Ormai è andata. Il responso delle urne ha sancito la vittoria del centro-sinistra,
anche se si è trattato di una vittoria in bilico fino all'ultimo, e tutt'altro
che netta.
E' emersa, in altre parole, un'Italia spaccata in due, e sarà dunque
difficilissimo governare in queste condizioni.
La partecipazione al voto ha toccato quote numeriche da Apocalisse e da resa
dei conti finale, sintomo del grande stato d'ansia suscitato dai toni virulenti
emersi nell'ultima parte della campagna elettorale, e anche di una forte capacità
di mobilitazione del proprio elettorato da parte di tutte e due le coalizioni,
almeno in questo frangente.
Nelle sedi di tutti i partiti, in queste convulse giornate, si stanno meticolosamente
analizzando i consensi ottenuti, quei consensi che decideranno i rapporti di
forza nella prossima legislatura, sempre se quest'ultima resisterà alla
prova di governo e non si andrà a nuove elezioni.
Qualche mese fa si era parlato di incubo da grande coalizione alla tedesca,
in caso di empasse al Senato della Repubblica, ed infatti Berlusconi ha immediatamente
giocato d'anticipo sui propri alleati, tirando fuori la propria maschera più
conciliante, per essere più credibile nell'atto di proporre al centro-sinistra
un governo di unità nazionale, un'esplicita "Grande Coalizione per
il bene del Paese". Per non parlare dell'orrido scenario da Governo balneare.
Per ora Prodi ha declinato l'offerta, ma non è improbabile che in futuro
su alcuni temi scottanti si cerchino convergenze sotterranee, "inciuci"
e quant'altro. C'è sempre qualche vecchia talpa, buona per scavare in
profondità. Ad ogni modo queste elezioni hanno segnato diverse tendenze interessanti, alcune
davvero inaspettate, tra cui sicuramente la resistenza accanita di un berlusconismo
che non vuole eclissarsi e che ha resistito agli attacchi degli avversari e
alle critiche velenose degli alleati.
Per molti elettori di centro-destra "Berlusconi Presidente" rappresenta
ancora una forza insostituibile per cantarle alla sinistra e non già
un volatile amore con le ali bagnate e strappate dopo i miseri fatti di un quinquennio
di governo.
E' pur vero che Forza Italia ha perso comunque più di due milioni di
voti e cinque punti percentuali rispetto alle scorse elezioni; ma il suo 23,7%
testimonia di un'accanita rimonta rispetto alle ultime tornate elettorali (Europee
2004 e Regionali 2005) che la vedevano in netta crisi.
Invece il partito di Berlusconi resta il primo al Senato e potrà dunque
condurre l'opposizione fino alle prossime elezioni, ben lontano da scenari precedentemente
evocati, tra cui una godibile "lunga notte dei coltelli" tra le forze
di centro-destra.
Inoltre quel che ha perso Forza Italia, secondo un collaudato sistema di vasi
comunicanti, l'ha guadagnato l'Udc.
La linea scelta da quest'ultimo partito, moderata - anche verbalmente - e auto-critica,
ha dunque pagato fino in fondo.
Il partito di Casini ha praticamente raddoppiato i propri consensi, intercettando
parte dell'elettorato berlusconiano deluso dal capo e passando, rispetto alle
scorse politiche, dal 3,2% al 6,8%, per un totale di quasi un milione e mezzo
in più di voti.
Un risultato lusinghiero che tuttavia continua a relegare l'Udc nel ruolo di
ancella moderata, portatrice di acqua al mulino di Berlusconi, del tutto incapace
di assumere le redini della Casa delle Libertà, come probabilmente i
leader ex-democristiani avevano sognato e tramato in questi ultimi anni.
Al contrario per Alleanza Nazionale è andata esattamente come previsto.
Il risultato fotografa un 12,3% di elettori stabili e ormai acquisiti, senza
rilevanti nuovi acquisti rispetto alle scorse politiche.
La posizione stabile di An è conseguenza diretta dell'eccessivo appiattimento
di Fini rispetto alle posizioni e alle politiche di Berlusconi, che impediscono
a questo partito la possibilità di intercettare una parte del voto critico,
come invece è accaduto per l'Udc.
In questo senso è ormai chiaro che i principali rapporti di forza all'interno
della Cdl rimarranno invariati nel corso della prossima legislatura, con una
leggera fiducia in più accordata al partito di Casini.
Mentre si complica, subendo una battuta d'arresto, il sogno di Fini di sostituire
il liberal-populismo di Forza Italia con il nuovo indirizzo liberal-conservatore
di Alleanza Nazionale, idea del resto bocciata anche in sede europea, in seguito
alla non ammissione di questo partito tra le file dei popolari europei.
