di Giuliano Luongo

Volendo riassumere l’interessante percorso della nostra politica energetica nel periodo più recente dell’era di Silvio I, si può osservare quanto le liaisons con noti personaggi del panorama politico internazionale abbiano influito sulle “nostre” scelte, più che il vero intento a cercare nuove soluzioni energetiche per un paese non esattamente benedetto dalla presenza di combustibili fossili.

Le ipotesi riguardanti l’introduzione dell’atomo tra le fonti energetiche del paese hanno ripreso a farsi sentire a partire dal secondo governo Berlusconi, come una delle tante armi di propaganda e campagna elettorale continua. Un’eventuale (re)introduzione dell’energia nucleare non veniva vista come un atto contrario alla volontà popolare, la quale - secondo l’entourage di Arcore - era stata viziata, all’epoca del referendum del 1987, dal disastroso incidente di Chernobyl.

Per chi non lo avesse a mente, ricordiamo che in Italia il processo di “nuclearizzazione” della produzione energetica era già stato avviato: dalla metà degli anni ’60 il nostro paese faceva parte di un progetto di sperimentazione anglo-americano di differenti tecniche di produzione di energia tramite centrali nucleari.

Con l’americana Westinghouse come impresa “madrina”, erano state approntate tre strutture, modelli simili a prototipi per sperimentare all’estero dei reattori capostipite delle filiere presenti rispettivamente oltremanica ed oltreoceano. La prima centrale nucleare, sita nei pressi di Latina, entrò in funzione nel 1963: nell’arco di una ventina di mesi videro la luce quelle site a Sessa Aurunca (CE) ed a Trino (VC). I lavori di costruzione della quarta centrale iniziarono il 1° gennaio del 1970 a Caorso (PC).

Durante gli anni ’70 fu studiato un piano energetico nazionale, che dava grande risalto a questa nuova fonte: esso ebbe tuttavia un rallentamento come conseguenza dell’incidente avvenuto alla centrale americana di Three Mile Island, a seguito del quale vennero ripensate molte delle procedure di sicurezza da mantenere in un impianto, in particolare riguardo ai circuiti di raffreddamento.

In ogni caso, il 1982 vide gettare le prime pietre di un ulteriore impianto, sito a Montalto di Castro (VT). Il resto è storia nota, nel 1987 passarono quattro referendum abrogativi, forieri del rifiuto della maggior parte dei cittadini italiani sui seguenti quesiti: possibilità al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) di decidere sulla localizzazione delle centrali nel caso in cui gli enti locali non decidono entro tempi stabiliti; compenso agli enti locali che avrebbero dato l’ok all’installazione di centrali nucleari o a carbone; alla norma che consente all’ENEL di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all'estero.

Referendum quasi plebiscitario (si arrivò sull’80% dei non-consensi per uno dei quesiti), grazie al quale non si testimoniava solo il mancato apprezzamento della soluzione nucleare, ma anche un determinato modo di amministrare lo “sviluppo” energetico del territorio a livello sia locale che nazionale. Il piano energetico andò pian piano abbandonato: le centrali di Latina e Trino, progettate per funzionare 25-30 anni dall’accensione del reattore, furono lasciate spegnersi. Solo Caorso, in effetti, fu spenta in “anticipo”, senza poi dimenticare che, a causa di guasti, l’impianto di Sessa Aurunca era già KO dal 1982 e le riparazioni erano state definite “antieconomiche” e pertanto abbandonate. Le scorie radioattive prodotte sono tuttora stoccate per la maggior parte in Francia ed Inghilterra: quelle rimaste presso Trino hanno prodotto dei rilasci incontrollati nel 2006, ma al momento il sito di stoccaggio sembra pulito. Sembra.

E torniamo a noi: le prime idee lanciate dai “forzisti” erano alquanto vaghe, apparentemente legate solo alle solite logiche di propaganda neo-maccartista contro i misteriosi comunisti e le loro scarsamente applicabili idee di energie alternative. In seguito però, con lo stringersi dei legami tra Arcore e Mosca, sono state paventate ipotesi ben più “tangibili” per il ritorno all’atomo. A margine dei tanti accordi in tema di forniture di gas, Berlusconi ha allacciato con Putin numerose trattative per l’ottenimento di nuove tecnologie per la costruzione di centrali nucleari.

L’ultimo capitolo di questa avventura è alquanto recente, risalente allo scorso aprile, quando il nostro premier decretava la nuova svolta del nucleare in Italia grazie al supporto russo. L’incontro tenutosi a Lesmo ha gettato le basi per una partnership di ricerca tra i due paesi (programma Ignitor) e l’annuncio di una prima nuova centrale in tre anni. Al momento di tali dichiarazioni c’era ancora Scajola a piede libero, ergo pesate il tutto. Il premier inoltre prendeva l’esempio francese come esempio di successo “opera di convincimento” dell’opinione pubblica per far meglio accettare questo nuovo trend.

Ecco, i francesi: siamo in partnership anche la con la EdF per le tecnologie nucleari. Sarkozy è stato ed è tutt’ora uno dei più grandi sostenitori del nucleare sia in Francia che in Europa tutta: si è impegnato largamente per sabotare i progetti di approvvigionamento energetico differente (si veda il Nabucco) o semplicemente per mantenere il controllo francese sul nucleare stesso (si veda come ha fatto finire la divisione nucleare della Siemens nelle mani della russa Rosatom).

Tale genietto della geoeconomia non ha potuto fare a meno di contare Silvio nei suoi piani, e per far ciò ha siglato un’ampia intesa politica sullo sviluppo del nucleare, con particolare attenzione- almeno sulla carta - al fattore sicurezza, probabilmente nell’ottica di captatio benevolentiae dell’opinione pubblica di cui sopra.

Soffermiamoci ora un secondo a riflettere su questa duplice alleanza su due fronti opposti, partendo da quello più enigmatico, ossia quello russo. Mentre i giornali davano ovviamente molto meno risalto a Mosca rispetto a Parigi, dobbiamo far notare che la base della rinuclearizzazione viene proprio dalle steppe, incrementando ancor più la dipendenza energetica dai russi.

Le centrali Rosatom hanno inoltre la peculiarità di fungere solo tramite combustibile prodotto dalla TVEL, altra ditta russa: come hanno imparato a proprie spese gli ucraini in sede di molte centrali riattivate, rifornirsi da una delle due compagnie russe impone di farlo anche dall’altra, vista l’incompatibilità critica dei prodotti di queste imprese con quelli di altre (specie con la Westinghouse).

Pare che per bilanciare questo problemino sia stata fatta l’apertura ai francesi, ma è evidente che stiamo solo cercando di dividerci tra due cresi dell’energia che sfrutteranno solamente il nostro territorio come sede di sperimentazioni tecniche e per fare oggettivamente soldi a palate. Tutto questo senza dimenticare le eventuali difficoltà di installazione di centrali sul suolo italiano, vista la legislazione fallace sul tema e la pioggia di clamorosi NO venuti da un po’ tutte le amministrazioni locali in tema di localizzazione impianti, anche da quelle ufficialmente sotto l’egida del Cavaliere.

Senza dimenticare quanto stia divenendo sempre più bipartisan l’idea del revival atomico: dal caro Veronesi fino a Morando, persino la pseudo sinistra nostrana mostra un’apertura, segnale del fatto che la torta da spartire sembra appetitosa e realizzabile. Dunque, possibilità predatorie non stop? Siamo in Italia, non facciamo domande retoriche.

 

 

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