di Mariavittoria Orsolato

Nonostante gli snervanti tentennamenti del governo e il continuo sobillare del “grande ex” Cossiga, l’onda del movimento studentesco continua a crescere e a rafforzasi di giorno in giorno. Si moltiplicano come funghi le iniziative di autoformazione e di didattica non convenzionale, gli atenei e i licei occupati resistono in ogni parte d’Italia, i cortei spontanei continuano a dispetto delle cariche - l’ultima lo scorso 7 novembre a Roma - e in ogni aula si lavora alacremente alle iniziative che prenderanno vita venerdì prossimo in occasione dello sciopero generale indetto assieme al sindacato in difesa dell’università. Il movimento che ha preso corpo alla Sapienza e che si è costituito in un’assemblea nazionale, ha rivolto nei giorni scorsi un appello ai confederati e ai sindacati di base per costruire assieme una grande manifestazione capace di paralizzare il paese da nord a sud, cercando così di imporre un’agenda politica diversa in merito alle politiche sociali. Nelle assemblee universitarie è infatti ricorrente la proposta di allargare la protesta a tutte quelle categorie di lavoratori colpite dai provvedimenti del Berlusconi IV: dai dipendenti Alitalia, agli statali e - perché no? - anche a quel 13% di italiani che vive sotto la soglia della povertà. E’ sempre più diffusa la sensazione che le istituzioni non siano in grado si fronteggiare efficacemente l’annunciata recessione: “L’offensiva che questo governo sta infliggendo alle istituzioni del Welfare - scrivono gli studenti sul sito del movimento in lotta “ Uniriot” - ci pone di fronte ad un bivio epocale: accettare la dismissione delle garanzie pubbliche, riconquistare democraticamente il Welfare, trasformare questa riconquista in una grande sfida di nuova politica”. Sì, proprio così, “Nuova politica”: questa la parola d’ordine del movimento che punta ad un’autoriforma universitaria secondo i criteri del merito e della valorizzazione dei saperi, ma che rifiuta categoricamente ogni mano tesa proveniente dalla “vecchia politica”, quella del dialogo fasullo e delle trattative a senso unico, per intenderci.

Proprio ieri Walter Veltroni inviava una missiva alla coppia Gelmini-Tremonti, pregando i due detentori dei dicasteri di Istruzione e Finanze di sospendere i piani di taglio e il provvedimento sul maestro unico, in cambio di un tavolo di concertazione con le parti sociali e il mondo scolastico. “Non c'è dubbio, è un settore - ammette il leader del Pd - che ha bisogno nel nostro paese di una radicale riforma. Ciò che vi chiediamo - prosegue la lettera - è di esercitare una virtù che dovrebbe essere propria di ogni governo: quella dell'ascolto e dunque del confronto”. Per la serie “provaci ancora Walter”, il leader dell’opposizione si ostina quindi a cercare un dialogo, morto in fasce, dopo il bel discorsetto del “volemose bene” pronunciato il giorno dell’insediamento, non rendendosi conto di quello che gli studenti e, in generale, tutto l’universo della mobilitazione, hanno capito fin dai primissimi giorni: con un esecutivo che va avanti a suon di imposizioni, l’unica via da seguire è quella dell’opposizione attiva, basata più sull’azione dimostrativa che sull’articolata favella.

La mobilitazione va quindi avanti sicura e forte di un consenso popolare quasi senza precedenti, mentre il governo comincia a fare passi indietro e a fare a meno dei famosi sondaggi nazionalpopolari che attribuiscono all’esecutivo Berlusconi consensi da far invidia a Kim Jong-Il. La scorsa settimana il Parlamento ha votato quasi unanimemente l’abrogazione dell’articolo 3 della ormai legge Gelmini che prevedeva la chiusura di tutti i plessi scolastici con meno di 500 alunni e la relativa riorganizzazione delle dirigenze, scaricando la responsabilità del provvedimento sulle regioni. L’articolo è stato completamente riformulato per dare respiro alle 6500 scuole che rischiavano di essere chiuse soprattutto nelle piccole comunità, e per gli addetti ai lavori questa è già una piccola vittoria.

Dall’altra parte però, qualcuno sembra caldeggiare le proposte di Cossiga in merito al “contenimento” della protesta. In una lettera aperta al capo della polizia Manganelli, l’ex Presidente della Repubblica ed ex Ministro dell’Interno degli anni di piombo (’76-’78) ha consigliato di aspettare “tempi peggiori” di quelli odierni, auspicando incidenti gravi - come il ferimento o l’uccisione accidentale di una donna o di un bambino per mano dei manifestanti - che suscitino paura e disapprovazione nei confronti del movimento, in modo da giustificare così la repressione violenta. La lettera ha guadagnato lo sdegno dell’onda - che si definisce come movimento pacifista e democratico - e ha sollevato più di qualche perplessità anche negli ambienti di governo.

A Bologna Digos e Procura chiedono ai presidi dei licei informazioni relative agli studenti che fanno parte attivamente del movimento, pretendendo nominativi, elenchi di riunioni e date e orari di iniziative di protesta, e ci si domanda in modo sempre preoccupato con quale strategia si penserà di gestire il fiume di persone che da tutta Italia convergerà a Roma il prossimo venerdì. "Io non ho paura, le vostre denunce non fermeranno l’onda", recita lo striscione appeso in una delle tante facoltà occupate; ma è proprio la paura a muovere e ad arrovellare gli intestini di questi giovani. La paura che una finanziaria, approvata in nove minuti e mezzo, possa portargli via tutto quello che in una vita è stato progettato, rincorso, sudato.

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