di Giovanni Gnazzi

L’Europa sarebbe insensibile al grido d’aiuto che viene dall’Italia? E perché dovrebbe accoglierlo? Siamo uno degli otto paesi economicamente più forti del mondo. Non c’è consesso internazionale, tra quelli che formalmente contano, che non ci vede come paese membro. Possibile mai che un paese ricco, con sessanta milioni di abitanti, non sappia come gestire 15.000, massimo 50.000 immigrati? Ma stando a Maroni, l’Europa è insensibile e non si capisce cosa ci stiamo a fare nella Ue.

Uno sfondone, come gli capita spesso quando posa il sax e tenta di parlare di politica. Ma Bruxelles non è Ponte di legno e glielo spiega il ministro degli Interni tedesco Hans-Peter Friedrich: "L'Italia sta infrangendo lo spirito dell'accordo di Schengen. In Europa tutti abbiamo un problema d’immigrazione e l'Italia non può reclamare la solidarietà degli altri Paesi se non c'è un problema d’immigrazione di massa. La solidarietà in Europa deve essere applicata quando un Paese è veramente colpito da un fenomeno d’immigrazione di massa. Questo non è il caso dell'Italia in questo momento", ha concluso il ministro tedesco.

Difficile dargli torto. Non è quindi vero che l’Europa rifiuti ogni collaborazione con l’Italia per la gestione del flusso migratorio proveniente dal Maghreb e non è vero nemmeno che il rifiuto di accettare le posizioni italiane sia indice d’indifferenza generale verso il problema o anche la spia di come un Unione fondata solo sul mercato e sul denaro sia tutt’altro che un blocco politico continentale.

L’identità europea è certamente tema delicato, ma non è questo all’ordine del giorno. I contrasti tra Roma e Bruxelles sono molteplici, soprattutto in politica estera ed economica ed era impensabile prevedere accoglienza benevola, ma nel merito si tratta d’altro. Se vogliamo cercare una risposta al perché del rifiuto europeo a sostenere le pretese italiane sui flussi migratori, possiamo invece cominciare a cercarla proprio nella politica che l’Italia ha scelto nella gestione dell’immigrazione dal sud del mondo.

L’incidenza dell’immigrazione sulla nostra dimensione demografica è lungamente inferiore alla media europea. L’incapacità di farvi fronte non è determinata dalla mancanza di strutture territoriali adeguate, bensì il contrario: non ci sono le strutture perché non averle è una scelta politica. Solo in Italia, si deve ricordare, il clandestino è considerato un reo invece che una vittima.

Solo in Italia i cosiddetti Centri di accoglienza temporanea sono luoghi definitivi di detenzione e solo in Italia si arriva a dare in outsourcing il respingimento degli immigrati (vedi accordi con Gheddafi prima e Tunisia ora), cercando di appaltare all’esterno il lavoro sporco. Solo in Italia politici di varia e mutevole collocazione hanno proposto di sparare sugli scafi contenenti dei civili. Solo in Italia i respingimenti in mare sono divenuti oggetto d’azione militare e solo in Italia l’appartenenza etnica ha prodotto provvedimenti legislativi ad hoc. E ancora, solo in Italia le campagne elettorali vengono condotte sull’incitazione alla xenofobia.

Che in tutta Europa, soprattutto nell’Est, le formazioni xenofobe e neonaziste siano in crescita è vero e che il tema dell’immigrazione sia passato da questione amministrativa e gestionale a questione politica lo è altrettanto; ma a decidere cosa fare non ci sono i piccoli partitini gemelli della Lega, bensì le Istituzioni europee. Difficile che il “fora di ball” possa convincere: come si può pensare che l’Europa possa assecondare le pulsioni italiane?

L’Italia, per via delle sue famigerate leggi liberticide contro l’immigrazione, viene considerata in tutta Europa un Paese xenofobo e anacronistico, che rifiuta di farsi carico della sua inevitabile quota di flussi migratori che gli spetterebbero in ragione della sua collocazione geografica, del suo peso economico, della sua densità popolativa e della sua estensione territoriale. Insomma l’Europa non assegna nessuna credibilità agli allarmi italiani sulla presenta invasione di migranti che subirebbe.

