di Carlo Musilli

Dopo i diamanti e la Tanzania, mancava solamente un sobrio yacht da due milioni e mezzo per completare il quadretto. E' questo l'ultimo tocco di classe attribuito a Francesco Belsito, ex tesoriere della Lega Nord arrestato ieri dalla Guardia di Finanza. Pare che l'obiettivo dell'acquisto fosse il diletto di Riccardo Bossi, figlio dell'ex imperatore padano Umberto. Un pensierino comprato con fondi pubblici destinati al Carroccio.

L'ennesimo, grottesco dettaglio di colore emerge dalle carte dell'inchiesta sui conti del partito coordinata dalla procura di Milano. Belsito - ora nel carcere milanese di San Vittore - è finito in manette con una discreta sfilza di accuse: associazione a delinquere, truffa aggravata, appropriazione indebita e riciclaggio. Secondo i pm, aveva creato un "comitato d’affari" che era "in grado di influenzare le decisioni di istituzioni e grandi imprese pubbliche e private", tra cui Fincantieri (di cui lo stesso Belsito era vicepresidente), sempre alla ricerca di business e protezioni politiche.

A fine ottobre la richiesta di custodia cautelare è arrivata sul tavolo del gip Gianfranco Criscione, che dopo sei mesi ha firmato l'ordinanza. Stando a quanto si legge nel testo, la figura dell'ex tesoriere leghista sarebbe molto simile a quella di un cassiere di famiglia. Ma non solo. Il dettaglio più interessante è che Belsito avrebbe continuato allegramente nelle sue attività pseudo-amministrative anche dopo aver smesso di essere membro del partito.

Nel testo si fa riferimento a una nota di polizia giudiziaria dello scorso ottobre da cui si deduce che l’espulsione dell'ex tesoriere dalla Lega avrebbe "tutt’altro che interrotto il criminoso e criminogeno rapporto tra il medesimo Belsito e Girardelli, da ultimo incentrato sulle questioni relative a uno yacht". E qui veniamo al regalino "del valore di 2,5 milioni di euro che Riccardo Bossi, figlio di Umberto Bossi, avrebbe a suo tempo acquistato avvalendosi di un prestanome grazie a un’ulteriore appropriazione indebita di Belsito". E' un peccato che Roberto Maroni non abbia portato anche la morigerata barchetta a Pontida, come invece ha fatto con i diamanti, sventolati con somma eleganza davanti alla severa adunata celtica.

Ma l'allegro contabile del cerchio magico non è solo. Anzi, gode di ottima compagnia. Insieme a lui sono state arrestate anche altre due persone: Stefano Bonet (per gli amici, "l'ammiraglio"), ovvero l’imprenditore veneto degli investimenti in Tanzania, e Romolo Girardelli, il presunto segugio sempre a caccia di business redditizi. Una quarta persona è ancora ricercata e a quanto pare si trova all’estero. Si tratta di Stefano Lombardelli, considerato "soggetto in grado di agevolare e procurare la conclusione di affari con le imprese dai quali ricavare proventi illeciti".

In questo stesso "sistema contaminato di malaffare, a cui si alimentavano poteri istituzionali, politici ed economici" - come si legge ancora nell'ordinanza di custodia cautelare - rientrano anche operazioni per tentare di coinvolgere banche come Mps, oltre agli affari milionari di Fincantieri e alle mire di Bonet sulla gestione di una fetta del potere sanitario in capo al Vaticano.

Nell'ambito dell'inchiesta che l'anno scorso ha prodotto la rivoluzione maroniana delle ramazze all'interno del Carroccio, il Senatùr è indagato per truffa ai danni dello Stato, mentre i suoi due figli, Renzo (il mitico "Trota") e Riccardo, sono accusati di appropriazione indebita. Tuttavia, questo filone delle indagini (ribattezzato "The Family") dovrebbe essere chiuso a breve.

Nelle scorse settimane era emerso che - secondo gli inquirenti - l'ammontare dei fondi pubblici spesi in modo sospetto si aggirerebbe intorno ai 19 milioni di euro. A quanto pare, il Carroccio si ritiene parte lesa in tutta questa vicenda e, in caso di processo, si costituirà parte civile.

Eppure, stando ancora a quanto scrive il gip, Bonet e Girardelli parlano in una conversazione intercettata di un "incontro" che il primo avrebbe dovuto tenere "con Maroni, Castelli e Calderoli come di un'opportunità per rilanciare l'attività andando oltre Belsito". Un appuntamento che i due avrebbero cercato di organizzare nel marzo 2012, quando Bossi stava per capitolare. L'obiettivo era accaparrarsi l'eredità dei rapporti dell'ex tesoriere con la Lega. Perché, come spiega eloquentemente Girardelli nelle intercettazioni, "qua ciascuno pensa alla pancia sua".



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