di Giovanna Pavani

E' inutile, è una tentazione troppo grande, è il vero sigillo del potere a cui nessuno, nonostante le belle parole e le dichiarazioni d'intenti, riesce a rinunciare. La Rai sta per essere lottizzata ancora, in modo meno violento e arrogante di ieri ma non meno incisivo: addirittura "bipartisan". Mentre grandinano dichiarazioni indignate di autorevoli rappresentanti del centrosinistra che gridano sonori "basta!" al manuale Cencelli, alle spartizioni dei palinsesti, ai giornalisti e direttori che portano la casacca dell'uno o dell'altro, in aggiunta alle speranze che "la Rai torni al servizio di chi paga il canone, che diamine!", nei corridoi delle segreterie dei partiti si ordiscono le solite trame di sempre. Stavolta sono al lavoro anche le diplomazie per cannibalizzare con il bilancino ogni singola poltrona, tanto a destra e tanto a sinistra, e che non se ne parli più per i prossimi cinque anni. Il cammino politico del governo Prodi si presenta talmente accidentato da non consentire che una qualsivoglia polemica Rai possa spuntare come un carciofo nel bel mezzo, casomai, della revisione della Gasparri, della rivisitazione dei tetti pubblicitari con annesso tetto antitrust, oppure durante la discussione della prossima Finanziaria al fulmicotone. E siccome non si può non lottizzare, tanto vale farlo di comune accordo con la Cdl: prove tecniche di inciucio. E se funziona nel primo laboratorio politico del Paese (che è, appunto, la Rai) il governo Prodi non potrà che giovarsene anche su altri fronti.

Il progetto finale si sta schiarendo in questi giorni. E non è un caso, infatti, se da mesi l'assemblea degli azionisti della tv pubblica è in stallo in attesa che dal Palazzo piova sul settimo piano di viale Mazzini il nome del nuovo direttore generale. L'ex Dg, Alfredo Meocci, invece di dimettersi come sarebbe stato auspicabile dopo aver messo l'azienda in una situazione di grave imbarazzo economico (multa da 14 miliardi di euro) per via della sua palese incompatibilità a ricoprire quell'incarico (preteso, è bene ricordarlo, dall'accoppiata Casini-Berlusconi, incuranti della legge), ha trovato un accordo per rimanere in azienda con un incarico di prestigio alla sede di New York. E la Rai, (cioè noi) paga ancora. Ma ciò che in queste ore demoralizza, è che chi aveva fatto proseliti di voler "liberare la Rai dalla gogna dei partiti" e di "restituire agli italiani una tv davvero pubblica", di non voler fare "interessi di bottega" adesso si stia adoperando per trovare un uomo di provata fiducia capace di blindare il servizio pubblico tv per i prossimi cinque anni. E che non se ne parli più. Stupidi noi ad aver creduto, anche solo per un minuto, che ci potesse essere ora l'inizio di un new deal della tv pubblica, come funziona nei paesi a collaudata democrazia dell'alternanza, dove c'è uno spazio dell'informazione neutro, forte, difeso dal suo prestigio e dal pubblico. Figurarsi.

D'altra parte è sempre stato così, perché stupirsi? L'operazione in corso, che probabilmente si concretizzerà mercoledì prossimo, giorno della nuova convocazione degli azionisti Rai, prevede il ritorno di Claudio Cappon, già dg sotto la presidenza Zaccaria, gradito a Prodi e non sgradito a Berlusconi, con un vicedirettore "di prodotto" come Antonello Perricone, sempre "quota Prodi", oppure Giovanni Minoli, ancora "quota Prodi" e, in più, coniugato Bernabei. Ultimo della lista il nome di Giancarlo Leone, il meglio riuscito dei tre "ragazzi terribili" del Quirinale, signore incontrastato di RaiCinema ma inviso al Cavaliere che più non si può. E questo aspetto, nella cannibalizzazione bipartisan Rai, non giova. Clausula "a monte" del patto è che il cda resti quello che è adesso, con Padoa Schioppa disposto a rinunciare a sostituire Angelo Maria Petroni, uomo di Tremonti, con un proprio fedelissimo, in modo da non ribaltare l'equilibrio di un cda a maggioranza di destra, ma sostanzialmente in pareggio con il voto del presidente Petruccioli.

Fatto questo, manuale Cencelli alla mano, comincerà il classico "valzer di luglio post elettorale" di seggiole, poltrone e strapuntini. Nel mirino il Tg1. Al di là delle chiacchiere sui soliti nomi, tipo quello di Ferruccio De Bortoli che non stona mai nei retroscena giornalistici, il vero obiettivo è quello di far calare da Parigi Antonio Capranica, che dopo un lungo esilio rivendica le sue solide radici di ex Pci. A Raiuno stanno tenendo la poltrona calda per Paolo Ruffini, che non ne può più della riserva indiana di Raitre e che avrà il compito di risollevare la rete ammiraglia dopo la disastrosa e schienata gestione del forzista della prima ora Fabrizio Del Noce. Alla Margherita, poi, piacerebbe (oh, quanto gli piacerebbe!) la direzione del Tg2, o almeno Raidue (cardinal Ruini benedicente), ma in questo quadro di lottizzazione bipartisan, la seconda rete resterà feudo dell'opposizione. Mauro Mazza, quindi, resterà dov'è (e questo a Ruini non dispiace affatto) mentre a Raidue dovrebbe approdare un uomo di Forza Italia oppure un leghista: dipende da come andrà a finire il referendum sulla devolution (su cui la Rai continua a fare disinformazia per il sì su ordine del Cavaliere) E Raitre? Il direttore del Tg3, Antonio Di Bella, è considerato inamovibile, mentre su Raitre ci metterà il cappello un uomo di Rutelli.

Ecco, dunque, il quadro. Dentro cui si innesta il rientro di Santoro a Raidue, la "normalizzazione" di Vespa su Raiuno e il proseguimento di Floris su Raitre. Anche qui, però, i conti non tornano. Vabbè che il centrosinistra ha vinto le elezioni, ma quei 24 mila voti in più non giustificherebbero uno sbilanciamento così a sinistra degli anchormen dei programmi di punta di approfondimento giornalistico: qualcosa si inventeranno, altrimenti il Cavaliere li potrebbe accusare di aver "okkupato" la Rai mentre lui, dopo la fuga dallo studio di Lucia Annunziata, si sente al di sopra di ogni ragionevole sospetto. Ma, ovviamente, così non è. Insomma, tutto come prima, tutto come sempre. E dire che Prodi voleva stupire il Paese a partire dalla "restituzione della Rai ai cittadini". Il silenzio, quello che lui consiglia ai suoi ministri, in questo caso sarebbe stato prezioso.

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