E’ proprio qui il problema. La credibilità del governo italiano in Europa è talmente scarsa che non solo non la si consulta nemmeno per le operazioni internazionali di guerra che la vedono direttamente protagonista, ma non vengono considerati credibili i suoi report politici, le sue richieste d’aiuto, in quanto ritenute costruite sul sentimento xenofobo del governo e non su circostanze reali. Del ricatto che la Lega esercita su Berlusconi, all’Europa non interessa, ancor meno delle esigenze lumbard per le elezioni amministrative, che si annunciano devastanti per le truppe guidate dal trota.

L’Europa è altra cosa. La Germania, alla fine dell’ottantanove, si trovò ad affrontare contemporaneamente due eventi epocali: un’immigrazione dalla Turchia di dimensioni enormi e, contemporaneamente, un flusso interno dall’Est verso l’Ovest seguito alla caduta del muro di Berlino. Ebbene, non si sognò mai di mettere in piedi un dispositivo repressivo che impedisse le due migrazioni, interna ed eterna. Riuscì, nonostante il contraccolpo economico pesantissimo derivante in particolare dai costi della riunificazione, a concepire una politica di assorbimento graduale ma continuo dell’emergenza, promuovendo politiche d’integrazione compatibili con le risorse a disposizione. E, va detto, ha accolto 400.000 immigrati dalla ex Jugoslavia. Tutto il contrario di quello che il governo italiano ha scelto e sceglie. E anche la Francia si è fatta carico di una quota d’immigrazione altissima, come del resto la stessa Gran Bretagna e la Spagna. L’hanno fatto senza chiedere all’Italia di cooperare.

Perché la lettura dei grandi scenari internazionali, dell’emergenza demografica internazionale, delle modificazioni profonde sull’organizzazione internazionale del mercato del lavoro, ha obbligato tutti coloro che sono dotati della capacità di delineare orizzonti politici a medio e lungo termine, a comprendere come la circolazione degli uomini non possa essere considerata un elemento momentaneo e l’integrazione è il prezzo dovuto alla nuova globalizzazione.

E’ tutto da vedere come l’entrata di nuove nazioni nel gotha dell’economia internazionale altereranno o modificheranno nel concreto il quadro attuale, ma pensare di affrontare il tema dei flussi migratori con le armi è idiota prima che criminale.

E’ vero, quella che abbiamo non è certo l’Europa disegnata da Spinelli nel Manifesto di Ventotene, tutt’altro. Continua a somigliare troppo alla definizione di quanti la ritengono un gigante economico, un nano politico e un verme militare. E anche sullo scenario internazionale l’Ue non ha dimostrato respiro e prospettiva politica tali da disegnare un progetto continentale, un modello sociale, giuridico, politico ed economico alternativo. Insomma nessuna nuova strada è stata presa e Bruxelles continua ad essere, nella sostanza, l’euroburocrazia che ha solo scalfito e superato le burocrazie nazionali. Ma non sono certo questi gli aspetti che spingono i balubba di governo a chiedere l’uscita dall’Unione; l’idea folgorante viene dalla lettura dei sondaggi sull’operato del governo del sultano.

L’Unione Europea è, e resta, comunque, l’unica strada possibile per sopravvivere alla crisi finanziaria globale (senza l’arrivo dell’Euro saremmo già andati nel default finanziario da anni). Resta comunque l’unico possibile veicolo per costruire un’identità continentale, un polo economico e sociale diverso, un’alternativa multipolare all’unipolarismo statunitense, un interlocutore credibile per il sud del mondo. Almeno se si crede che il prezzo della libertà transfrontaliera del denaro non possa essere pagato incarcerando gli esseri umani. Piuttosto che uscire dall’Europa, sarebbe il caso decidessimo di entrarci una volta per tutte. E questo, tra l’altro, passa anche per dotarci di un personale politico assolutamente distinto e distante da Maroni e Calderoli.

 

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