di Mariavittoria Orsolato

Nonostante solo una settimana fa il Guardasigilli ci avesse assicurato compìto che il governo non stava studiando norme sulla prescrizione processuale, tutti quelli che dopo la bocciatura del lodo Alfano avevano stappato gaudenti bottiglie di spumante sappiano che non è ancora finita. Stavolta l’hanno chiamata semplicemente “norma sui processi veloci” e, armai avveduti del fatto che parlare della giustizia come un impedimento al premier è controproducente, hanno detto che servirà a snellire i tempi biblici dei nostri tribunali. Le vittime di tutti gli altri reati portino pazienza.

Il testo non è ancora stato reso pubblico ma pare che la bozza su cui hanno lavorato alacremente l’onorevole ghostwriter Niccolò Ghedini e Giulia Bongiorno, presidente della Commissione giustizia della Camera e finiana della prim’ora, sia un capolavoro di contrappesi concentrato in quattro punti. Il primo riguarda i tempi processuali e stabilirebbe che per i casi con imputazioni inferiori ai 10 anni (ad eccezione dei soliti reati di terrorismo, mafia e turbativa sociale), si deve avviare l’estinzione del procedimento se il processo non si chiude entro due anni per ogni grado di giudizio.

Al secondo punto starebbe invece un taglio di un quarto dei termini di prescrizione per tutti i procedimenti pendenti relativi a reati punibili sempre con meno di 10 anni, ma commessi solo da incensurati prima del 2 maggio 2006 - data in cui è entrato in vigore l’indulto a marchio Prodi. Sugli altri due punti entrerebbero poi in gioco le modalità procedurali con cui gli uffici giudiziari sarebbero in grado di celebrare processi in tempi ridotti.

Ora, quello che oggi potrebbe diventare un disegno di legge di iniziativa parlamentare, in realtà è solo l’ennesimo trucchetto cavilloso a cui Berlusconi si vorrebbe aggrappare per scampare i processi sulla frode dei diritti tv Mediaset e sulla corruzione dell’avvocato inglese David Mills: cominciando a presentare una serie interminabile di legittimi impedimenti - come sta già facendo per il processo Mediaset, da poco riaperto a Milano - in nostro avrà gioco facile nel rinviare un un’udienza dopo l’altra e riuscirà a far cadere come birilli tutte le sue imputazioni, che sono appunto inferiori ai 10 anni e interessano oltretutto fatti commessi prima del 2006 da uno che, miracolosamente, risulta agli atti comunque incensurato.

Di questo nuovo porcellum legislativo si parla già come del “lodo Fini-Berlusconi” e la definizione dà sicuramente da fare ai molti che avevano visto nel Presidente della Camera un baluardo di costituzionalità contro l’arroganza dei berluscones. Il confronto tra i cofondatori del Popolo delle Libertà è stato sicuramente travagliato, entrambi hanno qualcosa da perdere in questa disputa: il premier ha fretta di mettere la parola fine ai suoi procedimenti pendenti e di annichilire quelli che inevitabilmente verranno nel tempo, Fini deve invece riscattare la sua credibilità politica agli occhi della maggioranza, senza però inficiare l’aura di autorevolezza che si sta guadagnando tra il popolo di elettori insoddisfatti.

Qui sta appunto la finezza del duo Ghedini-Bongiorno: formalmente la norma appare come la giusta soluzione all’incontenibile lunghezza dei processi - che mediamente anno dai 7 e mezzo per il processo civile  ai 10 anni di quello penale - nella realtà dei fatti il disegno di legge è l’ennesimo colpo di spugna sui trascorsi e i presenti giudiziari del Presidente del Consiglio.

Il compromesso a cui necessariamente si è dovuti arrivare, verte sul secondo punto del testo, quello in cui si ridurrebbero i termini di prescrizione per i reati con pene inferiori a 10 anni e che messo in pratica annullerebbe un’infinità di procedimenti: il Quirinale, ammesso che consideri costituzionalmente legittima l’abbreviazione dei processi, non sottoscriverebbe in nessun caso anche i tagli alla prescrizione, perciò è bene accontentarsi e non tirare troppo la corda. Berlusconi dovrà compiacersi di risolvere solo i problemi già in gioco e non potrà avvalersi di quell’immunità “in prospettiva” che ha già provato ad attribuirsi con i vari lodi Maccanico, Schifani e Alfano.

Certo, abituati come siamo agli escamotage dell’ultima ora, nulla toglie che il desiderio di Padron’ Silvio sulla prescrizione breve possa essere esaudito con un emendamento a nome fittizio da inserire in fase di dibattimento, ma in questo modo l’ala finiana del partito potrebbe sollevarsi e fare fronte comune contro gli altri affari ad personam e non che ciclicamente vengono proposti alle Camere.

Purtroppo però, al di là delle liasons dangereuses che intrecciano i politicanti di quella che a torto si continua a chiamare destra, la questione sostanziale dell’operazione verte nuovamente sull’uso spregiudicato del potere legislativo contro quello giudiziario. Un nume della filosofia politica del calibro di Montesquieu scriveva nel suo “Esprit des lois” che il discrimine tra un paese libero e un paese dispotico stava nell’autonomia della magistratura e soprattutto nella sua funzione moderatrice contro gli abusi e capricci degli uomini di potere.

Ieri, a riprova della cronica amnesia nazionale, in un accorato editoriale al tg delle 20,00, il direttore Minzolini ha spiegato contrito come l’immunità parlamentare fosse un lascito dei nostri padri costituzionali per equilibrare i poteri istituzionali ed evitare intimi accanimenti contro cittadini che legiferano nell’interesse del paese. A ciò ha aggiunto che se l’immunità parlamentare è stata annullata nel 1993, questo è stato esclusivamente il frutto di una campagna mediatica sorta sul livore del popolino.

Chissenefrega di Montesquieu e dello spettro del dispotismo, chissenefrega del rispetto delle istituzioni e del principio di giustizia ed equità che dovrebbe stare alla base delle moderne democrazie. Noi abbiamo Berlusconi: vive l’empereur!

 


 

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