di Mariavittoria Orsolato

Ce l’ha messa tutta Mario Monti in conferenza stampa. Prima di presentare ufficialmente quella che si era annunciata come LA manovra lacrime e sangue, il premier ha deciso di rivolgersi agli italiani per spiegare in toni paternalistici le grandi linee delle misure che a breve saranno imposte per decreto. L’incedere lento, a tratti ipnotico, del professor Monti probabilmente mirava ad un effetto tranquillizzante sugli astanti ma quanto detto a seguito del Consiglio dei Ministri più che un discorso da “padre della nazione” ha finito per risultare l’affermazione di un “padrone del vapore”.

Partito con uno statement che più populista non si può - “rinuncio allo stipendio di Presidente del Consiglio e di Ministro dell’Economia” - Monti ha poi snocciolato una ad una le massime del neoliberismo alla Milton Friedman, spacciandole per taumaturgiche pozioni in grado di ridare respiro ai conti pubblici e con un non meglio specificato criterio di equità sociale. Concorrenza, liberalizzazioni, privatizzazioni, flessibilità, sacrificio: queste le parole ricorrenti con cui la squadra di Monti ci ha imboccato durante la conferenza stampa. Sull’ultima di queste c’è persino scappato il pianto del Ministro del Welfare Elsa Fornero che, o perché colta da un attacco di pietas verso i poveri vecchietti o perché abilmente conscia della sua arma di distrazione, è scoppiata in lacrime nell’annunciare il blocco della scala mobile sulle pensioni.

Questa e altre misure di austerity che verranno commentate da più esperti “esperti” una volta reso pubblico il testo completo, verranno a breve calate dall’alto tramite il meccanismo del decreto legge, tanto deprecato durante l’era Berlusconi in quanto lesivo del dibattito parlamentare ed ora rivalutato in funzione della consolatoria quanto effimera logica del male minore. La “tecnocrazia” propugnata da Monti e dai suoi specialisti non può infatti lasciare sufficiente respiro ad una vera concertazione e deve limitarsi ad eseguire i dettami - ufficialmente patriottici, ufficiosamente europei - che il mercato, inteso ormai come ecosistema, ordina e impone. Gli incontri con le parti sociali e le forze politiche sono infatti avvenuti nel momento in cui il testo della manovra era già stato deciso e messo per iscritto e c’è voluta una polemica a mezzo stampa per far sì che la spiegazione di queste cruciali misure non avvenisse direttamente nel salotto di Bruno Vespa.

Da questo primo sguardo, il supergoverno Monti non sembra il Direttorio che gli sguardi entusiasti ci avevano dipinto all’indomani della fine dell’era Berlusconiana: un gran consiglio imbelle a livello politico ma abilissimo nel risanare le casse pubbliche secondo le ricette stranote e perdenti. Mario Monti risulta autoreferenziale, sicuro delle sue scelte perché competente e assolutamente restio a confrontarsi con un idea di azione diversa dalla dottrina economica studiata nei libri di testo della Bocconi. Chiudendosi al dialogo e rimanendo ancorata saldamente ai dettami dell’Unione Europea - o meglio dell’ipoteca tedesca sulla BCE - la nuova squadra di governo non ha fatto altro che imbellettare la causa di questa crisi economica e sociale per rivendercela come unica e auspicabile soluzione.

Nonostante si dimostri snobisticamente disinteressato alla politica, questo esecutivo ha di fatto optato per una politica di destra che non intacca lo status quo ma che, anzi, punta a conservarlo a scapito di quell’equità tanto sbandierata, ma disattesa del tutto dinanzi a quella stessa società cui si chiede di tirare la cinghia, di adattarsi, di sacrificarsi.

La titubanza, l’imbarazzo quasi, con cui Monti si è espresso nell’iniziale “monologo con i cittadini” denota se non altro la candida impreparazione dell’attuale premier a mentire consapevolmente di fronte al grande pubblico. Nei 10 minuti del suo primo vero discorso alla nazione, il professore ha però comunque perseguito la captatio benevolentiae secondo canoni assolutamente politici. Come ha sottolineato il blogger Jumpinshark: “In più passi si percepiva come Monti stesse cercando l'eufemismo massiccio (l'opera dei passati governi), la benevolenza verso il pubblico (gli ammortizzatori sociali), la difesa a catenaccio (l'Europa ce lo chiede), l'enfasi trinciatutto (il risorgere dell'Italia) dentro i quali formare il proprio pensiero”.

Una prestazione di certo diversa nei toni - essere morigerati è un altro degli obblighi imposti dal “nuovo corso” - ma non del tutto dissimile negli intenti di depauperamento fino ad oggi previsti per una larga fetta degli italiani, giovani in primis. Si parla ancora di aiuti alle famiglie (per i single o le coppie di fatto nessuna menzione), di aumenti minimi delle imposte sui patrimoni al rientro dai paradisi fiscali (dal già striminzito 5% al ridicolo 6,5%), di liberalizzazione delle professioni in nome di una concorrenza che in quanto libera sarà deregolamentata. E a voler essere maliziosi viene da pensare che se Berlusconi è stato defenestrato non è perché avrebbe fatto macelleria sociale, ma perché ne avrebbe fatta troppo poca e, soprattutto, con stile deprecabile.

L’inevitabile sensazione dunque è che si sia persa, per l’ennesima volta, una preziosa occasione storica: esaurito (forse) il ventennio berlusconiano, l’Italia poteva scegliere di cambiare rotta, di sterzare verso un modello socioeconomico differente, ma il padrone del vapore ha deciso che è meglio virare solo di 30°, sperando di non urtare l’iceberg. E, meno che mai, gli interessi che lo sostengono.

 

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