di Rosa Ana de Santis

Si corre il rischio di incontrarli a Portofino o a Taormina. A bordo di yacht o in lussuose ville prese in affitto a Porto Cervo. Sono prestanome, nullatenenti e finti indigenti che sfuggono al controllo dello Stato. Un sistema fiscale, il nostro, pieno di buchi da cui scappa in modo cronico il Paese degli affari fantasma. Quelli nati dall’evasione, dall’elusione fiscale o dalla truffa vera e propria. Il buco è di 100 miliardi l’anno di mancati incassi.

Una cifra che diventa ancora più ingiusta nel panorama della crisi economica generale che ci ha colpiti e la cui soluzione tempestiva è stata chiesta proprio al ceto medio, ai dipendenti e alle famiglie. Le più tassate e le più abbandonate dal welfare. Un capolavoro d’iniquità.

La manovra finanziaria promossa dal governo, i ricchi delle ville in Sardegna, quelli delle società che sono scatole vuote, o dei bilanci in perdita fallimentari, proprio non li vede, anzi. Li perdona e li condona. E la chimera di veder rientrare l’imponibile nelle mani del Fisco è rimasta tale. Gli evasori non si pentono e continuano a rastrellare affari su affari in modo illegale, in attesa del prossimo condono o dell’ultimo scudo fiscale. Quello che alle loro tasche costerà sempre meno delle tasse ordinarie.

Inutile dire che a mancare è la cultura della legalità e che a contraddistinguere l’economia italiana è un modo preciso di fare impresa che normalizza l’aggiramento delle regole e che tollera la prossimità con l’inciucio, quando va bene. Il governo ha dato prova, in diverse occasioni, di volere questa forma di deregulation per le imprese e gli affari e di non vederne né un pericolo né  un’insidia per la giustizia sociale e per la legalità dell’intero Paese.

Depenalizzando il falso in bilancio, istituendo norme contro i lavoratori come l’arbitrato e lanciando la proposta di aprire un’azienda in un giorno, si stanno costruendo i presupposti per non uscire più da questa cancrena del sommerso e della contaminazione dell’economia con l’illegalità e con la criminalità.

Eppure Berlusconi, che di questa allergia alle regole fa la sua bandiera, porta a casa anche i voti dei tartassati. Perché se con i ricchi e con gli affari illeciti funziona la regola delle convenienza, con le fasce deboli funziona la strategia della propaganda. Quella che spopola in tv con la medicina delle social card o dell’ICI - solo per citare alcuni esempi- e che non dice di aver tolto alle famiglie tanti preziosi servizi come gli asili nido pubblici o il tempo pieno a causa di scuole sempre più povere.

Cosi le mamme, a parte la Ministro Gelmini, possono starsene a casa, rinunciare al lavoro e adattarsi ad una faticosa vita monoreddito, decidendo infine di non avere più figli. Ancora una volta i meno ricchi, gli affittuari, hanno pagato il prezzo del privilegio riservato ai benestanti proprietari di un immobile.

La manovra fiscale aggira la scandalosa falla dell’evasione. Per la nostra marea nera non sono previste misure d’intervento, nemmeno straordinario. Tanto il conto dell’emorragia lo pagano i dipendenti e le fasce sociali più deboli. Esattamente come i falsi invalidi li pagheranno i veri invalidi, che vedranno le loro pensioni decurtate mentre commissioni finte regaleranno oboli di illegalità per alimentare simil ammortizzatori sociali "fai da te".

Questo è il ritratto di un Paese al rovescio. Dove nessuno è ricco e dove i finti poveri vivono di lusso. Non si vuole estirpare il danno dell’evasione, perché lì sta lo zoccolo duro che muove i soldi e il potere delle upper class corrotte. I fantasmi del fisco sono le icone della corruzione che ci rincorre in giro per il mondo. E sono quelli che non avrebbero il diritto di entrare mai in una scuola o in un ospedale pubblico italiano. Andassero in Svizzera o a Montecarlo, dove hanno scelto di custodire a nero i neri risparmi di una vita.

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