di Antonio Rei

Forcaiolo inflessibile a Roma, garantista irreprensibile in Campania. Quella del Pd renziano sembra proprio una schizofrenia di bieca convenienza politica. Al di là delle eventuali responsabilità penali di Ignazio Marino e di Vincenzo De Luca, che saranno stabilite dalla magistratura, il marasma delle ultime settimane ha dimostrato che non c'è limite al trasformismo del Premier e del suo partito.

Da perfetto democristiano, il Presidente del Consiglio adotta pesi e misure differenti in base al proprio interesse, scegliendo di volta in volta la strada che ritiene più conveniente per accrescere o conservare il potere di cui dispone.

Con tanti saluti a ogni principio di equità e democrazia nella gestione interna del partito, oltre che a ogni velleità di coerenza. E' impossibile spiegare diversamente la disparità di trattamento che il Pd ha riservato all'ormai ex sindaco di Roma e all'attuale governatore della Campania. Una piroetta rapidissima, degna della migliore etoile.

"La mia posizione, quella del governo e quella del partito, è di avere rispetto per la magistratura: faccia il suo corso, noi abbiamo molta fiducia". Queste le parole di Renzi in conferenza stampa a proposito del governatore De Luca, indagato per concussione insieme ad altre sei persone, tra cui una giudice del Tribunale di Napoli, Anna Scognamiglio, al marito di lei Guglielmo Manna, manager dell'azienda ospedaliera Santobono, e all’ex capo della segreteria del governatore, Carmelo Mastursi. "Il presidente della Regione ha la titolarità, il diritto e direi anche il dovere di governare quella Regione, ha un mandato pieno dai cittadini", ha chiosato il Premier.

Non più tardi di un mese fa, Renzi avrebbe potuto pronunciare queste identiche parole in riferimento alle vicende che hanno terremotato il Campidoglio. Peccato che in quel caso, invece del pacato garantismo concesso a De Luca, abbia scelto la strada del massacro politico-mediatico. Un vero e proprio tiro al piccione: nelle ultime fasi del suo mandato Marino è stato impallinato a ripetizione dai suoi stessi compagni di partito che, dopo averlo a lungo sostenuto, hanno cambiato linea dalla sera alla mattina per rispondere a un ordine arrivato dall'alto.

"Se non si dimette lui lo dimettiamo noi", Renzi dixit. E così è stato: prima ancora che dalla Procura partisse l'avviso di garanzia (Marino è indagato per peculato e falso in atto pubblico), il destino del sindaco era già stato deciso. Non nelle urne elettorali, né in Assemblea capitolina, ma a Palazzo Chigi. Contro ogni regola o prassi democratica, il primo cittadino di Roma è stato cacciato per decisione del capo del suo partito.

Intendiamoci, Marino di errori ne ha commessi a iosa, soprattutto per la comunicazione disastrosa e l'incapacità di trovare soluzioni efficaci ai problemi più gravi della città. Ma la campagna mediatica scatenata contro di lui è stata semplicemente ridicola, addirittura più severa di quella riservata a Gianni Alemanno, come se qualche cena pagata con la carta di credito del Comune fosse paragonabile all'architettura camorristica di Mafia Capitale. 

In teoria, nel momento in cui Renzi ha deciso di cacciarlo, anche Marino aveva "la titolarità, il diritto e anche il dovere di governare" il Comune di Roma. Anche lui aveva ricevuto "un mandato pieno dai cittadini", volendo in modo anche più limpido di De Luca, che pur di vincere ha riempito le sue liste di personaggi quantomeno ambigui. Ma la verità è che l'ex sindaco di Roma ha perso il posto per ragioni che con "il mandato dei cittadini" non avevano nulla a che fare.

Tutto si è giocato su una logica di potere: Marino era un non-renziano che ricopriva una carica troppo importante per essere tollerato da Renzi. De Luca, invece, deve rimanere dov'è: dopo la clamorosa sconfitta del Pd in Liguria, la quasi sconfitta in Marche e Umbria e la bagarre in Campidoglio, perdere anche la Campania vorrebbe dire esporsi a un rischio grave, quello d'innescare la spirale della sconfitta. Pur di evitare un pericolo del genere, Renzi accetta di esibirsi in piroette senza scrupoli.

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