di Carlo Musilli

"Sul decreto sviluppo non c'è fretta". Solo una settimana fa Silvio Berlusconi ostentava sicurezza sulle possibilità del governo di varare un nuovo pacchetto di misure per la crescita. Oggi il Cavaliere si ritrova a combattere su due crinali altrettanto scivolosi: salvare la faccia di fronte ai leader che lo vogliono commissariare e obbedire ai loro ordini. Quei sorrisi beffardi che Angela Merkel e Nicolas Sarkozy si sono scambiati per commentare la credibilità italiana hanno cosparso di sale la ferita, ma non ci hanno raccontato nulla che non sapessimo già. A tenere per il guinzaglio il nostro Esecutivo non sono i governanti di Parigi e Berlino - che pure hanno buon gioco a trattarci come gli ultimi della classe da mandare dietro la lavagna - ma i vertici stessi delle istituzioni comunitarie.

L'irrisione pubblica certamente non fa piacere, eppure in questo momento a soffermarsi sull'umiliazione subita si manca il bersaglio. In queste ore il governo italiano è nel caos per tutt'altro motivo. Ieri il presidente del Consiglio europeo, Herman Van Rompuy, ci ha lanciato un ultimatum secco: al vertice Ue di mercoledì siamo obbligati a presentarci con qualcosa di concreto in mano. Misure efficaci, credibili e soprattutto approvate.

Incalzato da ogni angolo, il Cavaliere ha reagito, come al suo solito, giocando su due tavoli: ribalta mediatica e macchinazione politica. Mentre finge di non piegare la testa davanti all'arroganza mitteleuropea, sostenendo che "nessuno nell'Unione può autonominarsi commissario" né "dare lezioni ai partner", il premier si affanna ad accontentare quelle autorità contro cui non può nulla. In caso di sconfitta, stavolta, sarebbe difficile cavarsi dalla buca lanciando accuse di comunismo e disfattismo.

Ed ecco comparire repentinamente in agenda un Consiglio dei ministri straordinario. Il governo si ritrova ad avere due giorni per risolvere i problemi che non ha voluto affrontare negli ultimi tre mesi. Com'è ovvio, prevale immediatamente la regola del caos. I punti più controversi sono i soliti due: fisco e pensioni. Sul primo fronte si torna a parlare di amnistie, ma con significative variazioni sul tema. Il condono tombale vecchio stile non è una strada praticabile semplicemente perché nell'Unione europea - in base ad una sentenza della Corte di Giustizia risalente al 2008 - è illegale. Per ovviare a questa difficoltà, dalle prime indiscrezioni sembrava che la maggioranza avesse pensato ad una moltiplicazione miracolosa delle sanatorie.

Nella bozza del dl sviluppo ci sarebbero state addirittura 12 sottospecie di condono. Dal ministero dello Sviluppo economico è poi arrivata la smentita, tuttavia sembra utopico ritenere che la maggioranza possa rinunciare in toto a uno strumento che consentirebbe così facilmente di battere cassa. In particolare, negli ultimi giorni si è parlato con insistenza di "concordato fiscale di massa", che nella sua forma base si fonda su un meccanismo semplice: i contribuenti che accettano di versare al Fisco una cifra leggermente superiore a quella dichiarata vengono risparmiati dai controlli.

Sul fronte della previdenza, invece, si consuma lo scontro politico vero e proprio. L'innalzamento dell'età pensionabile a 67 anni (che potrebbe diventare un requisito comune a tutti i Paesi Ue) è un fatto a cui dobbiamo rassegnarci nella sostanza. I veri campi di battaglia sono altri: le modalità con cui la riforma sarà applicata (in particolar modo alle donne nel settore privato) e soprattutto il destino dei tanto bistrattati assegni di anzianità. Berlusconi li vuole cancellare (anche se ancora non è chiaro come intenda farlo) mentre la Lega rimane granitica sulle sue posizioni contrarie a ogni e qualsiasi intervento in tema pensionistico. Uno scontro che è durato tutta l'estate e che ora dovrà risolversi in poche ore. Altroché se c'è fretta. 

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