di Paolo Dimalio

Il primo aprile scorso il governo Prodi ha varato un decreto legge destinato a recepire tutte le sentenze della Corte di Giustizia europea. Dal pacchetto, però, resta fuori la pronuncia del 31 gennaio 2008, che boccia senza appello le leggi italiane sulla televisione. Il motivo? Dal 1999 Rete 4 va in onda senza concessione. Mentre Europa7, che una concessione ce l’ha, è ferma al palo, visto che il Biscione ha fatto il pieno di frequenze. Se la sentenza sulla tv è l’unica a non essere accolta, spiega Emma Bonino, è “perché non aveva carattere di urgenza”. Giusto. Non c’è fretta. Sono solo 31 anni che le leggi in materia televisiva violano la costituzione. Esattamente dal luglio 1976, quando la Consulta cassa il monopolio Rai, spalancando ai privati le porte della tv privata. Con una raccomandazione ai partiti: subito una legge per scongiurare il monopolio privato dell’etere. Democristiani e socialisti invece la prendono comoda. Il pentapartito impiegherà 14 anni per sfornare una legge (la Mammì) che verrà bocciata dalla Consulta. Nel far west televisivo degli anni ’80, Silvio Berlusconi sguazza come un pesce. Sua emittenza sbarca nell’etere con Canale 5. In un amen compra Rete 4 da Mondadori e Italia 1 da Rusconi, pareggiando i conti con la Rai. Tre reti a testa, e il duopolio è cosa fatta.

La Corte Costituzionale liberalizzò solo la tv locale, lasciando allo Stato (cioè alla Rai) la tv nazionale. Fininvest fece spalluce, e trasmise da Bolzano a Palermo col metodo del “pizzone”. Prima registra il palinsesto, poi spedisce il nastro (il “pizzone”) alle emittenti locali che mandano in onda lo stesso programma alla stessa ora. E’ illegale, ma il pentapartito non alza un dito.

Il trucchetto va avanti fino al 16 ottobre 1984, quando i pretori oscurano le tv Fininvest in Piemonte, Lazio e Abruzzo. Provvede Craxi a imbavagliare le toghe. Ghino di Tacco vara in tutta fretta il famigerato “decreto Berlusconi”, che legalizza in via provvisoria (fino alla legge generale sulla tv) la tecnica del “pizzone”. Quattro anni dopo, però, la legge non si vede e la Consulta rilancia il diktat: se il Parlamento non pone fine al far west dell’etere, il “Decreto Berlusconi” sarà dichiarato incostituzionale. In tal caso, Fininvest chiuderebbe i battenti. Per fugare ogni dubbio, i giudici avvertono i partiti che il duopolio mina la libertà d’informazione: Il pluralismo in sede nazionale non potrebbe in ogni caso considerarsi realizzato dal concorso tra un polo pubblico e un polo privato, che sia rappresentato da un soggetto unico o che comunque detenga una posizione dominante nel settore privato.

I partiti fanno orecchie da mercante. Nell’agosto del ’90, 14 anni dopo il monito della Corte, il governo Andreotti sforna la legge Mammì che fotografa il duopolio. E nel ‘94 giunge puntuale la scomunica dei giudici costituzionali: “La titolarità di tre reti su nove assegna un esorbitante vantaggio nella utilizzazione delle risorse e nella raccolta della pubblicità". Entro due anni, ammonisce la Corte, Rete 4 deve andare sul satellite.

Il governo Prodi ascolta e annuisce. La legge Maccanico del ’97, infatti, impone a Fede&Co di abbandonare l’etere. Ma solo quando ci sarà un “congruo sviluppo” dell’utenza satellitare. E’ il cavillo della salvezza per Rete 4, che nel ’99 perde pure la concessione a trasmettere su scala nazionale. Tecnicamente, quindi, la terza rete del Biscione dovrebbe cedere le frequenze ad Europa 7 (titolare di una concessione). Ma dal governo D’Alema arriva l’ennesima scialuppa: il ministro delle Comunicazioni Totò Cardinale rilascia “un’abilitazione speciale” che autorizza Rete 4 a tenersi le frequenze senza concessione. In via transitoria, s’intende. Nel 2002 la Consulta fa piazza pulita dell’ennesimo guazzabuglio. La legge Maccanico è giudicata incostituzionale, per via del “cavillo Salva Rete 4” che impone a Fede il trasloco sul satellite senza specificare una data certa. E’ di nuovo la Corte a metterci una pezza: entro il 31 dicembre 2003, sentenziano i giudici, Rete4 dovrà lasciare l’etere. Il Biscione sembra in un vicolo cieco. Il patron di Europa 7 Francesco Di Stefano esulta.

Il 24 dicembre 2003, ad una settimana dall’ultimatum della Corte, passa il decreto “Salva Rete 4”. Fede&soci la scampano ancora. Mentre Europa 7 resta al palo, munita di concessione ma senza frequenze. E’ il regalo di Natale del Premier Berlusconi all’editore Berlusconi. Sua Emittenza non si ferma e nel 2004 una maggioranza blindata approva la legge Gasparri, già bocciata da Ciampi perché “non in linea con la giurisprudenza della Corte Costituzionale”. Il provvedimento non piace nemmeno a Bruxelles. Il 18 luglio 2007 dall’Europa arriva una dura scomunica. Per il commissario Ue Neelie Kroes, la Gasparri viola le norme sulla concorrenza, favorendo le vecchie emittenti nel passaggio dall’analogico al digitale terrestre.

E non è tutto. Il 31 gennaio 2008 la Corte di Giustizia Europea condanna con parole di fuoco il sistema delle concessioni televisive in Italia: Tale regime non rispetta il principio della libera prestazione di servizi e non segue criteri di selezione obiettivi, trasparenti, non discriminatori e proporzionati. Per i giudici del Lussemburgo, il regime transitorio che dal ‘99 ha permesso a Rete4 di trasmettere senza concessione viola il diritto comunitario. A conti fatti, da 31 anni le leggi televisive ledono Costituzione e norme europee. L’Italia rischia una multa da 400 mila euro al giorno, se non si adegua alle regole di Bruxelles. Ma pagheranno i contribuenti. Quindi ha ragione Emma Bonino: che fretta c’è?



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