di Domenico Melidoro

Torna settembre e si ritorna a parlare più concretamente di politica. Con questo non si vuole dire che il dibattito politico di agosto sia stato sonnacchioso e di basso livello. Anzi, le questioni di politica estera al centro dell'attenzione hanno visto l'Italia ricercare e ottenere un ruolo di primo piano nelle questioni internazionali dopo la deludente stagione della politica estera berlusconiana, priva di idee che andassero al di là della cieca obbedienza al potente alleato americano. Il ruolo dell'Italia nella missione di pace in Libano sotto le bandiere delle Nazioni Unite rappresenta un innegabile successo del Premier Prodi e del Ministro degli Esteri D'Alema, oltre che un segnale del ritorno con una voce sola dell'Unione Europea sulla scena dei drammatici conflitti internazionali. Settembre è però tradizionalmente anche il mese in cui, dopo la pausa estiva, ritornano sul tappeto le grandi questioni economiche nazionali, e l'avvicinarsi del varo della manovra finanziaria innesca inevitabilmente il dibattito sulle scelte economiche e sociali che il Governo dell'Unione intende compiere per risanare ma anche per favorire la crescita del Paese. Nei mesi scorsi la presentazione del DPEF aveva scatenato rumorose polemiche da parte della Sinistra che temeva inaccettabili tagli alla spesa sociale che avrebbero colpito i ceti meno abbienti. Si era giunti perfino al punto in cui il Ministro di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero si era rifiutato di votare il documento economico in cui il Governo annunciava la futura manovra finanziaria. I toni non si sono placati. Fino a qualche giorno fa pareva che la manovra finanziaria dovesse ammontare nel complesso a 35 miliardi di euro, ed erano stati molti da sinistra (sostenuti anche dal mondo sindacale) a chiedere di diluire la manovra in due anni e di rinviare di un anno il raggiungimento del tetto del 3% di deficit. A chi minacciava tagli alla spesa sociale, il Segretario Nazionale di Rifondazione Franco Giordano rispondeva: "Non bisogna toccare le pensioni, né ridurre la spesa sanitaria. E anche sul resto niente tagli, ma razionalizzare la spesa" (Corriere della Sera, 28 agosto 2006).

Dalla Festa Nazionale dell'UDEUR che si tiene ogni anno a Telese Terme giunge però una correzione dei numeri relativi alla manovra finanziaria. In questa occasione il Ministro Padoa-Schioppa ha dichiarato che "la manovra sarà di 30 miliardi grazie alle entrate superiori al previsto. Ma la data del rientro del deficit non cambia" (l'Unità, 30 agosto 2006). Dunque l'incremento di denaro giunto nelle casse dello Stato grazie a una maggiore severità ed equità fiscale consente di ridurre la finanziaria di 5 miliardi di euro. Le parole d'ordine del Ministro dell'Economia sono "sviluppo, risanamento ed equità". A proposito della riduzione delle cifre della manovra il Premier Prodi sostiene che "la cifra di 35 miliardi non era un numero al lotto, ma una cifra necessaria. Abbiamo avuto 5 miliardi in più e quindi siamo potuti scendere da 35 a 30 miliardi. Mi sembra una cosa di onestà e buonsenso" (Corriere della Sera, 30 agosto 2006). Sembra che la serietà del Governo in materia di politica fiscale stia cominciando a dare i primi frutti. 5 miliardi di euro sono senz'altro una cifra ragguardevole, soprattutto se i maggiori introiti da parte dello Stato diventeranno un dato strutturale non immediatamente riconducibile ad uno sporadico aumento dei controlli.

Eppure, nonostante alcuni segnali incoraggianti non tutto è chiaro. Si parla di tagli alla spesa sociale e d'innalzamento dell'età pensionabile, ma in entrambi i casi non è ancora noto come si sceglierà di operare e quali saranno gli interessi sociali che verranno toccati. Non c'è ancora certezza su quali spese bisognerà ridurre (oppure 'razionalizzare', come si dice da tempo con un'espressione eufemistica figlia dell'efficientismo dei nostri tempi) o su come procedere nell'aumento della vita attiva dei lavoratori italiani. Tuttavia, che ci debbano essere dei tagli è certo. La spesa sociale, si dice da più parti, deve essere ridotta per avere un Paese efficiente e competitivo che non può tollerare sprechi e pesanti apparati burocratici. Proprio in questi giorni un articolo di Pietro Ichino ha richiamato l'attenzione sugli sprechi nel settore pubblico. Ichino scrive che "nell'amministrazione pubblica c'è una quota rilevante di nullafacenti". Nello stesso articolo, per prevenire eventuali critiche da parte dei sindacati e dei partiti della Sinistra, Ichino aggiunge che "non si tratta dei lavoratori deboli e poco produttivi, ma di persone che non fanno proprio nulla, non ci sono e quando ci sono è come se non ci fossero; una categoria che alligna solo nel settore pubblico" (Corriere della Sera, 29 agosto 2006). La soluzione al problema consisterebbe nella istituzione di "un organo indipendente di valutazione che individui i nullafacenti" e li licenzi quando necessario. C'è di sicuro una parte di verità nell'articolo di Ichino cui ci siamo riferiti, del resto nessuno sarebbe pronto a giurare sulla perfetta efficienza del settore pubblico. Tuttavia, i toni qualunquisti e la giustizia sommaria non portano da nessuna parte, soprattutto se colpevolizzano intere categorie di lavoratori e conducono all'esaltazione del privato contro la demonizzazione indifferenziata del pubblico, visto come regno dello spreco, dell'inefficienza e del favoritismo nel quale prosperano felici i 'nullafacenti' di Ichino.

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