di Mariavittoria Orsolato

Alberto Perino, storico volto No Tav, l'aveva detto alla manifestazione di sabato: “Stiamo pronti, già da lunedì potrebbero cominciare l'occupazione e l'allargamento illegale del non-cantiere”. E così è stato. All'alba di lunedì mattina i blindati della polizia sono arrivati alla baita Clarea, terreno legittimamente acquistato da alcuni attivisti No Tav, occupandola e sgomberandola in modo illegittimo: l’ordinanza di sgombero non costituisce, infatti, l'inizio dell’attività espropriativa in quanto il Prefetto non ha  autorizzato l’occupazione dei terreni privati.

Ciò nonostante, le forze dell’ordine hanno permesso la recinzione dei terreni privati e portato avanti lo sgombero in assenza di una specifica autorizzazione. Per questo e per tutti i motivi che tengono viva la resistenza dei valsusini,

Luca Abbà è salito su un traliccio dell'alta tensione: voleva provare a rallentare le operazioni di sgombero ma, incalzato da un rocciatore della polizia, ha sfiorato uno dei cavi elettrici ed è precipitato a terra da 10 metri. Salvo per miracolo, Luca ha dovuto comunque attendere 50 lunghissimi minuti prima che gli fossero prestati i dovuti soccorsi ed ora è al CTO di Torino in coma farmacologico, coma indotto per le gravissime lesioni e da cui dovrebbe svegliarsi tra sabato e domenica.

Un gesto eclatante quello di Luca, un gesto pericoloso e quasi incosciente, un gesto certamente eroico. Eroico come quel ragazzo cinese che si piazzò davanti al carro armato in piazza Tien An Men. Eroico come quei bonzi buddhisti che tutt'ora si danno fuoco nella lontana Asia. Eppure da noi in molti hanno visto la scalata di Luca come il gesto di un “cretinetti” (Libero), di uno che “se l'è meritato” (Il Giornale), di uno che se l'è andata a cercare. Nessuno che si sia chiesto come mai le forze dell'ordine non abbiano chiamato i vigili del fuoco - istituzione solitamente delegata al recupero di persone in situazione di pericolo come Luca - come mai sotto quel traliccio non ci fosse il materasso di sicurezza che solitamente si posiziona per evitare l'impatto col suolo, come mai nel video girato dalla PS manchi proprio la parte in cui Luca cade.

Le “migliori” firme del giornalismo italiano hanno preferito sindacare sul gesto, dimentichi dell'entusiasmo con cui hanno descritto le azioni dimostrative degli eroi sopraccitati. Perché è evidente che quando si parla del movimento No Tav esistono due pesi e due misure, e l'informazione italiana l'ha dimostrato appieno anche ieri. Ma andiamo per ordine.

A seguito dell'incidente di Luca e delle notizie di sgombero della baita Clarea si sono immediatamente creati presidi di solidarietà in tutte le maggiori città d'Italia mentre nella valle i valsusini sono corsi a bloccare l'A32, l'autostrada che collega Torino a Bardonecchia, il primo comune del nord Italia ad essere sciolto per mafia a causa dell'ingerenza della 'Ndrangheta negli affari politici locali.

Una mafia che i No Tav hanno sempre combattuto strenuamente, denunciando le aziende compromesse con le 'ndrine e documentando puntualmente gli interessi illeciti che ruotano attorno al progetto dell'Alta Velocità. Una mafia che pare essersi manifestata anche nella notte di martedì quando, a lato dei blocchi stradali tre auto di altrettanti attivisti No Tav hanno misteriosamente preso fuoco, così come un capannone pieno di legname e pellet situato proprio sulla rotonda dove iniziava il concentramento.

Eppure il dibattito pubblico di ieri sulla protesta No Tav si è concentrato sulla “pecorella” epiteto con cui uno dei ragazzi presenti al blocco dell'A32 si è rivolto ad un'agente antisommossa. Il monologo, ripreso dalle telecamere del Corriere della Sera, ha fatto il giro della rete e delle tv, scatenando l'inevitabile, sguaiatissima e manichea disputa sullo stare o meno dalla parte delle forze dell'ordine. Certo non bisognerà fare di tutta l'erba un fascio (sic!) ma è una dato di fatto che gli attivisti No Tav hanno assaggiato sulla loro pelle la durezza della militarizzazione della Valle.

Una militarizzazione che oltretutto sta a proteggere un cantiere che ancora non c'è, perché alla Maddalena - come hanno potuto constatare anche alcuni rappresentati del Parlamento Europeo - non c'è altro che una grossa e deserta zona recintata. Ma tant'è: l'agente si è beccato un encomio dall'Alto Comando dell'Arma e il ragazzo, durante le identificazioni di ieri, si è invece beccato una bella raffica di pugni dai colleghi della “pecorella”, come testimoniano le foto su Twitter.

Alla luce dei fatti, il giornalismo italiano pare aver dimenticato i fondamentali del mestiere, fondamentali che partono dalla parola e dal suo significato. A leggere i titoli e le argomentazioni delle cronache dei giorni scorsi ci ritrova di fronte a quello che potrebbe essere definito uno stupro della semantica, con titoli che danno dello stupido ad uno che si oppone in modo non violento alla polizia e del violento a uno che ha solamente parlato, peraltro a viso aperto, con uno che in Valsusa ha picchiato e sparato.

Magari non lui personalmente ma uno vestito e bardato come lui, con la sua stessa divisa. Ma purtroppo, dal momento che non è possibile identificare gli agenti, non ci è dato sapere. E il monologo dell'attivista No Tav era incentrato proprio su questo, sul fatto che finché le forze dell'ordine agiscono a volto coperto e senza segni di riconoscimento, e si coprono l'un l'altro con comportamenti omertosi - come riporta la sentenza definitiva sulle violenze durante lo sgombero del presidio No Tav di Venaus il 5 dicembre 2005 -  è impossibile distinguerli.

Questa ed altre motivazioni sono quelle che le redazioni giornalistiche stanno deliberatamente decidendo di ignorare in questi concitati giorni di mobilitazione. E così facendo tradiscono la completezza dell'informazione e quella deontologia professionale che vuole il giornalista a servizio del cittadino. Perché è indubbio che si stia cercando di presentare il movimento No Tav sotto una luce che non gli appartiene e che non è veritiera.

Per gli attivisti No Tav non ci sono compagni buoni e compagni cattivi, come invece afferma insistentemente ogni intervento sia istituzionale che giornalistico, e se i colleghi che si occupano della Valsusa si fossero degnati di chiederlo a qualcuno lo avrebbero certamente scoperto. Ma a questo punto, sulla questione No Tav, è evidente che la stampa italiana ha solo smania di affermare.

 

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