di Rosa Ana De Santis

Come ogni anno Rimini apre l’agenda politica della Chiesa e lo fa chiamando a raccolta le autorità e il governo. La lezione di questi giorni, apostrofata con idillio lirico dal ministro Sacconi che ha scomodato addirittura la mistica del dono, è quella che ricorda alla politica che la cultura cristiana è intrinsecamente legata al valore dell’accoglienza. Non esiste un concetto coerente e pieno di Europa senza quest’anima culturale e morale. In un paese come l’Italia, dove sono tristemente attuali le battaglie per il crocifisso e in cui le leggi sono modellate sulla morale religiosa cattolica, questo genere di lezione dovrebbe arrivare facilmente al legislatore.

Almeno così ci si aspetterebbe. Dovrebbe arrivare, altrettanto rapidamente, ai nostri vicini francesi, al presidente Sarkozy e alla sua benedizione per la cacciata dei rom. E ancora al nostro Ministro dell’Interno, che non pago della cacciata indiscriminata di donne e bambini in Francia, chiede all’Europa di poter cacciare tutti (perché non sembri una persecuzione ai danni dei soli rom), anche i cittadini comunitari.

Il suo livore va per il risalto mediatico che ha avuto la vicenda francese, scopiazzata dalla politica dei rimpatri del nostro governo e non, piuttosto, perché una cacciata dai confini è un rimedio preistorico che equivale a seppellire ogni sfida politica per il futuro. Peccato, arriva a dire il Ministro, non poter cacciare i rom di cittadinanza italiana che non lavorano. Perché forse dovremmo cacciare tutti i nostri disoccupati del sud. Non si rende conto, Maroni, che questo significa mettere in discussione il concetto preliminare e fondante della cittadinanza europea e di nullificarne ogni valore e ogni identità. Non se ne rende conto o non se ne cura ottemperando al preferito manifesto sull’Europa dei popoli e delle etnie tanto caro ai suoi amici del Carroccio.

L’isolamento che l’Italia, guidata da un ministro leghista, sta conquistando in Europa, in atteggiamento di aperta sfida con Bruxelles, non è affatto rassicurante e il monito che è arrivato direttamente da papa Ratzinger, in occasione dell’Angelus, sembra rimanere inascoltato. Va bene la voce del Papa per le staminali e per gli embrioni, per l’aborto e il matrimonio gay e per tutto quello che serve a preservare una cultura patriarcale e di controllo sociale; non va più bene - a quanto sembra -  quando in ballo c’è la difesa della nazionalità nemmeno come valore culturale, ma più banalmente come criterio di dominio e sfruttamento internazionale.

E’ evidente quanto sia stato sempre strumentale il richiamo del governo all’autorità della Chiesa, dalla vicenda Englaro al crocifisso nelle scuole, all’ora di religione, così come è evidente quanto la chiesa non abbia smesso un giorno di fare politica e di esercitare un ruolo di ispirazione morale della legge pubblica come risarcimento de facto per il perduto e rimpianto potere temporale. Del resto questo era stato il messaggio di Rimini nel 2009 e da allora la cronaca italiana ci ha documentato, passo dopo passo, quanto questo sposalizio con la politica sia riuscito.

Accogliere - facile fare previsioni - significa anche accogliere la vita umana in tutte le sue fasi e manifestazioni. Così come meno Stato e più società, come suggerito da Sacconi, può significare soltanto mettere a rischio la laicità e l’universalità della legge in un sistema come quello italiano, in cui la morale laica e quella religiosa tendono ancora ad essere un unicum. Forse solo la rivendicazione di uno Stato forte può preservarci: grottesca soluzione all’italiana.

Se l’accoglienza fosse quella indicata dalla Chiesa del duemila, diventeremmo probabilmente una grande comunità cristiana, illiberale e totalitaria ma buona nella sostanza morale; se diventiamo, come stiamo diventando, un Paese in cui si può cacciare un bambino in carne ed ossa e non un embrione, diventiamo soltanto un’appendice del Vaticano. Un binomio bizzarro fatto di cattolicità senza cristianità, un paese falsamente democratico, fondato su un sistema di profonda ingiustizia e di conclamata immoralità politica.

Quello che Rimini non ha detto è che la cristianità può far franare irrimediabilmente la costruzione della cattolicità tanto cara al nostro governo e al potere della Santa Sede. E’ questa doppia identità che può renderci cristiani ed europei, senza alcun bisogno di essere cattolici. Chissà se CL ci ha pensato. L’appuntamento è per il concilio vaticano terzo. 

 

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