di Mariavittoria Orsolato

In pochi lo credevano realmente possibile ma la guerra è infine arrivata, a due passi dalle nostre coste. Il calderone nord africano era in ebollizione già dall’inverno ma allora si pensava che fossero questioni dirimibili tra loro, moti insurrezionali che magari avrebbero lasciato il tempo che trovavano. La preoccupazione maggiore, soprattutto tra gli abitanti della Sicilia - Lampedusa in primis - era montata dalle apocalittiche affermazioni del ministro dell’Interno Maroni che aveva vaticinato orde di clandestini in fuga, pronte a riversarsi sulle coste del belpaese.

Le previsioni del ministro leghista, se non si sono avverate immediatamente, si stanno concretizzando in questi giorni con lo scoppio della guerra in Libia e a Lampedusa è ormai emergenza. Solo nella notte di ieri sono sbarcati 1.470 gli immigrati arrivati con 13 diverse imbarcazioni, il centro di prima accoglienza  - che ha una capienza massima di 850 posti ma in questo momento conta 2400 ospiti - è praticamente tracimato per tutta l’isola che ora, con 5000 immigrati sul suo suolo, si ritrova  ad avere la popolazione letteralmente raddoppiata: per 5000 lampedusani ci sono 5000 migranti.

Nella maggiore delle Pelagie la tensione è alta: già lo scorso 17 marzo, in occasione delle celebrazioni per il centocinquantenario dell’unità, le istituzioni avevano ufficiato polemicamente le manifestazioni commemorative affermando di essere stati “abbandonati dallo Stato”, mentre domenica i cittadini si sono mobilitati per fermare le operazioni di sbarco del materiale per la realizzazione della tendopoli che, sulla carta, dovrebbe alleviare i disagi delle migliaia di migranti che ora si ritrovano letteralmente a bivaccare nella zona del porto.

Ci hanno provato prima i pescatori, tagliando la strada alla nave per impedirle di attraccare, poi gli altri da terra, creando un cordone per non far passare i container. “Non ce l’abbiamo con loro - dice un lampedusano - ma con il governo che li tiene qui così. La verità è che loro sono povera gente che scappa e noi povera gente confinata qui”. Il problema resta e anzi si aggrava di giorno in giorno, ma l’unica soluzione per non dover trattare gli immigrati come vere e proprie bestie è al momento quella approntata dalla Protezione Civile che, seppur orfana di Bertolaso, dimostra di continuare a non sapere gestire i “grandi eventi.

Cinquecento tende da piazzare nell’area della vecchia base militare Loran, già utilizzata come valvola di sfogo del centro di accoglienza, e la promessa di cominciare con i trasferimenti a un ritmo di 300-500 persone al giorno. Ma le promesse non bastano a placare gli abitanti dell’isola, la cui paura più grande consta non tanto nei continui sbarchi o nell’effettivo sovrannumero degli immigrati rispetto agli autoctoni: lo scenario peggiore prospettato dai lampedusani è che le cose rimangano così come sono, che una volta fatta la tendopoli questa rimanga li per sempre.

Numeri e scenari, dunque, che ricordano da vicino il dramma degli “sfollati” della seconda guerra mondiale; ma sarebbe sbagliato, sulla base degli ultimi avvenimenti, definire gli abitanti di Lampedusa alla stregua dei leghisti del Carroccio. Se sull’isola la tensione è alle stelle è perché i cittadini si sentono totalmente abbandonati dalle istituzioni e perché, in effetti, sono stati lasciati soli ad affrontare questa emergenza. Rassegnati ad essere la prima porta del Mediterraneo europeo, i lampedusani sono estranei all’effetto N.I.M.B.Y (Not In My Back Yard) ed anzi si sono dimostrati solidali in più occasioni con i migranti anche quando questi, non meno di due anni fa, “evasero” dal Cpa per protestare contro le condizioni in cui venivano arbitrariamente trattenuti.

Il problema, oggi come allora, è lo stesso: l’irragionevole lunghezza della permanenza dei migranti sull’isola. Stando al protocollo, infatti, gli extracomunitari non dovrebbero sostare nel centro di prima accoglienza per più di 48 ore; ma, nella realtà dei fatti, Lampedusa è l’unico approdo effettivo per tutti i migranti in attesa del rimpatrio coatto voluto dalla legge Bossi-Fini. Se però di riformare l’attuale legge sull’immigrazione non se ne parla nemmeno, sarebbe almeno auspicabile far si che i cavilli burocratici non intralcino l’opera dei tanti, dalle forze dell’ordine alla Croce Rossa, che si stanno prodigando assiduamente affinché la situazione non diventi del tutto disastrosa.

Il Governo però ha ben altro in mente: “Lampedusa sarà una zona franca - spiega il sindaco dell’isola Dino De Rubeis, contattato telefonicamente dal ministro agrigentino Angelino Alfano - avremo sconti sulle tasse, il territorio riceverà ristoro, faranno una campagna televisiva per promuovere il turismo”. Misure di facciata che più che fare la differenza sembrano orientate soprattutto a dare il cosiddetto “contentino” agli autoctoni.

Uno spot tv e qualche sforbiciata sulle imposte non vanno certo ad alleviare il peso che incombe sulla maggiore delle Pelagie ed è difficile che la popolazione, ora ancor più minacciata dopo l’apertura delle ostilità contro Gheddafi, si sazi di questa fuffa di facciata. Intanto al porto le carrette del mare continuano inarrestabili ad arrivare.

 

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