di Rosa Ana De Santis

L’abbiamo vista sorridente e composta alle Invasioni Barbariche. Più vigorosa e rigida da Matrix. Un soldato del partito, una tifosa indottrinata a dovere che ha studiato con cura la propaganda delle virtù berlusconiane. Bellissima. E’ il nostro Ministro delle Pari Opportunità. In soli due anni un’ascesa repentina, una cometa nel panorama istituzionale nostrano. Lei, che di stelle se ne intende, a destra. Così titola il suo libro. Pronta a difendersi dalla ferocia - come lei la chiama - delle insinuazioni che le piovono addosso. Quelle per cui sembra strano e suscita dubbi, a tratti ilarità, che in cosi poco tempo una giovane donna, il cui successo mediatico stava nelle sue forme esuberanti ora castigate da abiti d’occasione, con così breve esperienza politica potesse arrivare a fare il ministro. Rimangono dubbi su presunte scorciatoie, ma certezze in un impegno sul campo quasi inesistente. Intercettazioni sì o intercettazioni no. Perché non c’entra nulla l’anagrafica, il genere e la sua indubitabile bellezza. Tornano utili come argomenti di difesa, ma soffrono di un eccesso di ingenuità. Alle persone di buon gusto i processi fatti nelle piazze del mercato, con linguaggio crudo e di facile tinteggiatura populista, non piacciono. E per questo non è piaciuto lo show di Sabrina Guzzanti. Ma il Ministro dovrà fare lo sforzo di comprendere che non tutti abbiano capito il perché le sia stato affidato questo incarico istituzionale cosi alto. A lei che viene da una laurea come tanti, da un passato di soubrette anche poco parlante, da una ridotta - se non quasi inesistente - esperienza politica.

Non se la potrà cavare facilmente con la teoria abusata della “politica del fare” e con il criterio della sua giovane età. Non le par vero di poter dire che anche il presidente designato USA sia un giovane uomo. Peccato che Obama nella politica sia cresciuto dagli anni della scuola, che di politica abbia vissuto da sempre. E che, a differenza di Mara, avendo qualcosa da dire, ha avuto qualche decina di milioni di voti per fare. Ma a Mara interessa il dato anagrafico. E’ tipico della scuola Berlusconi tagliare le cose a metà, leggere una parte per il tutto - quasi sempre la più insignificante - adescare il battibecco antisinistra piuttosto che rispondere alle domande. E Mara Carfagna cade proprio in questo trappolone. Dice che “Silvio fa quello che vuole, lui è così”, senza che gli venga in mente che il suo Silvio dovrebbe fare quel che deve e non quel che vuole. Una commediante dei dieci comandamenti di Silvio. Una scena irriverente per un Ministro.

Così pensa di poter liquidare con un “affatto traumatico” il passaggio dall’essere elettrice del Movimento Sociale a militante di Forza Italia, peccato che su quel confine ci passi un fiume di pensiero e di cultura politica. Ma forse il Ministro l’ignora. Lei è per la politica del fare. “Affatto traumatico” viene da pensare il passaggio da soubrette all’impegno politico. Peccato che solo lei, il Ministro Carfagna, ci veda una linea di assoluta coerenza e continuità. Insomma beata lei Ministro che vive in modo indolore passaggi e salti che per qualsiasi persona ragionevole costerebbero fatica immensa e rivisitazione profonda di sé.

Lei se la cava con il menù del giorno. Con l’elenco delle cose da fare. Pare di immaginarsela blindata nella sua stanza a lavorare instancabile ai provvedimenti e alle proposte di legge. Lei che divenne famosa per le pose indecenti, emana decreti contro l’indecenza. Lei che guida il Dicastero delle Pari Opportunità non avendo attraversato una pagina di pensiero delle donne e avendo fondato il suo successo mediatico sull’assoluta disparità storica che sempre ha vessato le donne in condizioni d’inferiorità sociale. L’esposizione del corpo, la misura del valore con le misure, il nudo come canale di conoscenza di sé. Eppure questa contraddizione le fa sgranare gli occhi quasi incredula, lei non la percepisce. O non la capisce.

Vorremo poter dire altro, ma il curriculum non è ricco. Sappiamo che la prostituzione è diventata un reato e che soffocare un problema è la ricetta che predilige per sanare ferite sociali cosi profonde che vengono da piaghe culturali forse in parte insanabili. Basta non vederle per strada. In questo incarna la natura più oscura del pensiero di destra, in questo non c’è nulla che sia autenticamente liberale, Ministro. Ma lei non lo percepisce. O non capisce.

Una sapiente intervista fatta da Daria Bignardi basta a farla cadere come una bambina impacciata nella diatriba sul conflitto d’interessi o su che fina abbiano fatto i comunisti. Non si capisce se li rimpianga o li maledica. Non si capisce se ne stimi il profondo senso dell’etica o se lo disconosca. Non si capisce o non capisce. Ma chissà cosa conosce delle sorti della morale e dell’etica nell’ideologia comunista. Come usa sempre dire, staremo a guardare le cose fatte. Ma la partenza non poteva sgombrare d’un colpo anni e anni di faticosa “Piazza Grande” e di calendari di sicuro successo. Solo lei può pensare di entrare al Parlamento uscendo dai Fatti vostri con Magalli, come se calcasse lo stesso sentiero. Insomma questo eccesso di ingenuo stupore o è studiato ad arte o adombra perplessità più offensive ancora della sua forse ridotta capacità politica.

L’umiltà di cui si gloria avrebbe dovuto dissuaderla da un incarico per il quale alcuna persona di buon senso si sarebbe potuta sentire pronta dopo soli due anni di militanza politica. L’umiltà avrebbe dovuto farle trascorrere un discreto periodo di tempo a studiare e a vivere nella politica prima di arrivare a ricoprire un ruolo cosi importante. Avrà fatto cosi per la recitazione e il balletto, non pensava di dover usare altrettanto riguardo per le Istituzioni del suo Paese? Ma lei ha risolto tutto in fretta. Cambiando pose e trucco.

Questo soltanto avrebbe potuto darle nel tempo la credibilità che ora esige mostrando poco altro che i suoi occhioni, l’etichetta della lavoratrice instancabile e le incursioni un po’ maldestre nella storia. Che fanno di lei una secchiona - direbbe l’onda studentesca - più che una donna di cultura con spirito critico. Non ci s’improvvisa politici, non è un mestiere, non esiste un collocamento. Ma della religione pubblica e del pensiero politico lei e il suo manipolo di cloni non si occupano. Non perdono tempo. E si vede.

Professano una strampalata politica liberal, mentre dimostrano senza troppi imbarazzi personali la più pietosa e riverente adulazione personale per il loro capo. Che ordina. E lei, la ministro di Silvio, esegue passo passo ogni pezzo del copione. Teleguidata, telecomandata, portata per mano. Come ai tempi di Mengacci. Qualsiasi cambiamento credibile non si risolve cambiando d’abito. Tagliando capelli e indossando camice abbottonatissime. Lei le contraddizioni le risolve così. Non le percepisce, o non le capisce. In trasmissione ha detto che ognuno è ciò che fa. E lei è ciò che ha fatto.

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