di Sara Nicoli

E' passata alla Camera la legge sull'indulto. Ma il prezzo da pagare è stato alto per il governo e la maggioranza che lo sostiene. Con fatica e con una mediazione politica che a tratti ha avuto i connotati della farsa, della bagarre, del "tutti contro tutti", si è alla fine riusciti a trovare quei due terzi necessari per consentire ad almeno 12 mila detenuti dei 38 mila rinchiusi nelle patrie galere, di vedere in mare almeno il prossimo ferragosto: 460 sì, 94 no, 18 astenuti. Carceri presto più vuote, dunque. Ma ciò che ha mostrato l'agone politico, ieri mattina alla Camera, ha messo in straordinaria evidenza come la maggioranza navighi in acque ogni giorno più insidiose. E come lo spirito di giustizia sia stato spesso un pretesto per alzare il prezzo su partite diverse, che nulla avevano a che vedere con l'oggettiva necessità di dare il via libera ad un provvedimento di clemenza, ma facevano esclusivo riferimento a logiche di mera spartizione del potere interno alla maggioranza. Uno spettacolo davvero poco edificante, anche se i predecessori del centrodestra ci avevano abituato al peggio; un po' di amarezza, però, resta comunque. Si è detto, nei giorni scorsi, che il comportamento tenuto dal ministro "di lotta e di governo" Antonio Di Pietro, poteva quantomeno considerarsi discutibile. A muovere la sua personale battaglia contro l'indulto era l'idea che non solo non si potessero fare accordi di alcun genere con Forza Italia, ma che non si potesse neppure accettare alcun tipo di "premio" per i corrotti.
Si può tentare di non venir mai meno ai propri principi sacrificandoli sull'altare del compromesso, certo: ma fino ad oggi nessuno è mai riuscito a governare il paese senza passare per la mediazione politica e per la ferrea legge dei numeri, che in politica conta, eccome se conta. Quello che, ci era sembrato, stava sfuggendo nei giorni scorsi a Di Pietro, era il principio, l'idea fondante che il provvedimento di indulto portava con sé, ovvero la clemenza, la tolleranza e il diritto di uomini e donne a poter scontare la propria pena in condizioni umanamente accettabili, non come oggi in quattro o sei in una cella da due. E questo è un principio contro cui non può reggere alcun distinguo legato a personalismi, vendette mai sopite, classifica di reati dell'altrettanto personale codice etico-penale del ministro dell'Italia dei Valori: per un provvedimento di clemenza che ha l'obiettivo di svuotare, almeno parzialmente, le carceri dove si vive in condizioni sub-umane, ci si batte - a nostro giudizio - comunque. E quello che è mancato alla maggioranza (non solo a Di Pietro, dunque) è stato proprio questo: considerare la propria identità ed il bacino elettorale di riferimento più importante del principio generale. Ecco perchè poi, malgrado la soddisfazione di vedere, dopo anni di sterili discussioni e dibattiti, il provvedimento d'indulto giunto ad una prima approvazione, resta il disappunto su come questo percorso politico è stato portato a termine. Abbiamo visto palesarsi con evidenza alla Camera, che il "principio" non è più un valore etico da difendere comunque: serpeggia, come se fosse un valore, l'odio per il nemico e un modo di intendere la giustizia che, per alcuni, è solo un sinonimo socialmente condiviso della vendetta. E il peso del reato lo determina non il codice, ma il valore che gli dà il politico di turno, a livello spesso fin troppo personale.

C'è una fetta enorme di Italia, largamente rappresentata nel mondo politico, che considera la vendetta la chiave di volta di ogni storia, che ignora giustizia e soprattutto perdono e che non riesce a vivere senza un nemico da punire. Ma è un giustizialismo che non fa onore. E vorremmo che non continuasse a corrodere la società e ad essere condiviso anche da una certa parte della sinistra. Su questo aspetto, è importante soffermarsi sulla posizione che ieri, con sorpresa, ha tenuto il segretario del Pdci, Oliviero Diliberto, che si è astenuto dopo aver dichiarato nei giorni scorsi il voto favorevole. Non sappiamo cosa abbia fatto cambiare idea al PdCI, ma é probabile che Diliberto terrà questa posizione anche al Senato, pur sapendo che a Palazzo Madama il regolamento prevede di conteggiare le astensioni come voto contrario.

Se quindi i senatori del PdCI e quelli dell'Italia dei Valori dovessero dire "no" al provvedimento, stante la conferma del già annunciato voto favorevole di una parte del centrodestra, si configurerebbe il primo, fastidioso ululato delle "larghe intese". Cioè proprio dell'ipotesi peggiore, politicamente parlando, per il quadro politico e per le sorti stesse del governo Prodi. Di sicuro Forza Italia voterà a favore con l'immaginetta di Previti accanto al bottone verde dello scranno, ma non è questo che conta: ciò che conta è inviare un segnale politico sulla giustizia, proporre una norma che, a differenza di quelle del centrodestra che includevano qualche signor nessuno per giustificare il regalo ai potenti, accetta di comprendere nel provvedimento di clemenza qualche potente, per garantire il ripristino delle condizioni di decenza a molti che potenti non lo sono affatto.
Che si sarebbero potute utilizzare altre strade è certo, come per tutto del resto. Ma che un provvedimento d'indulto andasse promulgato è giusto. Nessuno ha "svenduto la dignità" come ha detto Di Pietro pensando sempre a Previti fuori dai suoi "dorati" domiciliari. Qualcuno ha preferito fare un "patto con il diavolo" per un valore più alto della vendetta. Non possiamo dargli torto.

Tutti coloro che hanno commesso reati fino al 2 maggio del 2006 potranno usufruire di uno sconto di pena non superiore a tre anni. Lo stabilisce il provvedimento sull'indulto approvato in prima lettura dall'Aula della Camera. Una volta ottenuto il via libera definitivo, secondo recenti calcoli, grazie all'indulto potrebbe tornare in libertà quasi un terzo dei detenuti definitivi: tra 12 e 13 mila persone delle 38.086 che in carcere stanno scontando una condanna passata in giudicato. La pdl stabilisce anche un indulto non superiore a 10 mila euro per le pene detentive. La clemenza sarà applicata anche ai reati finanziari, ai reati contro la Pubblica amministrazione, ai reati di scambio elettorale mafioso. L'indulto non si applica invece ai reati di terrorismo, strage, sequestro di persona, associazione a delinquere, associazione a delinquere di tipo mafioso, prostituzione minorile, pedopornografia, tratta di persone, acquisto e alienazione di schiavi, violenza sessuale, riciclaggio, produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti, riciclaggio, tratta di persone, usura. Il beneficio dell'indulto non riguarderà le pene accessorie, né temporanee né permanenti, che dovranno essere comunque scontate. Lo sconto di pena sarà revocato se chi ne ha usufruito commette, entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della legge, un delitto non colposo per il quale riporti la condanna a pena detentiva non inferiore a due anni.
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