di Antonio Rei

Informatico, imprenditore, politico astuto, teorico del web come strumento di democrazia diretta, burattinaio occulto e dispotico, delirante sciamano. Si possono trovare mille definizioni per Gianroberto Casaleggio, scomparso ieri a Milano all’età di 61 anni al termine di una lunga malattia, ma nessuna prevale sulle altre. Per comodità, da anni i giornali italiani hanno optato per l’etichetta di “guru”. Un termine polivalente, difficile da decifrare e perciò adatto al cofondatore del Movimento 5 Stelle, una delle figure più ambigue, contraddittorie e a suo modo potenti degli ultimi anni della politica italiana.

Al di là delle narrazioni di colore proliferate sul suo conto, il contributo più importante che Casaleggio ha portato alla vita del nostro Paese è stata probabilmente la comprensione di quanto il web sia decisivo per orientare le opinioni di massa, e dunque per fare politica. Mentre celebrava il funerale della vecchia comunicazione di partito (ma anche del marketing berlusconiano in stile Publitalia), Casaleggio ha trasformato il blog di un comico carismatico nel punto di riferimento ideologico di milioni di italiani, dando vita a un’entità che in pochi anni si è affermata come seconda lista più votata d’Italia. Il Movimento 5 Stelle era al 2% nel 2011, mentre oggi viaggia intorno al 28%.

Un’impresa del genere poteva riuscire soltanto pescando voti ovunque, da Casa Pund ai centri sociali, dagli incolti a Dario Fo. In questo modo la creatura di Casaleggio e Grillo ha assunto i connotati di un populismo apolide, connotandosi come unica entità trasversale tra le forze populiste europee. I fondatori del Movimento ritennero non aver più alcun senso dividere l'Italia fra destra e sinistra e sono arrivati al successo catalizzando la rabbia di milioni di persone, interpretando in modo efficace il sentimento di rifiuto nei confronti dei partiti, dei sindacati e di qualsiasi forma di rappresentanza. Hanno dato un’alternativa ai delusi di destra e di sinistra, facendo leva su un traboccante e più che giustificato misto di indignazione e frustrazione.

A questo punto rimane da capire quale direzione prenderà il Movimento. Se la scomparsa di Casaleggio fosse arrivata qualche anno fa, probabilmente la compagine grillina si sarebbe sfarinata dando ragione ai molti (e per ora smentiti) profeti di sventura che con snobismo si ostinano a considerare M5S una meteora nella politica italiana. La progressiva strutturazione del Movimento, invece, ha creato nel tempo una vera e propria classe dirigente pentastellata, capeggiata da Luigi Di Maio e da Alessandro Di Battista. E’ evidente che adesso il ruolo dei due grillini di punta si rafforza e che entrambi dovranno dimostrare di saper esercitare un ruolo di guida anche in assenza della silenziosa regia dall’alto di Casaleggio.

Ma anche se ci riusciranno non sarà sufficiente: statuto alla mano, i parlamentari di M5S non possono rimanere in carica per più di due mandati, perciò tanto Di Maio quanto Di Battista dovranno abbandonare la politica al più tardi nel 2023, ancora giovani. E’ probabile che, se l’istinto di sopravvivenza prevarrà su quello autolesionista, il Movimento si troverà costretto a modificare questa norma, rassegnandosi all’assioma secondo cui in qualsiasi agglomerato politico le élites direttive si formano sempre e comunque, spontaneamente. Forse non sono auspicabili, ma risultano comunque necessarie e inevitabili.

Rifiutare questo principio significa inseguire l’ideale della società che seleziona al proprio interno i migliori e si autogoverna attraverso la rete, realizzando in terra (peggio, in Italia) il massimo della trasparenza e della democrazia. Era esattamente questa l’utopia propugnata da Gianroberto Casaleggio, che a volte si lasciava andare ad accenti talmente predicatori e strampalati da far nascere il sospetto di uno strisciante intento canzonatorio.

Lo stesso guru, però, era anche accusato da più parti di esercitare il potere nel Movimento senza alcuna democrazia né trasparenza, come dimostrano le innumerevoli epurazioni ordinate dall'alto e la disinvoltura della Casaleggio Associati nella gestione della posta elettronica dei parlamentari grillini. Era forse questa la più grande contraddizione di Casaleggio. Uno scontro di mondi opposti che strideva ancor più dei capelli da hippie sul completo da manager.

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