di Sara Nicoli

Massimo D'Alema ha detto una cosa scandalosamente di sinistra: il vero nemico sono i privilegiati, la classe agiata del Paese, quella che da sempre pensa al bene proprio e mai a quello comune. I padroni, insomma. E siccome non è un tipo abile nella moral suasion, che invece piace tanto a Prodi e agli ex democristiani, da uomo di solide radici comuniste ha pensato bene di andare a casa degli stessi padroni, di quelli giovani, che ben rappresentano il futuro della classe dirigente del paese, e di sbattergli in faccia la cruda realtà: il problema siete voi. E se volete che l'Italia esca dalla crisi economica è meglio che cominciate a far girare le combinazioni dei vostri forzieri: chi ha più soldi, stavolta, metta mano al portafoglio. Nel mirino ci sono le rendite, non i 250 mila euro erroneamente dichiarati da Bertinotti come cifra di riferimento in campagna elettorale. Sono i ricchi veri l'obiettivo, quelli come Berlusconi ma anche un po' meno ricchi di lui, quelli che lo stesso ex premier si sentì legittimato ad assolvere con formula piena, in caso di reiterata evasione fiscale, perché "se le tasse sono ingiuste è giusto non pagarle". Il compagno D'Alema pare deciso a fare il contrario. In un momento in cui nel governo si fa a gara ad accontentare tutti, in una sorta di chiamata di correità per evitare che la fragile coalizione possa scricchiolare al primo refolo di vento, ecco che il vicepremier, incurante di raggranellare consenso, davanti alla folta platea dei giovani industriali nel conclave di Santa Margherita Ligure, ha voluto dare una poderosa spallata alla sua fama di antipatico che piace ai poteri forti, sarcasmo compreso. Lo hanno detestato da subito. E lui non ha perso l'occasione di farsene un vanto: "Non sono qui per conquistare simpatie. Tanto lo so che siete in maggioranza di centrodestra, ma state tranquilli: si vota tra cinque anni...Dico sempre le cose che penso". Pochi minuti prima, l'erede della dinastia Colaninno, il giovane Matteo, aveva chiesto alla politica di premiare il merito e non l'uguaglianza, un "assist" che D'Alema ha colto con mefistofelico tempismo. "Durante l''eta' dell'oro' di Berlusconi , le disuguaglianze sono cresciute in maniera impressionante. La vera contrapposizione, oggi, e' fra merito e privilegio". Perchè i dati strutturali sono allarmanti, ci sono seri dubbi sulle precedenti politiche di contenimento della spesa. Anzi, più che dubbi, solidi conti in rosso fisso. "La finanza creativa di Tremonti e le cartolarizzazioni sono vere e proprie mine anti Italia seminate sul nostro cammino. Urge quindi una manovra finanziaria, anche se la eviteremmo volentieri perché non abbiamo una vocazione sado-maso, le manovre non rientrano nella nostra mentalità, ma bisogna modulare la pressione fiscale a cominciare da chi in questi anni si e' arricchito con le rendite a danno di imprese e lavoro".

Servono scelte coraggiose, ha voluto ribadire D'Alema, come le liberalizzazioni, "che devono riguardare persino le telecomunicazioni anche se qualcuno sarà scontento...". O scelte come quelle di una maggiore presenza nel panorama internazionale: "Dobbiamo stare nel mondo con più coraggio" . E ha citato l'ex premier con la consueta volontà di affossare l'avversario con l'arma dell'ironia più feroce: "Condoleeza Rice in un anno è stata in Kazakistan tre volte, mentre Berlusconi nei cinque anni scorsi non ha mai messo piede in Asia. E non so se avete presente l'Asia... magari non ci voterete, ma sappiate che non possiamo più concederci il lusso di rimpallarci le colpe".

In poche frasi, il ministro degli Esteri ha riassunto una verità assoluta che segna da sempre la stabilità economica di questo paese. Ovvero che quando la destra è al potere si pensa sempre in grande, si immaginano gigantesche opere pubbliche che non servono a nulla perché tanto è importante l'apparire, non certo l'essere, e si spende tutto quello che c'è in cassa per accontentare i capricci di pochi, che poi sono gli stessi che hanno le proprie tasche piene almeno da sette generazioni. E chi se ne importa del senso dello Stato, dell'uguaglianza costituzionale e della solidarietà sociale: che i poveri vadano a lavorare. E se il lavoro non c'è, il problema resta loro.

Poi arriva la sinistra. Si rende conto del disastro, tira la cinghia in nome di quelle cose che la destra detesta, tipo dividere equamente quello che c'è e far pagare di più i ricchi e meno i poveri, ridurre il debito pubblico e via discorrendo, ma con il risultato sconfortante di far passare nell'elettorato solo l'idea di voler mettere nuove tasse, non certo di imporre un rigido rigore economico perché quelli che c'erano prima se ne sono infischiati del bene comune e hanno pensato solo al loro. Il risultato di questa tradizione storica tutta italiana, è che di solito la sinistra ce la fa a risanare i conti, con le classiche lacrime e sangue di sempre, ma poi alle urne si ritrova sconfitta. E la destra, con le casse di nuovo piene, può ri-sperperare daccapo, con lo stesso, rozzo, stile egoistico insito nel suo dna. Ora, con il discorso di Santa Margherita Ligure, D'Alema ha inteso dare un primo colpo di piccone a questa spirale della doccia scozzese economica che, specie negli ultimi vent'anni, è stato il sottinteso di ogni alternanza politica. "Dobbiamo smetterla di darci la colpa gli uni con gli altri, che e' la principale attività del Paese. I politici fra di loro, gli imprenditori contro i politici, i politici contro gli imprenditori. Dei banchieri non parliamo, tutti ce l'hanno con loro. Occorre invece che tutti si assumano la propria responsabilità, perché altrimenti, se l'Italia scivolerà, sui libri di storia non ci sarà scritto che ha fallito Fini o D'Alema, ma che ha fallito l'intera classe dirigente del Paese". Per D'Alema, dunque, la strada da percorrere è senza dubbio quella di "una diversa modulazione della pressione fiscale colpendo là dove si è accumulata la ricchezza prodotta dalla rendita a scapito, spesso, di lavoro e imprese che dovrebbero essere alleate". Ecco, un'idea antica, di sinistra. D'Alema ha detto una cosa di sinistra. Meglio tardi che mai.

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