di Domenico Melidoro

Lunedì otto maggio alle ore 16,00 ci sarà la prima votazione per l'elezione del Presidente della Repubblica. Il quorum richiesto è di 674 voti, ma difficilmente qualcuno riuscirà a spuntarla già dopo il primo scrutinio. Infatti, dopo aver accantonato l'ipotesi della riconferma al Quirinale di Carlo Azeglio Ciampi (l'unico nome sul quale si poteva registrare il consenso pressoché unanime di maggioranza e opposizione) e dopo il fallimento dei tentativi di intesa su un candidato gradito da entrambi gli schieramenti, non si dispone di alcun nome capace di raccogliere il numero di consensi sufficiente per eleggere il Capo dello Stato alla prima votazione. Massimo D'Alema è al momento l'unico candidato ufficiale presentato dall'Unione, ma non raccoglie consensi nella Casa delle libertà. Berlusconi ha dichiarato pubblicamente di non accettare che un uomo politico cresciuto nelle fila del PCI come D'Alema sia la persona adatta a succedere a Ciampi. L'ex Premier ha addirittura minacciato, al grido di "No taxation without representation", di mettere in pratica uno sciopero fiscale qualora non fosse eletto un Presidente della Repubblica gradito al Centrodestra. Mettendo da parte le minacce eversive di un Berlusconi che ancora una volta esibisce con candore la propria avversione alle regole della democrazia liberale e la propria scarsa attitudine al rispetto delle istituzioni democratiche, ci pare opportuno osservare che l'Unione dispone di 541 voti che, se dovessero convergere tutti sul Presidente dei Democratici di Sinistra, consentirebbero a D'Alema di essere eletto al Quirinale al quarto scrutinio, quando la maggioranza richiesta dai regolamenti costituzionali è pari a 506 voti.

L'Unione, ad eccezione della Rosa nel Pugno che con Pannella ha manifestato dubbi sull'opportunità dell'elezione del Presidente dei DS e di qualche sparuto esponente della Margherita, pare essere compatta attorno al nome di D'Alema. Francesco Rutelli ha affermato che, dopo aver cercato di ottenere la convergenza più ampia possibile nelle prime tre votazioni, "dalla quarta votazione, se la CdL imponesse un veto alla ricerca di una soluzione condivisa, non potremmo che schierare il nostro candidato più forte", vale a dire D'Alema. Questi potrebbe ricevere anche i voti del Centrodestra e perfino di esponenti di Forza Italia. Anche se la tesi di Eugenio Scalari, secondo il quale "una presidenza D'Alema favorita o non ostacolata da Berlusconi avrebbe come effetto un consolidamento del Cavaliere alla guida dell'opposizione" (la Repubblica, 7 maggio 2006), non è del tutto plausibile alla luce dell'atteggiamento tenuto dall'ex-premier in questi giorni, non è da sottovalutare la possibilità che Berlusconi possa favorire l'elezione di D'Alema per accreditarsi come interlocutore privilegiato con i vertici dell'Unione. Un eventualità del genere sarebbe mal tollerata da Fini e Casini, i cui motivi di disappunto nei confronti della leadership di Berlusconi sono da tempo palesi a chiunque.

Da parte nostra auspichiamo una rapida risoluzione della vicenda dell'elezione del Presidente della Repubblica. Il Paese potrebbe non accettare il dilungarsi dei barocchismi delle polemiche politico-istituzionali. Una conclusione rapida eviterebbe il poco edificante spettacolo già fornito in occasione dell'elezione dei Presidenti di Senato e Camera, quando il senso di responsabilità mostrato con il ritiro della candidatura di D'Alema consentì l'elezione di Bertinotti alla Presidenza della Camera e impedì contrapposizioni e lacerazioni all'interno della risicata maggioranza dell'Unione. L'elezione di D'Alema al Quirinale rappresenterebbe una garanzia per la stabilità del Centrosinistra e soprattutto placherebbe le tensioni emerse in casa DS dopo il fallimento dell'operazione che avrebbe dovuto portare il Presidente del Partito a rivestire la terza carica dello Stato. Concordiamo in pieno con quanto Antonio Padellaro ha scritto: "con D'Alema eletto alla presidenza della Repubblica e con i DS tranquillizzati, il governo Prodi potrebbe prendere rapidamente il largo" (l'Unità, 6 maggio 2006). Solo il superamento delle tensioni interne alla maggiore componente dell'Unione (che qualora l'operazione per eleggere D'Alema al Quirinale fallisse continuerebbe a trovarsi nella condizione di non essere rappresentata adeguatamente nelle istituzioni) può consentire l'avviarsi di uno stabile quinquennio di governo nel quale si possa porre mano alla risoluzione dei problemi del Paese.

Tra l'altro, le polemiche di questi giorni hanno oscurato la triste vicenda delle morti di soldati italiani nelle cosiddette "missioni di pace" nelle quali le nostre truppe sono da tempo impegnate in giro per il mondo. Ci sarà da discutere seriamente sul rifinanziamento delle missioni militari e il ritiro immediato delle truppe dall'Iraq (Oliviero Diliberto ha affermato che il rifinanziamento "deve servire solo a pagare la benzina per tornare a casa", la Repubblica, 7 maggio 2006) ci sembra la prima scelta che il governo di Prodi dovrebbe compiere per dimostrare che è possibile gestire le relazioni internazionali in modo diverso da come impone la logica di potenza della guerra infinita inaugurata da George Bush e dai suoi alleati.

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