Anche la Lega Nord non è andata malissimo, ma certamente il 4,6% ottenuto
non rappresenta un risultato incoraggiante, anche se superiore a quello delle
scorse politiche, e solo lievemente in flessione rispetto alle Regionali del
2005.
Su questo partito, tuttavia, gravitano una serie di incognite e contraddizioni
che difficilmente potranno essere sciolte, in particolare da questa classe dirigente
orfana del leader plebiscitario Umberto Bossi.
La linea di lotta e di governo non ha funzionato perfettamente e i risultati
sarebbero stati ancora peggiori per la Lega Nord, se questa non si fosse alleata
nel Sud Italia con la lista autonomista di Lombardo.
Nei giorni scorsi, prima del responso delle urne, Maroni aveva lasciato intendere
la possibilità di abbandonare il centro-destra e di essere in cerca di
alleanze a sinistra, se quest'ultima avesse sostenuto la loro idea di federalismo.
D'altronde il miscuglio di tematiche razziste e xenofobe, che questo partito
ha usato come collante ideologico con la destra ultra-nazionalista, ha determinato
l'irricevibilità della proposta per quella che D'Alema aveva definito,
non molti anni fa, "una costola della sinistra".
Non bastasse, prossimamente l'Unione avrà anche la possibilità
di prendersi una rivincita, tramite abrogazione referendaria della Devolution
approvata nella scorsa legislatura, che è stata, nei fatti, l'unico bottino
portato a casa dal partito di Bossi.
Tutto ciò da la misura di un partito tanto affamato di fatti concreti,
tradizionalmente ottenuti in forza di plurimi e trasversali ricatti, quanto
ormai confinato in un'area di estremismo marginale, ininfluente sia a livello
di governo che di opposizione; e presto tutti i nodi potrebbero venire al pettine.
Sempre sul fronte del centro-destra c'è da rilevare il totale fallimento
del cartello para-fascista sotto il nome della Mussolini, che ha ottenuto un
magrissimo 0,67%, e la stessa cosa dicasi per altre forze ultra-destrorse quali
la Fiamma Tricolore o il Movimento sociale di Pino Rauti.
Tutti questi micro-partitini, stelle moribonde di una costellazione razzista,
nostalgica ed anti-semita, hanno chiaramente fallito l'obiettivo di intercettare
l'elettorato post-missino, deluso dalle svolte di Gianfranco di Fini.
Sul fronte opposto, quello del centro-sinistra, la prima cosa che salta all'occhio
è l'ottimo risultato della sinistra radicale nel suo complesso, così
come la prova tutto sommato deludente delle forze moderate e "riformiste".
Alla Camera la lista unitaria dell'Ulivo non ha sfondato, praticamente fotocopiando
quel 31,4% già ottenuto alle scorse Europee, che già era stato
una battuta d'arresto per la nascita del Partito Democratico.
Tuttavia è anche vero che al Senato, dove Democratici di sinistra, Margherita,
e Repubblicani europei, correvano da soli, i risultati sono stati ancora peggiori
(rispettivamente 17,5%, 10,7% e 0,1%).
Sommando tutte le cifre si otterrebbe qualcosa di vicino al 28%, quindi inferiore
al dato unitario della Camera.
Non a caso i leader dell'Ulivo hanno prontamente rilanciato l'idea dell'edificazione
imminente del Partito Democratico, per garantire l'azionariato di maggioranza
alle forze moderate del centro-sinistra, e perché "gli elettori
ce lo chiedono" (Fassino).
Ma la prova del voto è stata decisamente di basso profilo sia per la
Margherita (che perde quattro punti percentuali e poco meno di due milioni di
voti) che per i Ds, i quali pur avendo recuperato qualcosa rispetto alle scorse
elezioni, hanno fallito il tentativo di diventare il primo partito italiano
al Senato e una forza in ottima salute.
A livello territoriale i Ds sono stati puniti sia nelle tradizionali roccaforti
"rosse" dell'Italia centrale, in favore di Rifondazione Comunista,
sia nel Piemonte di Fassino, in particolare nelle zone no-tav della Val Di Susa,
dove gli elettori hanno tradito in massa la Quercia, siglando il loro consenso
sui simboli della falce e martello e del sole che ride, i quali hanno ottenuto,
nel complesso, risultati sbalorditivi in queste zone, con punte del 40%.
Ad essere punita, in questo caso, è stata evidentemente la linea "ad
alta velocità" di Mercedes Bresso e Chiamparino.
La sinistra radicale, dicevamo, ha ottenuto ottimi risultati.
Rifondazione comunista con il suo 7,4% al Senato, curiosamente ridimensionato
ad un 5,8% alla Camera, ha ben ragione di essere soddisfatta di questo voto
che la fa aumentare di due punti sia rispetto alle politiche del 2001, che alle
regionali del 2006.
