di Sara Nicoli

Dopo giorni di interrogativi, non certo nostri, su quale sarebbe stato il motivo che Pierferdinando Casini avrebbe scovato per giustificare il suo ingresso nel Pdl, rinnegando ogni possibile abiura precedente del padre-padrone Berlusconi, adesso lo si vede con una certa chiarezza: la Cei, preoccupatissima che la scomparsa dell’Udc possa ridurre all’irrilevanza politica i cattolici, ha chiesto – senza tuttavia ottenerlo – che il partito di Casini non sia fagocitato dal Pdl, ma che conservi una propria dignità nell’ambito di una nuova alleanza con il centrodestra. Peccato che Berlusconi, a cui il voto cattolico interessa fin tanto che non gli mette i bastoni tra le ruote, ha rinnovato il suo diktat: o dentro il Pdl o non se ne parla. Così, come Fini ha appena ucciso An, Berlusconi sta chiedendo a Casini di mettere nel cassetto quel partitino che da solo arriverebbe a mala pena al 2% (oggi è al massimo al 3%) per fare contenta la Cei e dare una vena di cattolicesimo al suo Partito delle Libertà, altrimenti tutto potrebbe sembrare – anzi, lo è – un calderone elettoralistico per prendere il potere e continuare a farsi gli affari propri, non certo quelli del Paese. Con Casini alleato, ma non fantasma, del Pdl, la Cei avrebbe garantito che oltre a quelli di Berlusconi e Fini, anche la Chiesa potrebbe continuare, indisturbata, a perseguire i propri affari. L’importante è che da qualche parte resti un simbolo dove la parola “cattolico” sopravviva: anche l’occhio vuole la sua parte. Soprattutto dove non c’è più la sostanza. E dentro il Pdl c’è solo una cosa, un’armata brancaleone che vuole vincere per fare, come sempre, “un po’ come cavolo gli pare”. Perché non sanno fare nient’altro.

A ben guardare, quella del Pdl si sta trasformando in un’accozzaglia davvero rivoltante di tutte quelle forze politiche che rappresentano la sconfitta della politica e l’apoteosi dell’ antipolitica con esaltazione del potere personale, quella della Casta di cui i cittadini, almeno a parole, sembrano avere piene le tasche. E anche la mossa di Veltroni di andare da solo alle elezioni, ha principalmente lo scopo di smarcarsi dall’idea che ha contraddistinto questa ultima, sfortunata legislatura: che pur di vincere, cioè, si possa rinnegare tutto, storia, simboli, idee, valori, perché quel che conta è raggiungere lo scopo, ovvero vincere per tutelare i propri interessi. Anche a costo di stringere la mano all’odiato nemico di sole poche ore prima, nel segno di un trasformismo che c’è sempre stato, ma che oggi crea un sano senso di nausea un po’ in tutti.

Berlusconi, però, ha lo stomaco forte e ha colto il vento di novità che spira nell’elettorato: così ha dato una mano di vernice al suo partito personale del centrodestra (quello di prima), ammantandolo di un’idea di novità per il solo fatto di avere un nome diverso e conferendogli tutti i crismi della bandiera del cambiamento. Veltroni ha definito il Pdl “un’operazione di maquillage”; infatti è solo il vecchio che avanza, ancora una volta un carro bestiame affollato di sigle medie, piccole e minuscole, tutti insieme appassionatamente a caccia del premio di maggioranza in tutte e due le Camere. Al Senato, Berlusconi vuole addirittura raggiungere i 30 senatori in più. Bene che gli vada, con questa legge ne avrà solo 8 in più dell’opposizione, ma si troverà la maggior parte dei senatori a vita contro, eccezione fatta di Cossiga e Andreotti (e forse non sempre). Anche per lui, insomma, non dovrebbe rivelarsi un bel vivere. Ma questo è un problema che si porrà solo dopo. Ora è in momento di conquistare il campo con in tasca lo slogan di sempre: far finta di cambiare tutto perché non cambi nulla. La fermata successiva, nei suoi desiderata, è il Quirinale. E farà di tutto per arrivarci.

Alla fine del prossimo mese di febbraio, il cartello del Partito delle Libertà conterà, più o meno, una trentina di sigle. Non sappiamo, alla fine, cosa sceglierà di fare Casini, ma sono in molti a credere che dopo queste prime alzate di testa e questi tentativi miserandi di rivendicare una propria identità e dignità (lo stesso discorso di Storace) anche lui sceglierà di aderire all’allegra armata pur di non scomparire. Riassumendo, per amor di sintesi: quello che rappresenterà il Pdl alle prossime elezioni, incarnerà tutto quello che oggi i cittadini italiani non vogliono più.

Sarà un partito “personale” al servizio delle proprietà del suo leader, non avrà un programma vero ma solo decaloghi scritti da qualche esperto di marketing da presentare nel salotto di Vespa. Non potrà formulare liste nuove perché dovrà dare posti a tutti i vecchi che ha messo dentro e, dunque, non potrà neppure ostentare trasparenza nella scelta dei candidati, perché sarà obbligato a molte scelte “scomode” pur di fare il pieno di voti. Inutile dire, poi, della richiesta che con maggior forza proviene dall’elettorato, ovvero l’osservanza di criteri di competenza e moralità nella scelta dei candidati, che Berlusconi non potrà farvi fronte in alcun modo.

Siamo pronti a scommettere che nel Pdl ritroveremo le facce che ben conosciamo, quelle dei condannati per corruzione e degli indagati in quanto fiancheggiatori della mafia; dei puttanieri, dei riciclati di sempre, dei parenti degli amici e anche solo dei parenti (soprattutto quelli di Mastella). Berlusconi li proporrà e gli imporrà agli elettori, visto che la legge in vigore non lascia scampo. Fin tanto che il Parlamento resterà un palcoscenico da avanspettacolo, lui potrà tranquillamente continuare a farsi i fatti propri. Vuole raggiungere il Quirinale a qualunque costo e anche per questo si prefigge, nella prossima legislatura, di dare il via ad una serie di riforme, in accordo con l’opposizione, per dare l’immagine del maturo statista capace anche di pesare magnanimamente al Paese oltre che a se stesso e alle sue aziende. Un piano che sembra uscito da un film comico ma che, in questo Paese irreale, potrebbe tramutarsi in realtà, come i peggiori incubi. A meno che, come speriamo, le urne non riservino qualche sorpresa. Con il “porcellum” non si può mai dire…

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