di Carlo Musilli

Sbattuti come il mostro in prima pagina. "L'Italia rovina l'atmosfera dopo l'accordo Ue": sabato scorso il più importante quotidiano finanziario del mondo sceglieva questo come titolo d'apertura. Non parliamo della Pravda sovietica, covo di redattori votati al collettivismo, né del tanto vituperato Economist, che da sempre ha il mirino puntato contro le storture dell'Italia. L'ultima bacchettata sulle manine del nostro Paese arriva nientedimeno che dal Financial Times, la Bibbia di trader e banchieri.

Stavolta non si tratta del solito giudizio politico (più o meno) soggettivo che ogni giorno compare sulle colonne dei maggiori quotidiani europei. Quella del giornale britannico è la secca constatazione di una realtà che ormai solo il nostro governo finge di non vedere. Aldilà delle valutazioni possibili sulla lettera che Silvio Berlusconi ha inviato mercoledì a Bruxelles (definita a seconda delle campane "testo credibile" o "libro dei sogni"), alla fine quello che conta per l'Italia, almeno dal punto di vista comunitario, è il giudizio dei mercati.

La verità è questa: dopo aver letto gli impegni assunti da Roma per il risanamento dei conti e il rilancio della crescita, gli investitori hanno fatto schizzare i tassi d'interesse sui Btp decennali oltre il 6%, il massimo mai registrato dall'introduzione dell'euro. Eppure la Banca centrale europea non smette di acquistare a piene mani i bond italiani, nel tentativo ormai vano di mettere un freno ai rendimenti. Questo significa che il nostro pantagruelico debito pubblico (oltre 1.900 miliardi di euro) continua a diventare ogni giorno meno sostenibile. Altro che rilancio.

"I costi del finanziamento dell'Italia sono cresciuti a livelli record nell'era dell'euro - si legge sul quotidiano di Londra - appena all'indomani dell'accordo tra i leader europei sul piano per arrestare l'avanzata della crisi debitoria". L'ultima asta dei nostri titoli di Stato è quindi "un segno preoccupante del fallimento nel tentativo di riguadagnare la fiducia dei mercati". Cosa ancora più grave se consideriamo che l'anno prossimo dovremo rinnovare titoli in scadenza per quasi 300 miliardi di euro.

Intanto però, di fronte all'inerzia italiana, sembra che le maggiori autorità internazionali stiano mettendo a punto un piano B. Stando a quanto riferito dall'agenzia Ansa, che cita una non meglio precisata "fonte internazionale", fra Fmi, Unione europea e banche centrali "sono in corso contatti informali per approntare un piano di contingenza", nel caso Italia e Spagna vengano definitivamente contagiate dalla crisi greca. Si parla così di una "rete di sicurezza" per i due Paesi.

Ciò non toglie che "su Berlusconi continui la forte pressione di Ue e Bce - chiosa Ft - affinché il governo dia rapida attuazione alle misure per risollevare l'economia in fase di stagnazione ed eviti di seguire Grecia, Portogallo e Irlanda". In caso di fallimento, sarebbe necessario "un salvataggio su ampia scala che andrebbe ben oltre le capacità di fuoco dell'Eurozona". Peccato che, in risposta a queste pressioni, il Cavaliere non abbia trovato di meglio che scaricare il barile sull'euro, "una moneta che non ha convinto nessuno, attaccabile dai mercati internazionali, perché non è di un solo Paese ma di tanti, che però non hanno un governo unitario né una banca di riferimento e delle garanzie".

Un tentativo in extremis di rimescolare le carte, confondendo i piani e riportando tutto al generico caos internazionale che nulla avrebbe a che vedere con l'operato dell'Esecutivo italiano. E' senz'altro vero che negli ultimi mesi la speculazione internazionale ha avuto come obiettivo la moneta unica, considerando le forti perdite subite da listini ben più potenti di Piazza Affari, primo su tutti il Dax di Francoforte. D'altra parte è innegabile che, pur nella loro frenesia speculativa, se gli investitori internazionali hanno scelto i nostri titoli di Stato come vittima privilegiata un motivo c'è.

E non ha a che vedere solamente con il debito che il premier ha "ereditato dal passato" (non in queste proporzioni). Ne sanno qualcosa i nostri cugini spagnoli, che hanno proposto misure di rilancio concrete e indetto elezioni anticipate, prendendo atto del fallimento del governo Zapatero. Pur partendo da basi più deboli delle nostre, il Paese iberico è riuscito a diventare molto più credibile di noi, al punto che ormai da diverse settimane lo spread di Madrid si mantiene ben al di sotto di quello italiano, invertendo una gerarchia acquisita da anni.

La partita si gioca quindi sul piano della credibilità, la virtù di cui maggiormente sentiamo la mancanza. Lo testimonia la scelta dell'Europa di includere i punti della lettera italiana nelle conclusioni dell'ultimo vertice Ue, in modo da vincolare il nostro Paese al rispetto degli impegni presi. Come se non bastasse, Bruxelles ha anche incaricato la Commissione europea di monitorare l'attuazione delle riforme italiane. Un'attenzione particolare finora concessa solo ai Paesi che hanno ricevuto aiuti comunitari (Grecia, Portogallo e Irlanda). Insomma, pur ammettendo che l'euro non abbia "convinto nessuno", il governo italiano non ha davvero fatto di meglio.

 

 

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