M5S ha giocato un ruolo preponderante al suo plebiscito, frutto soprattutto di un voto di castigo ai partiti “storici” più che una adesione al programma elettorale del M5S.

Ebbene, secondo molti, i primi due mesi della Giunta Raggi non hanno corrisposto alle attese. Anche qui si sconta più del dovuto la retorica dei “cento giorni”; una vulgata diffusa che non ha nessun motivo d’esistere, ma non è questo il punto. Anzi, va detto che la pulizia della città è risultata riscontrabile quanto apprezzabile, e l’obiezione per la quale sarebbe stato semplice pulire la città in quanto ad agosto una parte degli abitanti vanno in ferie, è un’autentica sciocchezza.

Se i romani vanno in ferie (sempre meno e per minor tempo) l’affluenza dei turisti è decuplicata rispetto agli altri mesi dell’anno, il che, sul piano numerico, pareggia i conti e oltre. Poi andrebbe ricordato che la schifosa gestione dell’Ama da Alemanno in poi non s’interrompeva nemmeno ad agosto, dunque meglio sorvolare.

Eppure, lo spettacolo offerto dalle correnti interne ai 5 Stelle di Roma non entusiasma. Si tratta ora di ripartire facendo tesoro degli errori. Non è possibile affrontare la macchina amministrativa del Campidoglio senza competenze e relazioni, ma queste non vivono solo negli avanzi delle giunte precedenti. Ci sono competenze e professionalità sparse che possono essere utilizzate con profitto.

Sono molte le zone d’ombra su quanto avviene, a cominciare dal ruolo dell’ ANAC che non si capisce a che titolo viene consultata, così come non è chiaro il ruolo di alcuni personaggi della giunta, dal vicesindaco a scendere. Urge buon senso. Certo non si può chiedere alla Sindaca di costruire una giunta solo con il consenso del direttorio del movimento; ha tutto il diritto di scegliere i collaboratori per gli incarichi di natura fiduciaria, ma è pur vero che non può essere ignorata la sensibilità del Consiglio Comunale e, dunque, del Movimento romano.

E se non è realisticamente possibile ritenere obbligatoria l’adesione al M5S da parte di ogni assessore o funzionario chiamato a lavorare in giunta, nemmeno si può rivendicare il cambiamento e poi affidarsi a persone e curricula ampiamente sperimentati nel flagello delle precedenti amministrazioni.

In particolare desta inquietudine quel filo relazionale tra la Sindaca e gli studi legali Sammarco e Previti, che a Roma significano cose precise e affatto gradevoli. Seppure la Raggi ha avuto esperienze professionali legate ai due studi - il che non è certo un reato - essi non possono riprodursi oggi, meccanicamente, in un contesto che è, gioco forza, politico.

Questa crisi d’inizio lavori dovrebbe anche contribuire all’apertura di una riflessione interna al Movimento Cinque Stelle. In particolare nel riconsiderare a norma di codici il valore giuridico dell’apertura di un fascicolo in un regime di obbligatorietà dell’azione penale. Una ipotesi di reato comporta quasi in automatico successivi avvisi di garanzia che, come indica la loro stessa denominazione, sono uno strumento di garanzia, non l’anticamera di una condanna.

Va dato atto ai 5 Stelle di non appartenere alla folta schiera di coloro per i quali la legge per nemici si applica e per gli amici si interpreta. Ma il procedimento è vario e non può essere ricondotto alla semplificazione forcaiola. Un Pm non è un giudice e sovrapporre i ruoli è un errore che non può divenire un programma.

Senza una condanna, almeno in primo grado, equiparare la persona che riceve un avviso di garanzia ad un colpevole, equivale a definire che l’accertamento giudiziario non ha valore, per il semplice fatto di essere inseriti in un inchiesta dovrà portare ad una sentenza di colpevolezza.

Così ottenendo, per converso e paradossalmente, l’affermarsi subdolo della teoria per la quale se tutti sono colpevoli, allora nessuno lo è. Nemmeno i nemici.

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