di Valentina Laviola

Dev’essere un timore concreto, palpabile, quello che spinge il premier Berlusconi e altri rappresentanti della maggioranza ai commenti quotidiani sulle proteste del mondo della scuola. Trovarsi di fronte, inaspettatamente (perché, diciamolo, gli italiani non mettono in discussione tanto spesso il potere costituito) ad un movimento di questa portata deve aver sollevato non poche preoccupazioni. Ed ecco, allora, che si cerca ogni mezzo per incasellarlo, circoscriverlo, giustificarlo in qualche modo. La soluzione d’attribuirne la responsabilità all’opposizione sobillatrice e mal informata è fin troppo banale. Ridurre tutto ciò che accade ad una manovra di disturbo ideata da Veltroni di certo aiuta a ridimensionare la situazione, a trattarla come ordinaria amministrazione, ma certo non rende giustizia della realtà. Come ha acutamente osservato il Rettore dell’Università dell’Aquila, prof. Ferdinando di Orio, in merito alle affermazioni del Presidente del Consiglio, “é davvero incomprensibile, e per certi versi irresponsabile, voler trasformare una civilissima e legittima mobilitazione di tutta l'Università italiana in un problema di ordine pubblico". O piuttosto, qualcuno potrebbe leggervi addirittura della malafede, interpretandolo come un tentativo di spostare l’attenzione pubblica dal problema reale, di confondere le acque: giocare la carta della sicurezza, si sa, ottiene sempre buoni risultati.

Negli ultimi giorni, i telegiornali nazionali sono affollati dagli esponenti del PdL che si profondono in continue dichiarazioni a sostegno del decreto Gelmini, accompagnate dall’immancabile attribuzione della responsabilità delle proteste alla Sinistra. Insomma, se si fa passare l’idea che si tratta solo di gente indottrinata e chiassosi studenti, si pongono le premesse perché le loro voci possano essere ignorate senza rimorso. Tuttavia, sembra difficile ammettere che anche questa volta possa finire tutto in un fuoco di paglia, poiché le cifre caratterizzanti di questo movimento (che non trova precedenti nella storia recente) sono proprio la sua spontaneità e la sua consapevolezza informata. In un Paese troppo spesso addormentato, o che ancora peggio preferisce non vedere, stupisce, e può intimorire, che improvvisamente non si marci più tutti in fila, ma che si cerchi di aprire una discussione.

Tutto nasce da semplici genitori, di tutte le estrazioni sociali e di diverse opinioni politiche che, allarmati dai cambiamenti che potrebbero compromettere l’educazione dei propri figli, decidono di informarsi, di approfondire l’argomento, di partecipare in qualche modo alle decisioni che il proprio governo prende. Questo dovrebbe essere salutato come un momento di crescita democratica, come un avvicinamento del cittadino alla politica, invece fa paura perché una persona consapevole non è disposta ad essere suddito silenzioso. Forse si tende troppo spesso, ormai, a sottovalutare le capacità cognitive del singolo e l‘impegno che può generare dall’unione di più singoli. La miglior garanzia contro la possibile strumentalizzazione, però, è data proprio dal conoscere e dal comprendere i motivi della protesta; inoltre, la nascita dal basso di quest’ultima contraddice implicitamente ogni attribuzione partitica.

La risposta migliore alle accuse del governo viene proprio dalle piazze italiane di questi giorni: a chiunque le osservi apparirà chiara la fondamentale trasversalità della protesta che si sta esprimendo attraverso canali e forme molteplici, proprio perché diverse sono le persone che la animano. Oggi è possibile vedere genitori seduti simbolicamente nei banchi collocati in piazza a Bologna per difendere la scuola elementare dei propri figli; ricercatori precari chiedere l’elemosina per strada; maestre coinvolgere i propri alunni nella partecipazione. All’interno delle Università italiane, dalla Sicilia al Veneto, non passa giorno senza che si organizzino assemblee, dibattiti e dimostrazioni pubbliche del dissenso, nelle quali chi cerca di mettere di mezzo un colore politico viene fischiato: gli stessi esponenti del PD, infatti, sono stati respinti quando hanno tentato di avvicinare i manifestanti. Gli studenti marcano più che possono la propria autonomia, semplicemente perché sanno che la messa a rischio del loro futuro non è “una questione di sinistra”, se mai una questione di civiltà, di pari opportunità, di tutele. L’argomento non può non riguardare ognuno di noi.

Infatti, i decreti del governo, pur attaccando livelli diversi dell’istruzione italiana, suscitano le rimostranze di tutte le categorie coinvolte. Oggi i docenti protestano accanto agli studenti; questa è già una piccola rivoluzione degna di nota. Una delle iniziative intraprese dai professori di varie università è rappresentata da una lettera indirizzata ai genitori degli universitari, alle loro famiglie, per spiegare che “La nuova L.133 di quest’anno prevede un ulteriore taglio di ben 1500 milioni di euro per i prossimi 5 anni. E’ evidente la volontà di emarginare l’Università pubblica, costringere le Facoltà ad innalzare severamente le tasse di iscrizione e di selezionare gli accessi degli studenti sulla base del loro reddito familiare. Così l’Università è destinata a esistere solo per pochi ragazzi. E d’altra parte, la possibilità che la legge offre ai Rettori di trasformare le Università in fondazioni private conferma questa volontà da parte delle forze di governo”.

Tra le tante iniziative, c’è anche una raccolta di firme all’attenzione del Presidente della Repubblica Napolitano per sensibilizzare le istituzioni. Inoltre, è apparso sul sito Internet dell’Istituto Superiore di Sanità un comunicato del 22 ottobre nel quale si spiega che “il sistema di sorveglianza sull'influenza, 'Influnet', è stato sospeso per protesta contro le norme che colpiranno la ricerca pubblica, portando al ridimensionamento del personale precario e privando così l’Istituto dell'irrinunciabile contributo fornito da colleghi e colleghe che operano con contratti di lavoro a tempo determinato o di collaborazione coordinata e continuativa”. I ricercatori sottolineano che “la difficile decisione di sospendere l'attività, é voluta da tutto il personale”. Questa presa di posizione mira a dimostrare che, se verranno applicate le nuove regole, molte altre attività di rilevante impatto sulla sanità pubblica rischiano di scomparire.

In conclusione, appare chiaro che il Paese ha capito che non si tratta di una protesta politica in senso stretto, ma che di certo tocca una questione politica: l’importanza dell’istruzione pubblica e della qualità che questa deve assicurare, quale diritto irrinunciabile di tutti. Ciò che i cittadini stanno portando avanti è una dimostrazione di buona politica, di politica vera, concreta, interessata e partecipata; stanno lanciando un messaggio al governo: “Questa volta, non staremo a guardare.”

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