Alla fine pare che i semi piantati abbiano dato i loro frutti, soprattutto se
si tiene conto dell'altissima affluenza alle urne, che ha impedito a questo
partito di ottenere consensi ancora maggiori, segnalati da quei settecentomila
voti in più guadagnati in queste ultime elezioni.
Anche Verdi e Pdci, sia unitariamente al Senato, che separatamente alla Camera,
hanno centrato l'obiettivo categorico di superare le soglie indispensabili per
accedere alla ripartizione dei seggi in entrambe le camere.
I Comunisti italiani, con duecentomila voti in più, hanno ottenuto al
Senato un 2,3%, superiore alla prova, tutto sommato più modesta e inferiore
alle aspettative, dei Verdi. (2,1% e diecimila voti in meno rispetto alle Europee
del 2004).
Mentre al Senato, la coalizione di questi due partiti, vale a dire "Insieme
per l'Unione", si è assicurata il 4,2% dei consensi, dimostrando
- ed è un rarissimo caso - che è possibile fare cartelli elettorali
col proporzionale, senza rilevanti emorragie in termini di voti.
L'unione di Verdi e Pdci, sembra dunque funzionare in seno all'elettorato, ben
più che lo scorso tentativo del Girasole (Verdi più lo Sdi di
Borselli).
Ad ogni modo, sempre sul fronte della sinistra radicale, e proprio in virtù
dei risultati incoraggianti, si fanno sempre più insistenti le voci di
una maggiore unità d'intenti, allargata anche a Rifondazione (il partito
maggiore dell'area) e a spezzoni di movimento, tradizionalmente non circuibili
in strutture e confini di partito.
Tutto questo con l'evidente obiettivo di contro-bilanciare la spinta aggregativa
e potenzialmente egemonica del fronte moderato/riformista dell'Unione e con
il sogno, dichiarato da Pecoraro Scanio, di toccare quote intorno al 20%, per
ora proibitive anche a causa dell'eccessiva frammentazione delle proposte.
Tuttavia, se è importante sottolineare come i risultati della sinistra
radicale nel suo complesso, superino ormai al Senato quelli di una forza di
centro qual è la Margherita, la sostanziale parità e spaccatura
in due del Paese, sancita dal voto, sembra invece avvantaggiare, enormemente
e paradossalmente, proprio quelle forze moderate dell'Unione uscite ridimensionate
dal voto.
E' chiaro che con soli 24.000 voti in più la coalizione di centro-sinistra
difficilmente potrà perseguire grandi progetti di riforma e quel "vuoi
vedere che l'Italia cambia davvero?" che è stato un po' il leit
motiv di successo della campagna elettorale di Rifondazione.
In quanto ai restanti partiti dell'Unione, se l'Italia dei Valori di Di Pietro
ha sufficienti ragioni per festeggiare, l'Udeur di Mastella è ormai in
caduta libera, ed è possibile che parte del suo tradizionale elettorato
centrista si sia rifugiato tra le file dell'Udc, per via della questione dei
Pacs e dell'anti-clericalismo, fortemente accentuato della Rosa nel Pugno.
Rosa Nel Pugno che con l'Udeur, tuttavia, ha condiviso il fallito tentativo
di strappare al fronte avverso una parte dell'elettorato fortemente critico
nei confronti di Berlusconi.
Doveva essere ben più che un cartello elettorale tra i socialisti di
Boselli e i radicali di Pannella e Bonino; avrebbe dovuto invece rappresentare
la reale novità di queste elezioni: una forza laica, liberale e socialista
al modo di Blair e Zapatero, capace di "rinnovare" il centro-sinistra.
Ebbene si è dimostrato un micidiale fallimento, che ha gelato le aspettative
di Capezzone & company, probabilmente sovraeccitati da sondaggi ed exit-pool,
fallaci come non mai.
Exit-pool che del resto hanno giocato più di un brutto scherzo non solo
alla Rosa nel Pugno, ma anche a milioni di italiani, certi com'erano di poter
scacciare lo spettro di Berlusconi una volta per tutte, cosa che purtroppo non
è accaduta.
Allo stato dei fatti attuale, invece, con i conti disastrati lasciati dalla
destra, col paese spaccato in due fazioni numericamente uguali e con un centro-sinistra
depositario di numerose contraddizioni interne, sia in politica estera che economica,
la prova di governo sarà realisticamente molto dura.
La tentazione di un governo che elegga il presidente, scriva il Dpf e vada al
mare è la jattura da evitare. Ma come sempre, chi vivrà vedrà.
Non è detto che il centrodestra, alla prova dell'opposizione, resti quel
macigno che si sogna ad Arcore