di Giovanni Gnazzi

Da ormai quarantotto ore, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, è tornato ad occupare la purtroppo misera scena politica italiana. Non per presentare provvedimenti in grado di fronteggiare la crisi, ci mancherebbe. Eluana Englaro, il suo magnifico padre Bepppino, l’ordinamento della Repubblica e la Carta Costituzionale sono stati uno dopo l’altro il bersaglio delle sue esternazioni. Il premier, parso assai provato, con evidenti segni di cedimento del lifting e chiari segnali di cesarismo patologico, ha snocciolato davanti alle televisioni protese a rimboccare gli angoli del tappeto offertogli, parole e atti che evidenziano, molto aldilà del merito delle questioni trattate, il piano di un uomo ormai deciso a tentare il tutto per tutto per sopravvivere ad una vicenda politica troppo più grande di lui. Berlusconi è entrato a piedi uniti nella drammatica vicenda di Eluana, sostenendo che “dal momento che era passato così tanto tempo, si poteva aspettare ancora qualche giorno per dare al governo la possibilità di legiferare sul caso”. Ma è proprio perché il tempo passato è infinito, proprio perché le sentenze dei Tribunali hanno stabilito il diritto ad una fine degna per Eluana, che Beppino Englaro ha deciso di muoversi. E se proprio Berlusconi riteneva di dover operare con decretazione d’urgenza poteva farlo prima, non quando Eluana ha intrapreso il cammino che porrà fine alla sua sofferenza. La verità è che il proprietario di Forza Italia ha deciso di muoversi sotto la minaccia vaticana di aprire uno scontro che - da Eluana fino al ddl razzista approvato dal Senato - avrebbe messo sotto accusa il governo, aumentando notevolmente il già crescente volume d’insoddisfazione nel Paese. Da qui la decretazione d’urgenza, nonostante il Presidente Napolitano avesse avvisato che non avrebbe apposto la sua firma in calce al provvedimento, gravemente minato di vizi di costituzionalità.

Ma il timore di perdere ulteriore consenso e la necessità di mettere a tacere le proteste vaticane, sono solo un aspetto della manovra politica; il cavaliere ha scientemente deciso di aprire uno scontro istituzionale pesante con il Quirinale per poter finalmente tentare l’ennesima spallata istituzionale. Ha ritenuto di dover sfidare tanto il Presidente della Repubblica quanto l’ordinamento istituzionale per ribadire un ruolo - quello del premierato - che la Repubblica italiana non gli assegna. Incapace di affrontare i problemi del Paese, ha però capito che il suo cammino verso il Colle è irrimediabilmente sbarrato. L’ansia di dominio sembra aver avuto il sopravvento anche sui suggerimenti che lo stesso Presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha inutilmente tentato di offrirgli, al fine di evitare un conflitto con il Quirinale e uno strappo con la coscienza civile degli italiani che, ad ogni sondaggio, confermano in maggioranza ogni ora crescente la disapprovazione per l’accanimento di preti (e politici agli ordini dei preti) contro la famiglia Englaro. Dopo le critiche all’uso smodato dei Dpcm e allo svuotamento del ruolo del Parlamento, anche questo consiglio di Fini è passato inascoltato, a certificare un’ansia distruttiva dell’ormai vecchio capopopolo che vede con terrore affermarsi il ruolo di chi è pronto a sostituirlo.

Poi è stata la volta della Costituzione, definita una Carta da superare perché scritta dai “filo-sovietici”. Dev’essere per questo che la sua maggioranza caldeggia con vigore l’approvazione della legge 1630, cioè quella paccottiglia ignobile che tenta di assegnare uguali riconoscimenti dovuti ai partigiani che liberarono l’Italia anche ai i fascisti che la regalarono ai nazisti invasori. Tentare di mettere sullo stesso piano giuridico liberatori e carnefici è un insulto vergognoso alla decenza, oltre che alla storia. Ma aldilà delle lacune in storia di Berlusconi, alle quali siamo ormai stancamente abituati, come si fa a definire i padri costituenti “filo-sovietici”? De Gasperi, Terracini, De Nicola, sono i firmatari della Costituzione nata dalla Resistenza antifascista, che ha scritto con le armi e con il sacrificio dei suoi figli migliori l’unica pagina eroica della storia italiana, riscattando il paese dal baratro del nazifascismo. Quella Costituzione, sulla quale pure Berlusconi ha giurato e che oggi definisce “filo-sovietica”, è stata così poco “filo-sovietica” che ha persino permesso che un uomo come lui arrivasse ai vertici dello Stato. Non fosse il presidente del consiglio ci sarebbe da ridere e, non fosse al riparo della legge da lui voluta per godere di un’incostituzionale impunità, lo msi dovrebbe chiamare a rispondere dell’accusa di vilipendio alla Costituzione.

Ma si può pensare che chi ha denaro e potere come base e vertice della piramide valoriale di cui dispone, possa essere colto da un sussulto di rispetto per il Paese? Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, presidente esemplare e persino generoso nel ridurre al minimo indispensabile i conflitti con il governicchio in carica, rappresenta per la storia politica e personale che incarna e per il rispetto politico e personale che merita, la linea di demarcazione che i residui della nostra democrazia dovranno sostenere, per impedire che un paese finisca definitivamente in malora. Di colpe l’Italia ne ha tante, ma la versione in sedicesimo delle tragedie passate merita uno scatto. Fosse anche solo per spegnere il televisore.


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