di Mario Braconi

La pubblicazione del Rapporto 2010 dell’INAIL mostra una fotografia del fenomeno infortunistico in Italia che induce ad un cauto ottimismo: nel 2009 si è infatti ridotto in modo significativo il numero degli infortuni in generale (-9,7%) ed in particolare di quelli mortali (-7,5%). Ovviamente, il numero grezzo non tiene conto della situazione di crisi acuta in cui versava allora l’economia italiana.

Considerando che, secondo l’ISTAT nel 2009 si è registrato un calo degli occupati pari allo 1,6% e che sono state contestualmente ridotte le ore lavorate pro-capite delle persone ancora presenti sul mercato (-1,4%), si può concludere che in quell’anno mediamente si è lavorato il 3% in meno, il che vuol dire che si sono parimenti ridotte di probabilità di rimanere coinvolti in un incidente sul lavoro. Se si aggiusta il numero degli infortuni con l’effetto della diminuita probabilità dell’evento dannoso, il calo del 9,7% viene ridimensionato ad un 7%.

Questa puntualizzazione, per quanto doverosa, non esclude che il nostro Paese abbia conseguito dei risultati importanti (nel 2009 sono deceduti 70 lavoratori in meno rispetto all’anno precedente e si sono “risparmiati” ben 85.000 incidenti) e a voler essere ottimisti a tutti i costi, questa è una buona notizia. Si tratta, ovviamente, di statistiche che si riferiscono ai sinistri denunciati e che nulla dicono sui casi di lavoratori in nero o che per motivi vari (irregolarità della loro posizione, anche dal punto di vista delle leggi sull’immigrazione, ricatti del “padrone”, eccetera) si consumano e forse anche muoiono nel silenzio.

E’ soddisfatto Marco Sartori, Presidente dell’Istituto, mentre snocciola dati di cui il Ministro del Welfare Sacconi si appropria seduta stante, tentando di segnare un punto a favore dell’ormai indifendibile governo Berlusconi, affondato dal piglio autoritario del suo Capo Supremo, da spaccature interne e dalla corruzione talmente radicata da rendere necessario il bavaglio sulla stampa. “Non siamo il peggior Paese al mondo, come a volte si dice con una enfasi che non aiuta”, protesta il Ministro, annunciando una campagna di sensibilizzazione sul tema da ben venti milioni di Euro, promettendo un piano straordinario di ispezioni nel settore edile e auspicando la “collaborazione” di Carabinieri e Guardia di Finanza (ma non é scontata?).

Nulla da dire, perché i miglioramenti di standard di sicurezza sul lavoro si perseguono marciando su due gambe, ugualmente importanti: la sensibilizzazione culturale (si ricordi ad esempio l’impatto sull’immaginario collettivo delle immagini degli operai privi di presidi di sicurezza al lavoro presso la Camera dei Deputati, proposte dal programma Le Iene) e la drastica repressione delle irregolarità. Se non fosse per il piccolo particolare che tra le tante spese finite a giugno sotto l’implacabile forbice tremontiana vi siano, guarda caso, proprio 10 milioni di euro (in tre anni) originariamente destinati alle “spese per la promozione della cultura e delle azioni di prevenzione in materia di salute e sicurezza sul lavoro”... Ennesimo caso di schizofrenia governativa.

Nell’attribuire all’Italia un ipotetico primato, Sartori, prontamente seguito da Sacconi, cita i dati EUROSTAT relativi ai tassi standardizzati di incidenza (o SIR, Standard Incidence Rate) degli infortuni sul lavoro (che peraltro si fermano al 2007, e quindi a rigore non sono confrontabili con quelli pubblicati dal Rapporto INAIL). Effettivamente, il SIR italiano riferito agli incidenti in generale è migliore rispetto a quello di diversi importanti Paesi europei e della media europea (a 15 Stati): 2.674 casi su 100.000, contro i 3.125, 3.975, 4.691 e 3.279 registrati, rispettivamente, in Germania, Francia, Spagna, e, mediamente, nell’area europea, a 15.

Tuttavia, se si analizzano le tabelle relative agli incidenti mortali sul lavoro, la situazione è ben diversa: il SIR dei decessi sul lavoro in Italia è pari a 2,5 casi su 100.000, dato che si confronta con risultati degli altri Paesi (anche significativamente) migliori: Spagna 2,3, Francia 2,2, Germania 1,8, media europea 2,1. In sostanza, sembra che in Italia si verifichino mediamente meno incidenti, anche se di solito essi tendono ad essere più frequentemente letali rispetto a quanto accade in altri Paesi europei. Pur senza disconoscere i progressi conseguiti negli anni, non sembra una situazione di cui andare fieri.

Il tutto senza considerare che vi sono tre Paesi (Irlanda, Gran Bretagna e Svezia) che in tutte e due le statistiche hanno livelli tali da far vergognare gli altri Paesi europei: essi mostrano SIR degli incidenti compresi tra 1.000 e 1.500 (2.674 in Italia) e SIR dei decessi compresi tra 1,3 e 1,7 (2,5 in Italia). Anziché gloriarsi dei (modesti) successi conseguiti, enfatizzando i dati comodi e rimuovendo quelli sgraditi, meglio farebbero i nostri burocrati e i nostri politici a studiare con attenzione che cosa accade in altri Paesi che fanno più seriamente uno dei pochi mestieri che giustificano la presenza di uno stato - salvare la pelle ai suoi cittadini / contribuenti.

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