di Fabrizio Casari

Se n’è andato in silenzio, a 89 anni, con la discrezione che ha caratterizzato la sua vita personale. Armando Cossutta, figura storica del comunismo italiano, ha chiuso gli occhi. Come un signore d’altri tempi, circondato dalla sua famiglia, amata più di ogni altra cosa al mondo e che da lui ha appreso il senso dell’esistenza, tutta spesa a favore della causa che sposò da giovanissimo e alla quale rimase fedele fino all’ultimo minuto.

Partigiano a diciassette anni e per tutta la vita, combattente nella Brigata Garibaldi, ebbe nella Resistenza e nella Costituzione che da essa derivò le stelle polari che ne guidarono le scelte politiche, dal PCI fino ai Comunisti Italiani. Perché Armando Cossutta ebbe non solo un ruolo straordinario nel Partito Comunista, ma anche l’ardire di dare vita ad altri due partiti comunisti, entrambe avventure che solo la stoltezza politica di Bertinotti prima e le ambizioni di Diliberto poi, riuscirono a trasformare in due feticci inutili nel panorama politico italiano.

Bastava conoscerlo per capire quanto i cliché che gli venivano affibbiati fossero del tutto fuori luogo. Venne definito filosovietico per il suo legame con Mosca, dimenticando però che quel legame non era il frutto di una scelta personale - certamente condivisa - ma riferiva di una collocazione politica del PCI tutto. E non si considerò che proprio lui, il “filosovietico”, seppe scontrarsi duramente con i vertici del PCUS quando davvero per farlo servivano convinzione politica e tempra ben diversa da quella oggi in uso. Altro che portare nel PCI le tesi di Mosca. Difese piuttosto, di fronte ai sovietici ed ai loro alleati, le scelte di politica interna ed estera del PCI; mai ebbe un dubbio su questo. Fu non a caso lui che, condannando l’invasione di Praga, dopo essersi consultato con Luigi Longo scrisse: “I confini degli ideali socialisti non collimano con quelli degli stati socialisti”.

Considerava l’Unione Sovietica un progetto incompiuto, non replicabile ma nemmeno da disprezzare; cresciuto alla leva dei migliori allievi di Luigi Longo, sapeva bene quanto ogni testo dovesse essere calato in un contesto e quanto, la pur straordinaria importanza della tattica, non dovesse mai far perdere di vista l’orizzonte strategico.

Svolse per il PCI ruoli di assoluta delicatezza e lo fece con assoluta efficacia e precisione. Guardiano severo della disciplina di partito, come ebbe a dire Berlinguer “accumulò molto potere ma senza mai abusarne”. Nella vulgata dell’approssimazione passava per essere l’uomo della conservazione, restìo ad aderire all’idea di un PCI che dovesse aprirsi, mentre in verità Cossutta, che certo era custode geloso di quella diversità e di quegli ideali, ben comprendeva le ragioni del compromesso storico e persino dell’unità nazionale, ma non poteva tollerare la discesa del suo partito e degli interessi di classe che rappresentava verso una deriva ideale e politica, che avrebbe prodotto proprio quella che lui ebbe a definire “ la mutazione genetica”.

Proprio quell’ansia smodata di modernità compatibile con il sistema che si voleva cambiare nel profondo, Cossutta considerò essere il portato di un abbandono dei principi su cui quella diversità si era forgiata. Combatté in ogni modo e luogo la battaglia per tenere il suo partito all’interno di uno schema di alleanze internazionali con il mondo socialista, che sapeva essere aggancio fondamentale contro la deriva moderata che, per quei principi, disponeva l’archiviazione.

E fu proprio in opposizione al voto favorevole all’adesione dell’Italia alla prima guerra del Golfo che decise di rompere con quella liturgia a lui così cara e votare in difformità dalle indicazioni del partito. Contrastò la Bolognina soprattutto considerando che, quel cambio di nome, era il segno simbolico e definitivo dell’abbandono di un sistema di valori sull’altare della governabilità comunque e con chiunque.

Diede quindi vita a Rifondazione Comunista pur scegliendo di non assumerne il ruolo di Segretario, proprio in ragione del fatto che il suo nome e la sua storia potevano risultare un intralcio all’allargamento verso la sinistra dispersa che voleva e seppe far convogliare nel progetto rifondativo.

Tenne insieme offrendogli una sponda politica decine di migliaia di militanti che, dopo la fine del PCI, perdevano il punto di riferimento di tutta la vita. Seppe ribellarsi al generale “rompete le righe” tanto in voga in quegli anni e ricostruì una prospettiva per chi voleva analizzare gli errori per superarli in avanti. Questo fu uno dei suoi grandi meriti: rifiutare l’abiura proposta dal pensiero unico e tentare di ricostruire una idea e una prassi della trasformazione politica rivendicando la nobiltà di quell’aggettivo qualificativo - comunista - che aveva così profondamente segnato il secolo scorso.

Ed ebbe il coraggio  di riconoscere anche gli errori di quel partito comunista di cui era stato tra i massimi dirigenti. In una lettura dinamica, aperta al confronto e sensibile agli argomenti, non ebbe incertezze a riconoscere a Berlinguer di “aver avuto ragione sullo strappo, ma torto sulla deriva ideale del partito”. E, libero dai condizionamenti e aperto al dialogo ed alla riflessione con la sinistra che pure aveva una storia diversa dalla sua, si trovò con naturalezza davanti ad una platea di ex appartenenti a Lotta Continua a riconoscere gli errori del PCI negli anni dell’emergenza, affermando: “Non comprendemmo”.

Ma non è solo il dirigente politico di cui si sentirà la mancanza. Armando Cossutta è stato un uomo come pochi. E, sia concesso dirlo, anche sul piano personale fu uomo di assoluta gradevolezza. Un signore vero, una persona garbata, elegante e sobria, che sapeva voler bene e farsi voler bene da chi aveva vicino. Conscio dei suoi limiti e delle sue qualità, fu persona estremamente riservata e uomo di cultura: amava la letteratura, i classici latini, adorava la storia e la musica classica, amava con tutto se stesso i suoi tre figli e i quattro nipoti.

Il suo legame con la moglie Emilia, per tutti Emy, è stato unico ed irripetibile, nato durante la guerra e proseguito incessante e dolcissimo per tutta la vita. Per oltre settant’anni nulla decise senza la sua amata Emy, dalla quale non si separò mai nemmeno un momento e con la quale s’integrava perfettamente. Apparentemente così diversi caratterialmente, erano una persona sola. Quella in cui ritrovi te stesso e, spesso, più di te stesso.

Ed oggi, che la volgarità e il denaro hanno sostituito l’eleganza, gli ideali e la dedizione di un tempo, la figura di Armando Cossutta assume i contorni di un protagonista assoluto che vorremmo ancora fosse al suo posto di lotta. Anche questo modo che oggi definiremmo così antico di pensare ad una vita colma di passioni ideali e così priva d’interessi personali, ci mancherà. Di uomini così, di dirigenti così, si è perso lo stampo.

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