di Luca Mazzucato

PRINCETON, NEW JERSEY. Il nucleare civile e militare è da sempre argomento scottante di politica internazionale. Eppure, pochissimi sono gli esperti che negli Stati Uniti se ne occupano con cognizione di causa, nonostante ogni politico abbia un'opinione in proposito e se ne parli ogni giorno in televisione: le centrifughe di Natanz e la corsa al nucleare in Medioriente, l'energia nucleare pulita e lo stoccaggio delle scorie letali, il disarmo delle superpotenze, l'accordo Berlusconi-Sarkozy per il nucleare italiano. Per districarsi tra le forze titaniche della propaganda e delle lobby, abbiamo chiesto una mano a Scott Kemp, ricercatore di Scienza e Sicurezza Globale dell'Università di Princeton. Astrofisico di formazione, Kemp lavora da anni al problema del controllo delle centrifughe per l'arricchimento dell'uranio, portando in dote la sua conoscenza scientifica alla passione per la politica. “Stiamo entrando in un'epoca in cui l'arricchimento dell'uranio è ormai economico e alla portata di tutti: dobbiamo capire come affrontare questa sfida a livello globale.” Di cosa si occupa nel suo lavoro di ricerca?
Il nostro dipartimento studia due fenomeni che riguardano la sicurezza globale. Il primo è la proliferazione nucleare: evitare che nuovi paesi si dotino di armi nucleari, sviluppandole indipendentemente oppure acquistandole da altri paesi. Il secondo è il controllo delle armi: ovvero la strada per arrivare a disarmare gli esistenti arsenali nucleari, in particolare l'enorme arsenale americano ed ex-sovietico. Nonostante la tecnologia nucleare sia un argomento di scottante attualità, sarà sorpreso dallo scoprire che solo una trentina di persone si occupano di questo problema nel mondo accademico. Alcuni sono recentemente stati assunti dall'Ufficio Scientifico della Casa Bianca, tra cui i fisici John Holdren e Steve Fetter, noti per la loro serietà ed il loro impegno nella non-proliferazione nucleare.

Da che punto di vista affrontate questi problemi?
Il nostro scopo è informare l'opinione pubblica e gli esperti del settore. Elaboriamo analisi che poi vengono rese pubbliche, per mettere a disposizione di tutti e dei think tanks in particolare delle notizie fattuali. In questo modo, il pubblico ottiene gli strumenti per prendere decisioni e fare pressioni. Un'esempio su tutti, la strategia dell'amministrazione Bush contro il programma nucleare iraniano: totalmente disinformata, slegata dai fatti, sviluppata ignorando il parere degli esperti in non-proliferazione.

Può riassumere l'approccio di Bush al nucleare iraniano?
All'inizio, l'amministrazione minacciò l'Iran per evitare che si dotasse di centrifughe e disincentivare il suo programma, con l'opzione successiva di negoziare in caso le centrifughe le avesse già. Premessa completamente erronea. È facilissimo dotarsi di centrifughe, infatti ce le avevano già, quindi le minacce hanno mancato il bersaglio, l'unica opzione dall'inizio era il negoziato. Purtroppo all'epoca in cui Bush elaborava la sua politica mediorientale, le informazioni non erano disponibili al pubblico, ma secretate nei documenti della CIA. Quindi per Bush è stato facile vendere la propria strategia preconfezionata, visto che nessuno aveva elementi precisi per opporsi. Ora, grazie anche al nostro lavoro, il programma iraniano è noto in dettaglio.

Come mai l'Iran, che galleggia sul petrolio, vuole a tutti i costi costruire delle centrali nucleari?
L'Iran possiede petrolio ma non possiede raffinerie. Deve esportare greggio e importare carburante. Questo è principalmente dovuto al fatto che, a causa dell'embargo imposto dagli Stati Uniti, l'Iran non può importare i componenti per costruire le raffinerie. Siccome ha bisogno di energia per assecondare la sua crescita economica, si trova in grande difficoltà. Ma i motivi principali per spingere il programma nucleare sono la politica interna e il prestigio regionale.

