di mazzetta

L'ex Segretario alla Difesa Usa Rumsfeld, falco dei falchi, potrà anche dire che "la guerra in Irak é una catastrofe", ma pare che nel nuovo governo ci sia una gran voglia di riportare i nostri militari a morire in Iraq. Ha cominciato Martino dicendo che se dipendesse da lui manderebbe uomini in Iraq e Afghanistan e toglierebbe quelli che ci sono in Libano, dove purtroppo impediscono al governo israeliano di invadere il Libano in caso di crisi di consensi. Sembra strano, ma dopo che il precedente governo Berlusconi aveva dato segno di voler ritirare le truppe dall'Iraq prima di uscire sconfitto dalle urne, ora c'è invece un consenso montante ad aumentare l'esposizione dei nostri militari nelle guerre di Bush. Ovviamente sono guerre che i nostri indomiti spacciano per missioni di pace a giorni alterni, quando non sono impegnati a propagandare lo scontro di civiltà, ma restano pur sempre disastri senza apparente via d'uscita e senza una ratio apprezzabile da chi non commercia in idrocarburi. Il motivo della presenza in Iraq dei nostri soldati venne spiegato senza ipocrisie da Franco Frattini, ministro del governo Berlusconi in Parlamento: “L'impegno italiano per la sicurezza internazionale è determinato da un calcolo razionale del nostro interesse; e ancora il nostro impegno nelle missioni di pace rappresenta un saldo investimento economico". Sì, proprio così, ha detto proprio così. Nessuno, nemmeno il povero Veltroni ha mai chiesto il rendiconto di questo investimento. Sappiamo che alcuni soldati italiani sono morti, ma non sappiamo cosa “ci” abbiamo guadagnato. Sicuramente l'ENI (Ente Nazionale Idrocarburi) pensa di guadagnarci contratti lucrosi, ma ancora non è dato sapere quanti cadaveri di “nostri ragazzi” ci costerà il petrolio iracheno al barile.

A seguito del cambio di governo è tornato a farsi sentire con toni entusiasti l'amministratore delegato di ENI, Paolo Scaroni, secondo il quale ora ci sarebbe l'opportunità di siglare lucrosi contratti “inchiavardati in un nuovo quadro legislativo”. Scaroni parla della legge irachena sul petrolio, però vende la pelle dell'orso prima di averlo ucciso. Sono anni che Bush e compagni provano a far siglare una legge-truffa ai parlamentari iracheni e sono anni che questi, come Penelope, tessono la legge e poi la fanno a brandelli.

C'è da capirli, anche se si tratta di elementi eletti grazie al placet americano, anche se il governo iracheno non è quello uscito dalle elezioni, ma dai piani di Bush, gli americani non sono ancora riusciti a convincere i parlamentari iracheni a scrivere una legge che regali loro il petrolio a condizioni vantaggiosissime. Non è difficile da capire: quale iracheno vorrebbe mai mettere la firma sotto una legge che regala l'unica ricchezza immediatamente monetizzabile del suo paese? Quale parlamentare vorrebbe passare alla storia per aver regalato la ricchezza nazionale a chi ha distrutto il paese peggio di quanto siano mai riusciti a fare altri invasori nella storia?

Non ci sarà alcun dividendo di guerra, i “nostri ragazzi” sono morti per niente, così come sono morti per niente quelli americani. Gli unici che hanno incassato dividendi sono gli amici di Bush seduti nei consigli di amministrazione delle Big Oil e delle aziende che nutrono la guerra, dalle compagnie mercenarie ai costruttori di armi.

Non potrebbe essere diversamente: a Bush non interessava minimamente la restaurazione della democrazia, la dimostrazione è sotto gli occhi di tutti. Fior di dittature sono prosperate nell'area dall'invasione dell'Iraq ad oggi. La democrazia si è allontanata per gli egiziani, per i libici, per i tunisini e per i sauditi, per non parlare di quanto si sia radicalizzato l'Iran, che dopo aver collaborato agevolando le invasioni di Afghanistan ed Iraq da parte degli americani è finito sul banco degli accusati unicamente per distogliere l'attenzione dalla catastrofe che si consuma in Iraq.

Un milione di morti, due milioni di profughi all'interno del paese, più di due milioni espatriati, quattro milioni di feriti, centinaia di migliaia di iracheni detenuti; niente elettricità, niente acqua corrente, carburante o gas per la maggioranza degli iracheni. Baghdad è oggi un immenso campo di detenzione, con i quartieri murati da barriere ispirate a quelle che Israele usa per recludere i palestinesi; a Nassirya c'è il coprifuoco, a Bassora c'è battaglia con tanto di bombardamenti aerei, Falluja non esiste più, Mosul è disperata, il Kurdistan invaso dai turchi, Moqtada al Sadr è tornato il cattivo di sempre. La violenza in Iraq è in aumento, si è scoperto pure che il tanto magnificato “surge” americano era un'altra balla e che il generale Petraeus nascondeva la tragica verità per fare bella figura.

Anche Berlusconi voleva fare bella figura quando dichiarava: "È vero, e credo che siamo stati molto utili alle democrazie occidentali. La nostra posizione nella coalizione non è stata mai in dubbio e quindi la nostra intelligence ha collaborato con gli alleati". Poi si scoprì che la nostra intelligence aveva fabbricato la patacca sull'uranio nigerino venduto a Saddam e che i servizi segreti italiani, durante il governo di Berlusconi - e quindi sotto la sua responsabilità - inventavano attentati e minacce “islamiche” al fine di terrorizzare gli italiani e guadagnare consenso alla guerra. Terrorismo governativo a danno degli italiani; un governo terrorista come quello americano.

Un quadro desolante, condito dall'orrenda retorica marziale alla “armiamoci e partite” di chi vuole guadagnare un posto a tavola o mettersi in mostra spendendo il sangue degli altri. Adesso il berlusconismo trionfante vorrebbe gettare il paese a testa bassa in due guerre già perse (lo ammettono anche gli americani), lucrando così l'occasione per mostrarsi in televisione nelle occasioni che sono date ai condottieri.

Peccato che questa vanità si paghi con il sangue, il sangue dei “nostri ragazzi”, ma anche quello dei poveretti ai quali diciamo di “portare la democrazia”; peccato anche che mentre questa tragedia si consuma, gran parte delle “schiene dritte” insediate nelle redazioni faccia orecchie da mercante al grido di dolore dei popoli di Afghanistan, Iraq e Somalia. Fateci caso: dal 2001 ad oggi sui nostri media non siamo riusciti ad avere un solo servizio che desse la voce agli abitanti di questi paesi che abbiamo contribuito a devastare. A ciascuno stabilire se determinare questa stranezza sia la vergogna o se si tratti anche in questo caso della difesa di “un saldo investimento economico”.



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