di Fabrizio Casari

Non fosse visibilmente strumentale, risulterebbe ozioso il dibattito interno al PD circa i suoi tesserati o candidati finiti nell’occhio del ciclone causa mazzette e consorterie stipate su diverse latitudini. Quello che appare certo è che il PD, pur provenendo dalla storia del Partito Comunista Italiano, non ha nemmeno vagamente l’odore e le sembianze della solidità etica che caratterizzava il comportamento pubblico del PCI.

Con la fine del PCI, per la quale molti degli esponenti del PD si sono battuti alacremente, la sinistra ha perso ogni primato etico insieme - e forse in parallelo - alla rappresentanza del mondo del lavoro. La sua diversità, orgoglio di milioni di militanti ed elettori di numerose generazioni, è finita nelle anguste stanze della Bolognina, lascito penoso del Novecento italiano.

Alcuni degli esponenti della cosiddetta generazione dei quarantenni, che presero in mano il PCI per portarlo rapidamente al suo scioglimento, hanno lavorato per disossare in profondità il sistema valoriale che chiunque, anche chi non vi militava, gli riconosceva. Stanchi di mantenersi eretti, avevano fretta di sedersi su comode poltrone e pensarono che solo ripudiando l’idea di un altro modello potevano arrivare a governare il modello in voga. Invece di portare al governo le istanze dei lavoratori, hanno preferito cercare di portare le loro personali.

E sono proprio alcuni di questi che più hanno tratto vantaggi personali dal disarmo della sinistra. Salotti più o meno buoni, appetiti voraci, ambizioni decisamente superiori alle proporzioni lecite, piroette di sigle e dismissioni continue, ansia di sostituirsi a quella Balena Bianca che, sebbene etero diretta da fuori, dirigeva il Paese. Salvo poi, un bel giorno del 2013, vedersi surclassare da chi la storia del PCI non l’ha letta nemmeno nei libri di Spriano, che si è iscritto al PD per militarvi prima e conquistarlo poi. Al PD, non al PCI: ad un partito cioè che tenta di costruirsi una identità post-ideologica, attratto non dal sogno di una società più equa e più giusta ma solo da una meno inefficiente.

In questo senso la discussione tra le responsabilità dei singoli dirigenti del PD è falsata. Perché non si tratta di capire se Greganti o Orsato siano iscritti o no al PD, giacché il partito che ha deciso di annettere tutto e il contrario di tutto, di porsi al centro dello schieramento politico e di ogni intrigo governista, è comunque una comunità nella quale quegli uomini, a diverso titolo, agiscono. Coerentemente sono arrivate le larghe intese, che più che una necessità del governo del Paese rappresentano un modello di gestione politica e, allo stesso tempo, un’idea delle relazioni industriali basata sulla dipendenza della politica dalle imprese.

Renzi tenta di scrollarseli di dosso ancor prima dei riscontri probatori dei loro reati con la speranza di assestare un colpo non tanto alla corruzione, quanto alla minoranza interna che fa riferimento al blocco di potere precedente a quello installato dal Premier-Segretario. Non c’è nessuno scontro ideologico, nemmeno di programma: la questione è solo relativa al governo della “ditta”, come ebbe a definire Bersani il partito, indicando involontariamente la natura ideale della compagine. Ma Renzi, che non vuole perdere l’occasione per prendersi il partito nei gangli più delicati, visto che è diventato Segretario senza un congresso e Premier senza elezioni, deve stare attento a menare fendenti, un giorno non lontano potrebbe succedere che alcuni dei suoi vengano colti con le manine nella marmellata.

E soprattutto, invece di sparare giornalmente a palle incatenate contro i sindacati, sarebbe ora che dedicasse alcune delle sue dichiarazioni quotidiane alle associazioni padronali. Si è sostenuto con vigore, dai media di proprietà o comunque finanziati dalle imprese, che la politica fosse il collettore della corruzione. Non senza ragione, intendiamoci, ma non in via esclusiva andrebbe detto. A testimoniare come non fosse il finanziamento illecito ai partiti l’unico scopo della corruzione in Italia, ecco che il sistema prosegue anche oltre le necessità e gli appetiti dei partiti.

E’ facile infatti accusare la politica, sapendo che tanto si raccolgono facili consensi. D’altra parte, è talmente deprimente lo spettacolo che la politica offre quotidianamente, che a nessuno viene in mente di approfondire eventuali responsabilità dei partiti nelle truffe, verificando cioè se il denaro truffato e rubato finisce poi nelle casse dei partiti o, come si vede, in conti off-shore intestati a faccendieri e capitani d’industria.

Stime ultramiliardarie indicano il costo dalla corruzione. Non potrebbe essere altrimenti. In lungo e largo per il Paese, ovunque le grandi opere vedano i cantieri aperti, la corruzione si erge a perno del sistema e assume le dimensioni della truffa continuata ai danni delle casse pubbliche. Siamo in presenza di un sistema misto con al centro le imprese che vede i gruppi di soci intrecciarsi sì con i partiti, ma che, diversamente dal passato, ha nei partiti un elemento a volte alleato e a volte ignaro, non il destinatario del denaro. Che invece viene spartito tra soggetti che, con i partiti, hanno poco a che spartire.

L’elemento di novità rispetto agli anni ’80 e ’90 non sta tanto nel ruolo delle imprese nella rete della corruzione in Italia, quanto nel fatto che i loro soci nell’illecito non hanno più nemmeno il bisogno di giustificarsi indicando i partiti quali destinatari finali.

Ci sono alcune grandi imprese che ricorrono ormai abitualmente negli scandali di corruzione che vengono alla luce. Magari i loro rappresentanti tuonano dalle assemblee di Confindustria contro i partiti ma, quale che sia il colore dei governi, loro non mancano mai all’appello e rappresentano il centro del sistema corruttivo in Italia. Un tempo usavano versare soldi ai partiti e ora, pur di accaparrarsi appalti e guadagni, spostano volentieri i loro fondi sui personaggi in grado d’influenzare assegnazioni di lavori, commesse e forniture senza preoccuparsi minimamente se lo facciano nell’interesse del partito o del loro personale. I partiti sono per i gonzi, i soldi sono per loro.

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