di Fabrizio Casari

La sceneggiata di Vicenza, penultimo episodio della saga padronale in differita Tv, ha avuto certamente dei momenti adatti alla tradizione dello sceneggiato italiano. Al Presidente del Consiglio, che porta la sua clacque come fosse a Matrix, bisogna riconoscere il merito di non sottrarsi al redde rationem con i colleghi che avevano osato contestarlo. Ma la prima fila con le braccia incrociate, cioè quella che ospita le personalità più importanti, ha avuto comunque un ritorno poco piacevole per il Presidente di quasi tutto quello che conviene presiedere. Così come è tutta inscritta nell'arte del paradosso italiano l'accusa di Berlusconi a Della Valle riguardo agli scheletri nell'armadio, tanto come quella di un Della Valle improvvisamente asceso a combattente antiberlusconiano. Flaiano aveva già documentato la scena quando sosteneva che "la situazione è grave, ma non è seria".
E' comunque una Confindustria divisa quella che si atteggia ad arbitro del voto. La presunzione di entrambe le fazioni di rappresentare le due aggregazioni politiche in competizione, si sovrappone a quella, meno esplicita ma più autentica, di essere in qualche modo rappresentate, più che di rappresentare. Quale che sia infatti la tendenza presente nell'organizzazione padronale, su un dato l'unitarietà dei componenti è certa: il governo è lo strumento operativo, come il Parlamento lo è sul piano legislativo, delle politiche economiche che servono alle imprese. Che queste poi non rappresentino più, o quanto meno come un tempo, il centro del sistema economico, poco importa. Nessun accenno infatti, né dai berluscones né dai suoi sostenitori d'un tempo ed oggi pentiti, ad un Governo che obblighi le imprese al rispetto della loro funzione sociale. E meno che mai ad un Governo che rimetta al centro della sua politica sociale la riscrittura di un nuovo modello di relazioni industriali. Le politiche attive per il lavoro, l'aggiornamento del sistema del welfare e lo smantellamento possibile della Legge Biagi, sono temi che agitano la classe imprenditoriale tra le più rapaci e le meno capaci d'Europa. L'improrogabile necessità di una riforma profonda del sistema viene così intercettata tentando preventivamente, con l'appoggio dichiarato, di alterarne i tratti più riformatori, siano o no presenti nel programma elettorale dell'Unione.

Del resto, con clacque o senza, Confindustria non ha mai pensato di procedere ad una sana autocritica per le defaillances continue del sistema industriale, ormai assunte a incapacità cronica anche grazie ad un sistema d'impresa tra i meno capaci in Europa. Si è invece preoccupata di una interlocuzione con il prossimo Esecutivo che salvaguardi proprio quel sistema che fa acqua da tutte le parti.
I padroni del vapore che alla vigilia della vittoria della destra nel 2001, si spellavano le mani a Parma, non erano meno "democratici" di quelli che pochi giorni fa, a Vicenza, hanno fischiato Berlusconi; semplicemente ritenevano che le politiche ultraliberiste dei nipotini apocrifi di Milton Friedman avrebbero garantito un'epoca di vacche grasse non tanto e non solo sul piano della legislazione lavoristica, ma anche nella prospettiva di un'azione antisindacale che poteva riportare le lancette della storia delle relazioni industriali in prossimità degli anni '30.

Proprio la capacità di risposta del mondo del lavoro e dei sindacati, misuratasi nella battaglia vinta contro l'articolo 18, cui ha fatto seguito un livello di conflittualità sociale che ha attraversato tutto il comparto produttivo pubblico e privato, è stato il primo dei sogni berlusconiani interrotti bruscamente. Ed oggi, nelle intenzioni dell'imprenditoria che lascia il cavaliere ai suoi traumi abbandonici, oltre alla presa d'atto che questi cinque anni hanno arricchito solo le imprese del Presidente del Consiglio, c'é anche il convincimento che un Governo di centro-sinistra possa attenuare il conflitto sindacale attraverso la concertazione. Elemento non secondario che spinge oggi il padronato "illuminato" a fornire aperture di credito alla coalizione guidata da Romano Prodi.

Ma onestamente non si tratta solo di questo. Più in generale, nel declinare le tendenze elettorali confindustriali, vi è la presa d'atto di un sistema strabico, che a fronte di una caduta generale degli indici di sviluppo dell'economia, fa lievitare il debito pubblico e la disoccupazione, con le conseguenze inevitabili sia sui consumi interni, che devono sostenere la ripresa, che sulla stabilità sociale.

A rappresentare bene la necessità di una inversione di tendenza, il quotidiano dell'Associazione, il Sole 24 ore, ha ospitato un'intervista a Mordecai Kurz, dal titolo "Goodbay Mr Friedman", nella quale il professore della Business School di Stanford e della Hoover Institution definisce l'ultraliberismo come "ideologico" e ripropone nel welfare l'intervento pubblico, da lui definito "più efficiente di quello privato in demografia, sanità e sicurezza: circa il 40% della spesa pubblica complessiva".

Nel caso di una vittoria del centro-sinistra, nonostante le opinioni dei radicali, che forse pensano di difendere meglio i diritti degli individui tramite l'annullamento di quelli collettivi, questo della riprogrammazione del welfare, nel quadro della legislazione che dovrà sostituire le norme sulla precarietà a vita, sarà il banco di prova del nuovo governo Prodi. Sul piano economico, dovranno muoversi con determinazione le ipotesi di un nuovo progetto di sviluppo basato fondamentalmente sull'abbandono delle politiche contro il lavoro, per dare invece forza al recupero dei livelli produttivi interni. E questo non potrà evitare una riconsiderazione complessiva del ruolo internazionale dell'Italia, cosa che implica a sua volta una ricollocazione quanto più possibile unitaria in ambito europeo, archiviando quindi la spaccatura con l'Ue operata dal Governo Berlusconi.
La fine della ubriacatura liberista, una sana rielaborazione del sistema di relazioni industriali e la priorità del sistema concertativo, saranno il terreno sul quale si misureranno i nuovi rapporti di forza. Le tendenze sistemiche, che vedono il ridimensionamento delle ricette liberiste con le quali si è alimentato il pensiero unico, ne rappresenteranno lo sfondo culturale; ma il ritorno alla centralità del lavoro e alla funzione sociale dell'impresa, rappresenterà la vera sfida riformatrice della compagine di centrosinistra.
Vedremo allora quali saranno le clacques che si spelleranno le mani.
Per ora, le mani spellate sono solo quelle dei lavoratori, che non usufruivano del "passi" all'Assemblea di Vicenza.

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