di Antonio Rei

Mario Draghi invita all’eutanasia, Matteo Renzi risponde piccato. In un’intervista pubblicata ieri dal Financial Times, il Premier italiano (e presidente di turno dell’Ue) fa la voce grossa contro il numero uno della Banca centrale europea: “Sono d’accordo quando dice che l’Italia ha bisogno di fare le riforme, ma come le faremo lo deciderò io: non la Troika, non la Bce, non la Commissione Europea. Farò io stesso le riforme, perché l’Italia non ha bisogno di altri che le spieghino cosa fare”.

Salta subito agli occhi quel pronome personale di prima persona ripetuto due volte in due frasi, come se il Parlamento fosse un inutile orpello e il potere legislativo fosse affidato ormai nemmeno al Governo, ma all’unico uomo forte della compagine, Matteo il Grande. Se si va oltre il consueto egocentrismo renziano, tuttavia, la traccia sotterranea conduce a uno scontro fra poteri ben più grandi di Palazzo Chigi.

La sparata del Premier è una replica alle parole pronunciate da Draghi la settimana scorsa al termine dell’ultimo Consiglio direttivo della Bce. Secondo il numero uno dell’Eurotower, “è arrivato il momento che i Paesi dell’Eurozona cedano sovranità all'Europa per quanto riguarda le riforme strutturali” e l’Italia è la dimostrazione di come “l’incertezza generale che circonda le riforme economiche” aggravi “la debolezza degli investimenti privati”. Come a dire: fatevi da parte e lasciate che Bruxelles governi al posto vostro.

Si tratta di una posizione diametralmente opposta a quella degli Stati Uniti. In un’intervista pubblicata il 6 agosto su La Stampa, il segretario di Stato Usa John Kerry si è schierato apertamente dalla parte dell’Italia, promuovendo in toto la linea economica portata avanti da Renzi in Europa.

Da una parte, quindi, gli eurocrati vorrebbero sostituirsi tout-court alla politica italiana; dall’altra, gli statunitensi non solo sostengono l’indipendenza di Roma, ma vorrebbero addirittura che il nostro Paese godesse di maggiore autorevolezza dalle parti di Bruxelles. Una dicotomia che risponde a progetti e interessi divergenti.

I rapporti fra Renzi e gli Usa sono notoriamente stretti e in Europa tutti sanno che quando apre bocca l’ex sindaco fiorentino è come ascoltare un portavoce di Washington, malgrado il suo rapporto cruento con la lingua inglese. In qualche modo lo ha ammesso anche il diretto interessato, quando, in passato, si è paragonato a Tony Blair, che degli americani è stato uno zelante servitore. Gli Stati Uniti hanno voluto Renzi a Palazzo Chigi e ora auspicano che lì rimanga il più a lungo possibile.

Dal punto di vista americano, Renzi è un pedina da usare in funzione anti-Merkel, per contrastare la rigidità dell’Europa a trazione tedesca che sta soffocando un mercato cruciale per gli Usa. Ma purtroppo per Kerry & Co. gli anni Novanta sono finiti: Renzi non è Blair e il suo nanismo politico non riuscirà mai a scalfire la cortina del Fiscal Compact.

La favola della flessibilità è uno specchietto per le allodole e non comporterà in nessun caso una reale svolta della politica economica europea nel segno della crescita. Al contrario, il Pil è e resterà ben lungi dal ripartire. Tutte le stime ottimistiche dei mesi scorsi sono andate in fumo: nel secondo trimestre il prodotto interno lordo del nostro Paese ha registrato un -0,2% che lo ha riportato ufficialmente in recessione e ad oggi non c’è alcun motivo per sperare in una vera ripresa nel 2015, considerando che in sette mesi l’unico provvedimento economico varato dal Governo è stato il bonus Irpef da 80 euro.

Secondo il Presidente del Consiglio “l’Italia ha un grande futuro”, ma oggi sembra assai più verosimile che l’inconsistenza di chi ci governa favorisca la realizzazione del progetto cui vagamente accennava Draghi. La meta finale è l’euro-commissariamento della periferia dell’area valutaria, dove Paesi di alta rilevanza economica - in primis Italia e Spagna - non hanno alcuno strumento politico per opporsi alla colonizzazione della Troika. La lobby di tecnocrati e rappresentanti di gruppi bancari e finanziari che guida le istituzioni comunitarie intende appropriarsi della sovranità esercitata dai singoli Paesi sul proprio destino.

Insomma, Renzi vuole trasformare il Senato in una scatola vuota per rimuovere ex lege un ostacolo al suo potere, eliminando a monte ogni concertazione e possibile dissenso e Bruxelles e Francoforte vogliono fare la stessa cosa con lui.




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