Quale approccio dovrebbero avere gli Stati Uniti nei confronti del programma nucleare iraniano?
L'Iran possiede la sola centrale di Busher e un unico impianto di arricchimento tramite centrifughe a Natanz. Tutto il pacchetto è stato venduto all'Iran dalla Russia. L'uranio arricchito prodotto nelle famigerate centrifughe in tutti questi anni è pari a circa un quarantesimo di quello che servirebbe per far andare la centrale di Busher: insomma una quantità minuscola. Una volta che questo quadro fattuale è di fronte a tutti, le conseguenze sono ovvie. Intanto, la persistenza del governo iraniano nel mantenere le centrifughe ha carattere esclusivamente politico e di prestigio, ma non economico. Dovrà dunque dipendere dall'estero per l'approvvigionamento di combustibile. Il motivo per cui la Russia vende il nucleare all'Iran è esclusivamente economico: vuole fare profitti. Facendo leva su questo fattore, gli Stati Uniti possono ottenere grossi risultati offrendo incentivi in cambio di cooperazione e mi sembra che ci si stia finalmente muovendo in questa direzione.

Bush ha dichiarato di voler vendere il nucleare a Egitto, Giordania e Arabia Saudita, l'Iran presto accenderà la prima centrale. Ha ancora senso la politica di ambiguità israeliana sul proprio arsenale?

È successo molte volte in passato che paesi occidentali offrissero tecnologia nucleare all'Egitto. È molto improbabile che abbia i soldi per comprarla. Si tratta esclusicamente di un problema di denaro: acquisire le infrastrutture per far andare una centrale nucleare richiede un investimento di almeno otto miliardi di dollari. Gli unici attori nell'area a possedere un tale capitale sono gli Emirati Arabi, ma con la crisi globale non è chiaro se dispongano ancora di tale somma. Detto questo, credo che Israele manterrà la sua politica di ambiguità anche in futuro. Visto che non è possibile fermare il programma nucleare civile iraniano, Israele dovrà semplicemente venire a patti con la nuova realtà mediorientale.

Anche se l'Iran riprenderà in mano in futuro il progetto nucleare militare, fermato nel 2003, è probabile che lo mantenga segreto e, una volta creato il proprio arsenale nucleare, porterà avanti una politica di ambiguità identica a quella israeliana. Se l'Iran dichiarasse di possedere la bomba, il giorno dopo le masse arabe scenderebbero in piazza per rivendicare il proprio diritto al nucleare. Questo porterebbe alla corsa agli armamenti in tutta la regione. La politica di ambiguità dunque è non-aggressiva. Il futuro ci riserva senz'altro una doppia ambiguità israeliana e iraniana. Ciò che mi rattrista in particolare è il fatto che la carta nucleare viene esibita da Ahmadinejad ad uso principalmente di politica interna, per stornare l'attenzione dell'opinione pubblica dai problemi economici che l'Iran si trova ad affrontare. Grazie a questo probabilmente il presidente iraniano verrà rieletto in giugno. Dall'altra parte, la minaccia iraniana è sfruttata dai politici israeliani per esclusivi motivi di consenso interno. Quando alcuni leader israeliani minacciano di attaccare i siti di Natanz, è ovvio che si rivolgono al pubblico israeliano, poiché dal punto di vista militare tale attacco è non porterebbe a niente, visto che l'impianto di Natanz è più che altro simbolico, il combustibile nucleare verrà importato dalla Russia.

Veniamo al nucleare nei paesi occidentali. Esistono modi sicuri di stoccare le scorie nucleari? Come viene affrontato il problema negli Stati Uniti?
Intanto vorrei sfatare il mito delle centrali a “riprocessamento” di nuova generazione, che vantano di eliminare le scorie, trasformandole in nuovo combustibile sotto forma di plutonio. Non fanno altro che posticipare di alcuni anni il problema delle scorie al prezzo di produrre materiale direttamente utilizzabile a fini militari. In realtà c'è un modo sicuro di eliminare le scorie. È una tecnologià tedesca che utilizza dei cosiddetti “dry casks” (fusti asciutti): le scorie vengono rinchiuse in un contenitore, sospeso all'interno di un fusto che contiene gas inerte, a sua volta circondato da cemento o acciaio per bloccare le radiazioni. In questo modo si elimina il problema delle perdite causate ad esempio dall'umidità. Il governo americano sta cercando un sito per stoccare le scorie in modo perenne utilizzando questo metodo. Era stato individuato il sito geologico di Yucca Mountain, ma a causa dell'opposizione politica a livello locale, il progetto è stato abbandonato definitivamente. Attualmente la situazione è folle: ogni centrale tiene le proprie scorie all'interno di piscine nelle vicinanze dell'impianto. Non si sa che farne, in attesa di individuare un sito geologico. Peraltro nell'attesa questi depositi approssimativi sparsi qua e là sul territorio rappresentano un micidiale bersaglio terroristico: se il sito venisse colpito con un'arma convenzionale, disperderebbe le scorie nell'ambiente, provocando un'ecatombe.

