di Sara Nicoli

L'altro sindacalista l'hanno eletto al Senato un paio d'ore dopo, ma il leader comunista è stato il primo a rivendicare, con una frase semplice ma di grande forza, le radici della propria storia politica e personale, le stesse che dovrebbero appartenere all'intera Nazione. "Dedico l'elezione alla presidenza della Camera alle operaie e agli operai". Fausto Bertinotti, 65 anni, milanese di Sesto San Giovanni, la Stalingrado d'Italia, comunista chic amico degli ultimi e dei combattenti, comunista alla ricerca di Dio, ma soprattutto della conoscenza degli uomini, nel giorno della sua elezione a Presidente della Camera ha voluto subito sgombrare il campo da equivoco antico, da quell'interpretazione del ruolo di terza carica dello Stato come di un arbitro a cui è richiesto di riporre la propria passione politica in un cassetto. "Sono un uomo di parte - ha detto con la voce ferma ma con mano tremante _ che perciò non teme il conflitto, ma vorrei che nel nostro futuro politico fosse bandito il rischio di lasciar scivolare la politica nella coppia amico-nemico. A partire dalla nostra assemblea dobbiamo dimostrare di saper parlare il linguaggio della convivenza come valorizzazione delle differenze, di tutte le differenze". Rispetto, dunque. Soprattutto per le radici della democrazia che l'ultima legislatura ha inevitabilmente messo in ombra, in un goffo e quotidiano tentativo di revisionismo storico che ha creato imbarazzo nei vecchi e incertezza nei giovani. E che Bertinotti pare deciso a contrastare duramente. "Vorrei che questa assemblea potesse idealmente rivolgersi a Marzabotto - ha esordito, mentre un deputato di An che si dev'essere sentito chiamato in causa gridava alle foibe - e a quella collina annegata nel verde in cui si ricorda l'orrore e che Calamandrei indicava ai giovani; anche lì è nata la nostra Costituzione, la nostra irriducibile scelta di pace, la nostra irriducibile scelta di lotta contro la guerra e contro il terrorismo". ''Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove e' nata la nostra Costituzione - ha proseguito nel passaggio più delicato del suo discorso, mentre dai banchi delle destre proseguivano i mugugni scomposti - andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque e' morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, perchè la Costituzione italiana, nata dalla lotta di liberazione, dalla Resistenza, è l'origine della nostra Repubblica in cui spero che ognuno possa riconoscersi per trovare nelle radici le ragioni e la forza per progettare il futuro dell'Italia, dell'Europa e del mondo".

Riconoscersi nella storia e progettare il futuro. Parole d'ordine inconfutabili per un Paese lacerato da cinque anni di governo "personale" della Cdl, che ha reso i poveri sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi, che ha dimenticato gli ultimi per gratificare i primi e che il subcomandante Fausto ha sempre contrastato con fermezza nel segno di una "giustizia sociale capace di dare sicurezza al futuro dei cittadini". C'è bisogno di ricostruire "il confronto e il dialogo" anche con chi non lo ha votato, nel nome della "pari dignità politica". Il primo compito sarà quello "di lavorare a una forte valorizzazione del ruolo del Parlamento, una necessità storica" di fronte "al rischio del distacco del paese reale dalle istituzioni".
Per il Presidente della Camera "il Parlamento può concorrere alla rinascita e allo sviluppo di tutte le forze democratiche e di partecipazione", guardando con "attenzione e cura" a tutti i corpi dello Stato, "centrali e territoriali, affinché possano dispiegare tutta la loro potenzialità, a partire dallo sviluppo di tutte le autonomie", da quella della magistratura a quella del servizio pubblico di informazione. "Il popolo deve poter investire tutta la sua fiducia sulle istituzioni democratiche per nuove conquiste di libertà e diritti".

Un impegno difficile, ma al contempo esaltante che per Bertinotti deve cominciare investendo sulla scuola per costruire una "nuova convivenza". A cominciare dagli insegnanti, indegnamente bistrattati dalla riforma Moratti, che invece Bertinotti ha ringraziato riconoscendogli il ruolo di "patrimonio per il paese" per allargarsi a tutto il fronte dell'educazione, dove ha citato la lezione di don Lorenzo Milani.
La cultura al primo posto, dunque, per un uomo appassionato dalla cultura francese che vede nell'investimento sulla formazione " il fondamento di una nuova economia; l'Italia ha qui la sua risorsa più grande, anche per superare il rischio della crisi della coesione sociale". Che passa anche attraverso il riconoscimento della "laicità dello Stato" che, tuttavia, oggi richiede una rielaborazione per farne l'orizzonte di una nuova convivenza, "della costruzione - secondo il Presidente della Camera - di una cittadinanza universale in cui progettare il nostro futuro". Laicità, ha detto, "per costruire un futuro che é sospeso tra rischi terribili e grandi speranze".

Nella mente dell'ex dirigente della Cgil non poteva rimanere in ombra che la sua elezione è caduta in un giorno a cavallo di due date cardine della storia repubblicana, il 25 aprile e il 1° maggio: da un lato il lavoro, troppo spesso oscurato e che deve fare i conti con la precarietà ("il male più terribile del nostro tempo"); dall'altro lato la "radice della Repubblica", che è nella lotta di liberazione e in quell' irriducibile scelta di pace che lo ha portato, come primo atto del suo nuovo mandato, a tributare l'ultimo saluto dello Stato ai nuovi morti di Nassiriya, vittime di una guerra e di una politica estera sbagliata.
Già, la politica. Cinque anni di berlusconismo ne hanno annebbiato i contorni e i contenuti, ma a Bertinotti non sfugge che è soprattutto di questo che il Paese ha bisogno per rinsaldare le sue radici. "La politica vive la sua crisi - ha spiegato - ma dal nostro Paese viene un'alta domanda di politica, come testimoniano le ultime elezioni, una domanda che esigente e a volte aspra. Il Parlamento non potrà da solo risolvere questi grandi problemi, ma può concorrere con l'insieme delle istituzioni democratiche e, con la partecipazione delle donne e degli uomini del nostro Paese, deve lavorare alla riqualificazione dello spazio pubblico che ognuno possa vivere come comunità. E sulla base di questo principio - ha aggiunto - riconosco la pari dignità politica di ognuno in questa aula: del governo, come dell'opposizione, della maggioranza come della minoranza. Ognuno di voi avrà il mio assoluto rispetto di questo principio". Il rispetto, appunto. Quello che ci è mancato, insieme a tanto altro, in questi ultimi, pesanti e non rimpianti, cinque anni.

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