Il premier italiano Berlusconi ha recentemente sottoscritto un accordo con i francesi per la costruzione di alcune centrali nucleari in Italia. Come giudica quest'idea?
La scelta di convertire il paese all'energia nucleare è un progetto a lungo termine. Prima di costruire le centrali bisogna pensare a due fattori. Primo, la rete elettrica nazionale deve essere sviluppata attorno a quest'idea: poche centrali ad altissima potenza determinano una rete che abbia nodi centrali che irradiano in tutta la periferia. Al contrario, impianti eolici o geotermici e piccole centrali determinano una rete leggera in grado di scambiare energia, piuttosto che canalizzarla lungo assi portanti. L'altro requisito importantissimo è l'identificazione di siti stoccaggio delle scorie nucleari che siano assolutamente sicuri dal punto di vista geologico: , devono poter contenere le scorie per migliaia di anni senza il rischio di perdite. Vedendo i problemi che avete a smaltire la spazzatura normale e il carattere sismico della penisola, quest'ultima mi sembra una seria sfida.

La scelta del nucleare è economicamente vantaggiosa?
Lasciando stare il terribile problema delle scorie, è chiaro che l'energia nucleare è completamente svantaggiosa. Costa da quattro a sei volte più del carbone, è persino più costosa dell'eolica. Richiede un enorme investimento iniziale di miliardi di dollari, che verrà ammortizzato solo in parte nel lunghissimo periodo, ovvero decine di anni. Inoltre, l'opinione pubblica è assolutamente contraria al nucleare. La verità è che se ne parla ancora soltanto perché il lavoro di lobby delle aziende produttrici è imponente e trasversale. Le faccio un esempio divertente. Mi trovavo recentemente ad un congresso sulla non-proliferazione: sono stato approcciato da una giovane donna estremamente avvenente. Solo dopo un'ora di conversazione, insospettito dalle sue domande insistenti, ho scoperto che si trattava di una lobbista dell'Areva [il colosso francese dell'energia nucleare, nda], che voleva in realtà convincermi della bontà delle proposte della sua azienda. La quantità di soldi e personale che le aziende investono per influenzare l'opinione pubblica è impressionante.

D'altra parte, c'è un caso in cui il nucleare a mio parere è l'unica soluzione ragionevole: la Cina. Se la Cina soddisfacesse il proprio fabbisogno energetico in rapida crescita costruendo centinaia di centrali a carbone, creerebbe una catastrofe ambientale. Non ha altra scelta che puntare sul nucleare, sicuramente migliore per quanto riguarda l'ambiente e il riscaldamento globale.

Ci sono speranze per riprendere il progetto di disarmo nucleare negli Stati Uniti?
La questione della deterrenza nucleare è ridicola, è ovvio a tutti che le armi nucleari sono le armi più costose ma anche più inutili che esistano: le uniche che non potranno mai essere usate! Mi segua per un momento: il paese mio vicino si sta dotando di armi nucleari; devo assolutamente dotarmene anch'io, perché se mi attaccasse, potrei rispondere adeguatamente... condannando il mio stesso paese all'olocausto nucleare! Fino a poco tempo fa, l'idea che gli Stati Uniti potessero liberarsi del proprio arsenale nucleare era appannaggio della sinistra estrema e degli ambientalisti. La questione del disarmo è fondamentale: se vogliamo bloccare la proliferazione in altre parti del mondo in modo credibile, dobbiamo per primi iniziare a disarmare il nostro paese.

La questione del disarmo è tornata alla ribalta due anni fa grazie ad un articolo apparso sul Wall Street Journal a firma di Kissinger ed altri tre vecchi saggi della politica americana. In breve, sostengono che mentre la deterrenza nucleare aveva una sua ragione d'essere durante la Guerra Fredda, ora l'esistenza stessa delle armi nucleari è sempre più rischiosa per via della situazione geopolitica asimmetrica e della crescente instabilità globale. Dunque, bisogna liberarsene al più presto, e gli Stati Uniti devono guidare la strada. Questo articolo fondamentale ha sdoganato la questione del disarmo, portandola all'ordine del giorno del dibattito politico. La speranza che entro quarant'anni il mondo sia finalmente libero dalla minaccia nucleare potrebbe non essere più un sogno.

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